Il 2025 si preannuncia come un anno molto intenso per le banche del settore marittimo. Le misure shock proposte a fine febbraio da U.S. Trade Representative e ripresentate ad aprile in una versione light promettono di danneggiare non soltanto le compagnie di navigazione ma anche le società di leasing cinesi, che col tempo sono diventate tra i più importanti canali di accesso al credito per gli armatori.
E’ noto infatti come in questi anni lo shipping sia diventato sempre meno attraente per gli istituti di credito europei.
Secondo i dati dell’ultimo report di Petrofin Bank Research, le prime 40 banche al mondo attive nello shipping controllano una esposizione prossima ai 375 miliardi di dollari, ovvero circa il 62% di tutti i tipi di finanziamenti alle navi.
Il report di Petrofin evidenzia però un pronunciato declino della percentuale totale dei finanziamenti navali concessi da banche europee e un incremento considerevole della percentuale in mano agli istituti del Far East.
Nello studio viene inoltre certificata una chiara asimmetria tra la riduzione dei finanziamenti navali e la crescita della flotta mondiale, che viene supportata da forme alternative di finanziamento, come quelle di leasing.
“I locatori cinesi detengono oggi circa 100 miliardi di dollari di asset nel settore marittimo, che rappresentano oltre il 15% del mercato globale del finanziamento navale” afferma il fondatore della società di consulenza finanziaria Cavalier Shipping, James Lightbourn, secondo il quale le misure proposte dall’USTR per contrastare il predominio marittimo della Cina potrebbero oggi limitare, o addirittura invertire, questa crescita.
Il piano per tassare le navi cinesi prevede in sostanza che nel momento in cui queste entrano nel primo porto d’accesso agli Usa, paghino 50 dollari per ogni tonnellata di stazza netta della nave. La tassa sarà incrementata di 30 dollari ogni anno nei prossimi tre anni.
Per le navi costruite in Cina la fee sarà pagata in base al tonnellaggio (18 dollari, con incremento di cinque ogni anno per tre anni) o in base al numero di container trasportati (incremento del 27% l’anno per 3 anni).
Per Lightbourn, ad essere danneggiate saranno anche le società di leasing del Dragone perché le navi date in locazione nelle operazioni di Sale and Lease Back (vendita con locazione finanziaria di ritorno) sono tecnicamente di loro proprietà.
Secondo il consulente finanziario le compagnie di navigazione che utilizzano queste strutture di leasing per finanziare la propria flotta potrebbero presto decidere di prendere una strada diversa con l’obiettivo di evitare di dover pagare le nuove tasse portuali.
In che modo? Lightbourn cita il caso della Okeanis Eco Tankers Corp. (OET), compagnia petrolifera quotata a New York e con sede in Grecia, che ha deciso di trasferire il leasing da China Merchants Bank (CMB) a una banca greca.
Nelle dichiarazione rese dal CFO di OET, Irakis Sbarounis, si evince come la società armatoriale abbia sostanzialmente riacquisito da CMB la proprietà di tre navi VLCC concesse in locazione finanziaria.
“Siamo lieti di annunciare di aver eseecitato le opzioni di acquisto per le nostre tre più giovani navi VLCC” afferma il vertice della società armatoriale ellenica, motivando la scelta con la necessità “di ridurre la sovraesposizione della stessa ai rischi e ai costi geopolitici che il nostro settore potrebbe dover affrontare”.
In una dichiarazione successiva Sbarounis ha specificato che “la nostra flotta moderna è composta da navi costruite in diversi cantieri navali della Corea del Sud e del Giappone”, omettendo dunque di citare i cantieri navali di Pechino. Una omissione non casuale…
Lightbourn ne è convinto: “Con le misure proposte dall’USTR in atto, le compagnie di navigazione che hanno all’attivo un qualche tipo di finanziamento con le società di leasing cinesi potrebbero presto decidere di seguire l’esempio dell’OET”.
Quantunque Trump abbia deciso di ammorbidire la linea anti-Pechino sul fronte portuale-navalmeccanico, proponendo misure più soft rispetto a quelle pensate originariamente, è indubbio che la finanzia cinese sia da tempo nel mirino degli USA.
Lo si evince in modo chiaro dall’indagine promossa a gennaio dall’USTR. In uno dei passaggi del report si legge come la Cina abbia incrinato il mercato globale della costruzione navale anche attraverso le leve del finanziamento e del leasing navale.
“Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, le banche cinesi hanno assunto un ruolo di primo piano nel finanziamento navale” afferma l’USTR. Se nel 2008 le banche cinesi non figuravano nella top 15 dei principali finanziatori globali dello shipping, nel 2018 Bank of China, Export-Import Bank of China (CEXIM) e China Development Bank sono arrivate a classificarsi ai primi posti di questa speciale classifica.
Petrofin sottolinea il protagonismo crescente delle banche dell’Asia e dell’Australasia (APAC) nel settore del finanziamento globale. La loro quota di mercato è oggi al 45%. In termini di esposizione effettiva, il loro portafoglio ammonta a 127,94 miliardi di dollari. China Exim è oggi il secondo principale finanziatore navale al mondo.
“Se molte compagnie di navigazione dovessero decidere di seguire OET, assisteremmo nei prossimi mesi ad una ondata di nuovi rifinanziamenti” spiega un altro consulente finanziario, Dimitri G. Vassilacos, che si domanda se il leasing finanziario cinese possa essere facilmente rimpiazzato da altre fonte di finanziamento.
“Mi aspetto che i fondi di credito occidentali possano soddisfare gran parte di questa domanda” risponde Lightbourn, che però mette le mani avanti: “Questo nuovo trend potrebbe aumentare i costi del finanziamento, con ricadute negative sulle tasche delle società armatoriali. Okeanis è stata fortunata, non è detto che a tutti vada altrettanto bene”.