L’amministrazione Trump si è confermata essere il principale cigno nero del 2025. L’introduzione dei dazi reciproci nei confronti di una lunga serie di Paesi ha avuto sul trasporto marittimo di container un effetto devastante, non molto dissimile da quello prodotto dal Covid nella primavera del 2020. La crisi pandemica, allora, e i dazi oggi, hanno di fatto creato una situazione di emergenza per il trasporto marittimo di container, costringendo gli importatori statunitensi a cancellare gli ordini dall’Asia.
La recente notizia del congelamento di 90 giorni deciso dal presidente americano sulle tariffe daziarie verso decine di Paesi, ad eccezione della Cina, che ha avuto anche un inasprimento dell’aliquota dal 104% al 125%, ha di fatto risollevato le Borse di tutto il mondo, ma non ha risolto in modo definitivo i problemi. Che rimangono tutti sul tavolo.
“I nuovi dazi sono motivo di preoccupazione” aveva dichiarato un mese fa il vice presidente della National Retail Federation americana, Jonathan Gold. “I rivenditori stanno lavorando sulla diversificazione della catena di approvvigionamento, ma si tratta di un processo che non avviene dall’oggi al domani. Nel frattempo, i dazi sono tasse sulle importazioni pagate in ultima istanza dai consumatori, non dai paesi stranieri, e le famiglie americane pagheranno di più finché saranno in vigore” aveva aggiunto.
La sospensione protempore dell’inasprimento daziario avrà sicuramente come conseguenza quella di spingere gli importatori a ripristinare gli ordini sospesi nelle settimane precedenti, col proposito di far arrivare da paesi diversi dalla Cina quanta più merce possibile prima che si chiuda la finestra dei 90 giorni.
Secondo gli esperti, queste fluttuazioni stop-and-go tenderanno a creare dei colli di bottiglia nella catena di approvvigionamento. E’ altresì possibile che la peak season inizi in anticipo quest’anno e che di qui al 9 luglio, data di scadenza della sospensione, si assista ad un aumento importante della domanda di trasporto.
L’ultima giravolta trumpiana va di fatto ad inficiare le previsioni di lungo termine della National Hackett Association, secondo la quale le importazioni americane avrebbero cominciato a subire un drastico calo a partire da maggio, raggiungendo a giugno il punto più basso da febbraio 2023.
Ma in fondo, il crollo dell’import è rinviato soltanto di qualche mese, anche se occorrerà vedere che cosa farà nel frattempo Trump, cui in molti attribuiscono la volontà di arrivare a stringere alcuni accordi commerciali con una serie di Paesi, a cominciare dal Vietnam, il secondo principale esportatore di merce in container verso gli USA dopo la Cina, colpito dagli USA con una tassa del 46%.
La situazione è insomma in costante evoluzione ma per gli importatori americani si profilano all’orizzonte giorni difficili e c’è chi intravede il rischio che si apra a breve tra le imprese una crisi di liquidità diffusa a causa del mancato adempimento delle obbligazioni doganali.
“Come noto, le Dogane locali richiedono agli importatori la presentazione dei Custom Bond, idonee garanzie per il rilascio anticipato della merce e la copertura del rischio di mancato pagamento dei dazi americani” spiega Dan Swartz, dello studio di consulenza doganale e commerciale Crowe LLP.
Come ben scritto da Export USA,”gli importi delle cauzioni doganali per l’America sono generalmente stabiliti utilizzando una formula pari al 10 percento dei dazi, tasse e oneri pagati nei precedenti 12 mesi. La dogana USA esamina questa formula per ciascun importatore regolarmente e, se necessario, emette avvisi per aumenti degli importi delle cauzioni doganali ogni volta che la formula produce un numero superiore all’importo attuale della cauzione prestata dall’importatore”.
L’aumento dei tassi tariffari, in un lasso di tempo molto breve, espone quindi gli importatori al rischio dell’insufficienza della cauzione, che di fatto non riesce più a coprire l’importo dei dazi richiesti. Tale avviso di insufficienza disattiva la capacità di importate fino a quando il limite stabilito dalla cauzione non venga aumentato, spesso attraverso la stipula di polizze assicurative supplementari.
“L’aumento dei dazi sposta in alto il limite dell’obbligazione, spingendo il fideiussore, ovvero il gruppo assicurativo, ad aumentare i controlli sulla posizione di cassa del contraente e sulla presenza eventuale di debiti significativi” fa osservare Swartz.
“Se l’analisi della situazione patrimoniale dell’azienda non fornisce un riscontro rassicurante, il contraente può arrivare a chiedere all’azienda di fornire una lettera di credito, fino al 110% del limite dell’obbligazione”. Il rischio paventato dall’esperto doganalista è che l’azienda la cui posizione finanziaria sia ritenuta debole dall’assicuratore, si trovi costretta a parcheggiare in banca i propri risparmi, che non verranno svincolati sino a che non vengano liquidate tutte le voci dell’obbligazione.
“Questa operazione può richiedere un minimo di 314 giorni dalla data di scadenza dell’obbligazione” puntualizza Swartz. “Vi lascio immaginare quali potrebbero essere le conseguenze”.