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Trasporto container, impennata dei noli

Chi dà le carte vince sempre

di Redazione Port News

Ormai chi li ferma più. Dopo anni di fortune alterne, i big carrier sono saliti sull’ottovolante totalizzando profitti da capogiro grazie al rally che le tariffe di nolo stanno da tempo registrando lungo i principali trade del globo terracqueo. E’ l’effetto dell’aumentata domanda di consumo, trainata soprattutto dalle vendite on-line cui la Pandemia da Covid-19 ha fatto da detonatore per buona parte del 2020.

Anche la scarsa disponibilità di spazi in stiva (causata tra gli altri dai Blank Sailing programmati durante il 2020) e la carenza di container disponibili hanno contribuito e stanno ancora contribuendo ad alimentare prospettive di mercato bullish.

I primi cinque mesi dell’anno in corso sono stati “spettacolari” per la maggior parte delle compagnie attive nel trasporto container. CMA CGM, tanto per fare un esempio, ha realizzato nel primo trimestre un terzo dei profitti totalizzati in tutto il 2020. Collettivamente, l’incremento delle freight rate registrato a partire da novembre ha spinto i carrier a totalizzare 16 miliardi di guadagni prima di interessi e tasse (EBIT). Secondo Drewry, se la situazione dovesse continuare a mantenersi favorevole, il 2021 potrebbe chiudersi per il settore con un guadagno collettivo di 80 miliardi di dollari al lordo di interessi e tasse.

Il fatto è che oggi i caricatori sono disposti a pagare tariffe premium pur di assicurarsi slot disponibili a bordo nave. A metà giugno, le rate di nolo lungo la tratta Asia-Nord Europa avevano raggiunto quota 6.300 dollari per ogni container da venti piedi trasportato. Solo ad agosto del 2020, il nolo sulla stessa tratta era pari a 1000 dollari a TEU.

Secondo le ultime rilevazioni del World Container index di Drewry, un indice che mette a sistema le tariffe delle principali 8 rotte mondiali fra Stati Uniti, Europa e Asia, le spot rate sono cresciute mediamente del 4,2% nell’ultima settimana, arrivando a 8.399 dollari per un container da 40 piedi, il 346% in più rispetto a un anno fa.

L’indice composito medio del WCI, valutato da Drewry per l’inizio dell’anno, è di 5.643 dollari per container da 40 piedi. Stiamo parlando di 3.628 dollari in più rispetto alla media quinquennale di 2.015 dollari per container da 40 piedi.

L’impennata della domanda, in particolare negli States, in un momento in cui le operazioni portuali risultavano essere limitate dalla carenza di personale e dalle conseguenti misure di contingentamento del Covid, ha sostanzialmente inceppato la catena logistica, con un effetto domino che si è diffuso in tutti mercati principali del mondo.

E la situazione non è destinata a migliorare, perlomeno nel breve periodo. I mercati non hanno ancora fatto in tempo a smaltire la sbornia logistica provocata dalla crisi di Suez che già oggi si trovano sotto pressione a causa del parziale blocco dell’operatività dei porti della Cina Meridionale.

La semi chiusura dello scalo portuale di Yantian per Covid, avvenuta a fine maggio, ha creato nuovi problemi di congestione anche nei porti vicini, cui  sono stati provvisoriamente reindirizzati i carichi originariamente destinati all’hub port colpito dalla nuova ondata pandemica. I problemi di congestione hanno chiaramente causato nuovi ritardi nella consegna della merce.

L’unico aspetto positivo della situazione nel sud della Cina è che il rallentamento dei volumi di esportazione sta dando ad alcuni hub port la possibilità di smaltire tutto il carico rimasto inevaso.  Nella baia di San Pedro, ad esempio, il numero di navi portacontainer all’ancora in attesa di un ormeggio è sceso da un massimo di 40 a gennaio agli attuali 10.

La carenza di container resta però un gravoso problema. I vettori hanno aggiunto almeno 1 milione di TEU di capacità alle loro flotte di container. Purtroppo, servono sempre più scatole per sostituire quelle che oggi si trovano in sosta forzata in banchina o fuori da un porto. Per un grande vettore, il ritardo di ogni giorno può equivalere alla necessità di 35.000 container in più.

Se i grandi armatori stanno vivendo un momento particolarmente felice anche se problematico, i caricatori e gli spedizionieri non se la passano altrettanto bene: la scarsità di container disponibili e i problemi di congestione di cui molti porti stanno soffrendo stanno mettendo sotto pressione le catene logistiche.

Per alcuni prodotti il ​​costo del trasporto marittimo ha raggiunto livelli tali da rendere non più profittevole la spedizione via mare. Sono lontani i tempi in cui appariva ai più non del tutto impossibile prenotare un container, trovare un posto su una nave e aspettarsi una consegna in tempi soddisfacenti.

Ad essere penalizzati dalla situazione sono soprattutto i piccoli caricatori. Che pure hanno la loro parte di colpa. In questi anni i proprietari di merce hanno infatti preferito puntare il tutto e per tutto sulla catena di approvigionamento just in time, con l’obiettivo di ridurre i costi di tenuta dell’inventario.

Maggiore ricorso alle spedizioni, compressione dei costi necessari al rifornimento delle scorte. Ecco parzialmente spiegato l’ingorgo verificatosi in uno dei maggiori mercati mondiali. Quello statunitense. La domanda di mercato è cresciuta a ritmi superiori a quelli di costituzione delle scorte. Una catena di approvvigionamento più resiliente non avrebbe dovuto avere un bisogno così disperato di merci da essere disposta a pagare oltre $ 6.000 a TEU per spedire un container dalla Cina.

Va detto che per ovviare alla mancata capacità di stiva, i vettori hanno deciso di ricorrere a nuovo naviglio. Nel primo semestre di quest’anno sono stati prenotati nei cantieri navali oltre 1,5 milioni di TEU di nuove costruzioni. Eppure la maggior parte di quella capacità non entrerà nella flotta prima del 2023. Secondo Drewry, la capacità di stiva aumenterà soltanto del 4,2% quest’anno, a fronte di una crescita complessiva dei volumi trasportati di circa il 10% rispetto al 2020.

È improbabile, quindi, che i prossimi sei mesi del 2021 forniscano molto sollievo da questo punto di vista.  La tradizionale peak season estiva altro non sarà che una continuazione di una situazione di picco registratasi per tutto il 2021. I caricatori e gli spedizionieri dovranno insomma continuare e tenere duro per ancora qualche tempo.

Per il chief executive di Xeneta, Patrick Berglund, non sono previste inversioni di tendenza nel breve periodo.  «Impensabile che le tariffe diminuiscano proprio ora. Occorrerà aspettare quanto meno che si sia completamente allentata la morsa pandemica prima di poter cominciare a vedere delle inversioni di tendenza».

Gli armatori continueranno insomma a dare le carte. E chi tiene il banco vince sempre.

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