© Paolo Pampana
Interventi

La lezione inascoltata di Gallanti

I porti e quel fantasma chiamato libertà

di Marco Casale

«E se uno struzzo arrivasse proprio in questo momento e si mettesse a zampettare sul tavolo?». Il segretario generale dell’AdSP del Mar Ligure Occidentale, Marco Sanguineri, ricorda come ai tempi in cui guidava l’Autorità Portuale di Genova, Giuliano Gallanti si divertisse a riesumare ogni tanto dalla memoria alcune scene tratte dalle pellicole del suo regista preferito, Luis Buñuel: si trattava per lo più di piccole fughe dalla realtà che l’Avvocato dei moli si concedeva per svicolare dalla noia di riunioni a volte interminabili.

Il simpatico aneddoto mi ha fatto pensare alla malcelata perplessità che Gallanti nutriva nei confronti della Riforma Delrio, verso la quale doveva sentirsi come quello struzzo dalle ciglia troppo lunghe che nell’ultima scena del film “Fantasma della Libertà” si guarda attorno con uno sguardo interrogativo, sbattendo tutt’al più le ali e assistendo impassibile allo spettacolo della vita.

La legge di riordino della 84/94 – parafrasando uno dei suoi scrittori più amati, Louis-Ferdinand Céline – era per lui tutto ciò che non si capiva. E l’avvocato genovese manifestava tutto il pessimismo della ragione quando si trattava di analizzare l’impalcatura di una riforma che a suo dire si limitava unicamente a ridurre il numero delle Autorità Portuali senza affrontare altre urgenze come l’accesso al mercato (artt. 16, 17 e 18) e la semplificazione.

Proprio oggi, alla viglia della ricorrenza dell’anniversario della sua scomparsa, e nel momento in cui torna drammaticamente di moda il tema dell’eccesso di burocrazia che rende le Adsp pachidermi goffi e impacciati, incapaci di rispondere alle esigenze di mercato e al potere delle grandi compagnie di navigazione, le osservazioni di Gallanti appaiono allo scrivente in tutta la sua disarmante lucidità.

Per l’ex n.1 della Port Authority di Genova e Livorno, i porti erano già entrati in quella che il professor Sergio Bologna battezzava col nome di era post-portuale.

Le grandi alleanze sono oggi in grado di controllare quasi l’80% dell’offerta di stiva mondiale, acquisendo nei confronti di un numero sempre minore di porti – ovvero quelli selezionati sulla base di determinati criteri prestazionali ed economici – un potere che docenti come Vittorio Torbianelli o esperti come Nereo Marcucci hanno definito di tipo monopsonistico.

Secondo Gallanti, la polarizzazione oligopolistica e la crescita dimensionale delle navi, fenomeno anch’esso legato alla ricerca di sempre maggiori economie di scala da parte delle big alliances, potevano essere affrontati soltanto attraverso il rafforzamento dell’autonomia e dei poteri delle Autorità Portuali: «Un porto che fosse orbato di una Port Authority efficiente e autonoma – diceva – rischierebbe di diventare davvero un terreno di conquista per gli appetiti delle grandi multinazionali del mare».

Operare con pieni poteri e dialogare con le grandi compagnie armatoriali da una posizione di forza. Erano queste le priorità per Gallanti, che ha sempre ritenuto di essere stato escluso dalla girandola delle nomine dei nuovi presidenti delle AdSP proprio per la preferenza che ha sempre, palesemente, accordato a modelli di governance di diritto privato (tipo Società per Azioni) e, quindi, opposti a quello italiano.

Affidare allo Stato e, in particolare al Ministero delle Infrastrutture, la facoltà di acquisire le leve di comando necessarie non solo sul fronte dell’offerta delle infrastrutture portuali ma anche su quello pianificatorio, era per Gallanti una soluzione sbagliata.

«La riforma Delrio – affermava – si è posta soltanto marginalmente il problema della possibilità di trasformare la governance portuale, ritenendo a torto che il semplice accorpamento di scali marittimi avrebbe trasformato le Autorità portuali in soggetti in grado di competere finalmente con i porti nordici. Alla portualità italiana occorrerebbe non soltanto una nuova veste giuridica ma, già da oggi, una forte autonomia (per non dire indipendenza) rispetto allo Stato».

Indipendenza, dunque, ma per fare che cosa? Innanzitutto per porre un argine all’intervento massimo degli armatori nei vari terminal portuali, per trattare, insomma, da una posizione di forza. In secondo luogo per sviluppare strategie di sviluppo verso terra: «La forza degli scali portuali del nord risiede proprio in un intermodalismo efficiente ed efficace. Ed è su questa scacchiera che i porti italiani devono giocarsi la partita della vita» sosteneva Gallanti.

L’avvocato genovese parlava non a caso delle multi-gateway regions, citando a memoria interi passaggi di un volume che apprezzava particolarmente: si trattava di un saggio di due noti studiosi, Theo Notteboom, professore universitario all’ITMMA di Anversa, e Peter W. De Langen, dell’Università di Eindhoven: «Al terzo capitolo di questa ricerca, i due esperti dicono una cosa importante: l’efficienza di un porto moderno non va più parametrata sull’assunto teorico della sua capacità di proporre un’offerta quantitativamente elevata di infrastrutture ma nella possibilità di studiare strategie di sviluppo che favoriscano politiche trasversali di crescita economica e che promuovano un raccordo tra pubblico e privati all’interno di un contesto territoriale macro-regionale. Detto in parole povere: non ha più senso parlare di competizione tra porti ma di competizione tra supply chain».

In quest’ambito diventava prioritario dare modo alle Autorità Portuali di partecipare attivamente ( e con quote di partecipazione maggioritaria) allo sviluppo di inland terminal da usare come polmoni logistici per i porti di prossimità.

Sotto questo punto di vista, il porto di Livorno era quello che secondo Gallanti più si avvicinava al modello ideale di uno scalo moderno ed efficiente: assieme al suo segretario generale, Massimo Provinciali, l’avvocato dei moli è stato il primo a credere nelle potenzialità dell’Interporto Vespucci e nella sua capacità di avviare attività di “post-poned manifacturing, diventando per lo scalo labronico ciò che i distripark sono oggi per quello di Rotterdam.

Autonomia e intermodalismo, sono le parole che ricorrevano più spesso nelle osservazioni di Gallanti. Anche quando si è trovato in minoranza, l’ex presidente dell’AP genovese ha sempre avuto il coraggio di andare in direzione ostinata e contraria, mantenendosi coerente con le proprie idee, e rimanendo convinto che la libertà dei porti fosse diventata oggi soltanto un fantasma.

A volte mi piace pensarlo impegnato in qualche interminabile riunione e con lo sguardo rivolto ad un orizzonte indefinito, mentre si diverte a pensare a Buñuel e a quello struzzo dalle lunga ciglia che zampetta sul tavolo. La vita è questo, una scheggia di luce che finisce nella notte.

Da sx Massimo Provinciali e Giuliano Gallanti durante una partita a biliardino
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