© www.shippingitaly.it
Interventi

Le ricadute della trade war sul trasporto marittimo

Effetto dazi, tra velleità e incognite

di Fulvio Carlini

Presidente di FONASBA (Federation of National Associations of Ship Brokers and Agents)

Le decisioni del Presidente Trump con i dazi imposti sull’importazione negli USA da quasi tutti i paesi del mondo, assieme alle misure previste dalla USTR circa la possibile extra tassazione sulle navi di bandiera o costruzione cinese nei porti USA, hanno ovviamente avuto un effetto molto forte sulla economia e, di conseguenza, sul trade internazionale, di cui lo shipping è un derivato diretto, con effetti che si sono avvertiti sin da subito in tutti i campi: dai container al dry bulk, sul project cargo come sui Carichi liquidi e Ro/Ro.

La guerra dei dazi, già avviata dall’amministrazione Trump nel 2018, ha segnato l’inizio di una lunga fase di tensioni commerciali che ancora oggi, con quanto avvenuto nei primi mesi del secondo mandato del Tycoon, continua a ridisegnare le dinamiche del trasporto marittimo, in particolare nel settore del dry cargo. Se inizialmente il conflitto si concentrava su prodotti come soia, carbone e acciaio tra Stati Uniti e Cina, oggi le dispute si sono estese a materie prime strategiche come bauxite, litio, grano e fertilizzanti, non escludendo il Gas e le auto.

Va però sottolineato come il commercio riesca sempre a trovare le sue strade alternative: non è un caso se a partire dal 2018 la Cina ha drasticamente ridotto le importazioni di carbone dagli Stati Uniti, aumentando invece gli acquisti da Indonesia e Russia. Nuovi flussi di bauxite e minerali ferrosi si sono aperti dalla Guinea e dal Brasile verso l’Asia, rafforzando le rotte a lungo raggio e sostenendo la domanda di tonnellaggio, visto l’aumento del rapporto Tons/Miles.

Diverso appare il possibile effetto delle tassazioni sugli scali nei porti USA da parte di navi di bandiera cinese, o costruite in Cina, visto che le navi di media dimensione oggi naviganti (Handysize, Supramax, Panamax), sono state per una buona percentuale costruite nel paese asiatico, i cui cantieri navali sono oggi i principali costruttori di questa taglia di navi, avendo sopravanzato Giappone e Corea del Sud. In questo caso, gli effetti della trade war 2.0 potrebbero essere più importanti del previsto e potrebbero portare a una concentrazione di navi costruite in China sui traffici che non coinvolgono gli Stati Uniti, con effetti diretti sulle tariffe di trasporto. Di contro, le navi che sono in grado di scalare i porti statunitensi senza maggiori costi potrebbero ricavarne un premio sui noli.

Personalmente, ritengo che le nuove misure decise da Trump siano destinate ad avere vita relativamente breve, semplicemente perché, come tutti sappiamo, i primi a subirne gli effetti non saranno i paesi che esportano verso gli USA, ma gli USA stessi, che già stanno vedendo i loro prodotti penalizzati e che lo sarebbero ancora di più con la applicazione della extra tassazione sulle navi non costruite in China.

Trovo comprensibile il desiderio della Amministrazione Trump di cercare di rilanciare la cantieristica navale americana, ma trovo ridicolo che si arrivi anche soltanto a credere che ciò possa avvenire in tempi brevi. Si tratterebbe di una impresa improba, vista non soltanto la portata degli investimenti necessari, ma anche l’assoluta mancanza di know-how che gli USA si troverebbero ad affrontare volendo costruire navi per usi commerciali e volendolo fare a costi competitivi rispetto a quelli dei Paesi che oggi lo fanno su larga scala.

Volendo scherzarci sopra, mi piace ricordare di essermi trovato la scorsa settimana a una riunione in sede BIMCO a parlarne con un amico, un armatore tedesco, con il quale abbiamo concluso che prima di insegnare agli Americani come costruire un Cantiere navale bisognerebbe forse spiegare loro la differenza tra costruire una nave con i mattoncini LEGO e costruirne una in acciaio!

In sintesi, le guerre commerciali non hanno fermato il mare: ne hanno semplicemente cambiato le mappe.

Torna su