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Focus

Porti di vista

Il tallone d’Achille della digitalizzazione

di Giovanna Visco

Le esigenze costanti di fluidificare i traffici commerciali e ridurne gli impatti ambientali, trovano sempre più riscontro, e ampio spazio applicativo, nella digitalizzazione dei processi e delle procedure di movimentazione e trasferimento delle merci. Avanzano nuove comunità virtuali, formate da fornitori, clienti, infrastrutture e utilizzatori, aggregati in cloud (nuvola), o data center, costituiti di reti Internet e catene elettroniche, tra cui la più popolare è la blockchain, nata nel ventre della valuta bitcoin.

Sospinto dall’onda lunga dell’impatto disastroso della pandemia Covid-19 sulla organizzazione economica della società odierna, questo radicale mutamento tecnologico si sta propagando velocemente, permeando il terreno stesso della competizione tra imprese, con effetti di enorme portata. Tra questi, un vacillamento dei principi condizionali liberisti e una accentuazione della funzione, regolatoria o meno, dello Stato, in cui le prassi digitali stanno configurando la sua inedita sovrapposizione alla società, che solleva profondi interrogativi.

Sul fronte logistico, è significativa la lettera inviata pochi giorni fa da CLECAT (associazione europea che aggrega imprese di spedizione internazionale, fornitori di servizi logistici e agenti doganali) alla Commissaria europea Margrethe Vestager, sollecitandola ad aprire un’indagine urgente nel settore del trasporto container, in cui 3 alleanze composte da 8 compagnie di navigazione, in estrema sintesi, controllano l’80% degli scambi, applicano tariffe oligopolistiche e discriminano i caricatori. Al di là dell’esenzione antitrust concessa dalla UE alle alleanze armatoriali, il fattore determinante che ha permesso una tale concentrazione è proprio lo sviluppo elettronico, su cui peraltro le compagnie stanno costruendo la verticalizzazione nei porti e il controllo commerciale da monte a valle di tutta la catena di rifornimento.

I risultati della “efficienza intelligente”, prodotta dalla flessibilità interattiva dei programmi elettronici sulle macchine e sulle azioni degli uomini, hanno caratteristiche contestualmente attraenti, tra le quali il risparmio dei costi e la riduzione degli impatti ambientali, che nel settore dei trasporti ha innanzitutto mutato irreversibilmente la navigazione marittima, che attualmente gestisce il 90% del commercio internazionale. L’applicazione dei sistemi Internet alle navi e alla gestione operativa delle flotte, sta traghettando il settore verso un futuro prossimo di automazione completa, controllata da remoto. Parallelamente i porti, nella loro funzione di coordinatori logistici strategici, si evolvono in Port Community Center, nodi informatici di gestione dei traffici, in cui confluiscono le reti di singole imprese, operatori, enti, vettori e gruppi logistici, interconnettendo l’insieme molto complesso di operazioni di banchina, servizi terrestri, stoccaggi e controlli, necessari ai rifornimenti.

Una trasformazione, tuttavia, ombrata dalla dirompenza del cambiamento climatico, che causa rotture e perdite di carico, incidenti, ritardi e congestioni, tutti fattori altamente caotici, che evidenziano i limiti di una digitalizzazione radicale e spronano lo sviluppo della intelligenza artificiale, che ancora una volta sollecita approfondite riflessioni sulla direzione etica e politica da dare a tali processi.

Parallelamente, esigenze irreversibili di transizione energetica, rimarcano quanto l’insieme delle attività elettroniche sia estremamente energivoro, per l’enorme quantità e la velocità di terminali e data center, che sbiadiscono i risultati di ricerca su programmi a più basso consumo, aggravato dall’espansione di tecnologie informatiche come le blockchain, che procurano scompensi e black out tali da aver indotto alcuni governi a tagliare dalle forniture elettriche i minatori bitcoin.

Secondo Green Peace, per alimentare ripetitori, data center e strutture di supporto, nel 2017 Internet ha consumato il 7% dell’energia elettrica mondiale. Un dato che, contestualizzato, si impenna nei paesi tecnologicamente più avanzati, che utilizzano in larga parte combustibili fossili. Il gigante statunitense di servizi finanziari S&P Global Inc, nel 2021 ha calcolato un ammontare annuo di CO2 prodotta dalla tecnologia Internet pari a 1 miliardo e 850 milioni tonnellate cubiche, e alcune proiezioni con orizzonte 2030, prevedono che l’impronta di carbonio Internet decuplicandosi velocemente, assorbirà 1/5 di tutta l’energia elettrica mondiale, trainata da Internet delle cose (IoT) e il 5G, la cui distribuzione globale si è avviata nel 2019. La questione non è solo complessa, ma anche contraddittoria, se si considera che la tecnologia ditale della sensoristica (IoT) e di software innovativi migliora le performance e l’efficienza degli impianti di generazione energetica.

Nei porti, a fronte dei benefici, codesto macrocosmo digitale implica nuove fragilità strutturali, che si manifestano a più livelli, con portate variabili secondo il grado di integrazione. In Italia un primo immediato problema è l’implementazione di sistemi di autoproduzione energetica da fonti rinnovabili, con cui alimentare i sistemi IT (Information Tecnology) e IoT, per contenere possibili rischi di black out, abbattere CO2 e non gravare sul fabbisogno energetico dei territori.

Vi è poi l’esigenza di conformare il lavoro portuale al mondo elettronico, che ne sta trasformando il mercato. Si abbassa sensibilmente il ricorso alla manodopera di banchina come per alcune tipologie di traffico come container e rinfuse, mentre aumenta un relativo fabbisogno di personale tecnico, adeguatamente formato per l’utilizzo di macchinari intelligenti e per la gestione delle operazioni da remoto. Questo processo sta registrando una genesi contraddittoria, tra espulsioni di personale con riduzione strutturale degli organici, e una nuova temporanea infungibilità del lavoratore portuale dotato di nuove abilità. In diversi porti italiani, come anticipa un recente studio di Isfort, si registrano preoccupanti segnali di precarizzazione, con l’impennata del lavoro in appalto accompagnata da una riduzione degli organici delle società terminalistiche e una forte compressione del lavoro portuale temporaneo (art 17), il principale strumento di flessibilità delle attività di banchina. Tale processo segnala l’esigenza di un maggior coordinamento nazionale delle singole Autorità di Sistema, e di politiche condivise eticamente guidate, necessarie a proteggere queste infrastrutture strategiche per i territori e per l’economia nazionale, che blocchino processi speculativi di colonizzazione privata e il depauperamento del lavoro, promuovendo formazione professionale e incoraggiando forme distributive eque della ricchezza generata dai porti.

In generale, tutta la digitalizzazione ha il suo principale tallone di Achille nella protezione dei dati e dei software, minacciata insidiosamente dagli attacchi malware (virus per azioni di disturbo e sabotaggio) e ransomware (malware associati alla richiesta di riscatto), che stanno disegnando il nuovo volto delle attività criminali e anche dei conflitti geopolitici, equipaggiandoli di strumenti potenti, capaci di pregiudicare servizi, produzioni e rifornimenti di intere nazioni, che stanno impegnando le intelligence di tutto il mondo. La tenuta della sicurezza informatica è uno dei fattori principali della resilienza delle Nazioni, fondata in larga parte sulla digitalizzazione: in aree già instabili o molto danneggiate dalla pandemia, anche un piccolo malware può detonare vasti e gravi problemi, bloccando la comunicazione elettronica, cuore di questa nuova era, di infrastrutture strategiche come porti, ferrovie, centrali elettriche, sanità.

Secondo l’Union des Ports de Francia, l’associazione professionale degli operatori portuali francesi, nel 2017 i principali porti marittimi del mondo hanno subito una media di 10-12 attacchi informatici al giorno, mentre dal 2017 al 2020 Naval Dome, gruppo statunitense di difesa informatica, calcola l’incremento del 900% delle violazioni nel trasporto marittimo, con picco nel 2020, anno in cui le denunce di grave entità sono state oltre 500 (+400% sull’anno precedente), segnalando la punta di un enorme iceberg costituito da una moltitudine di attacchi sottaciuti. Che siano diretti oppure da contagio, di singole imprese o di intere comunità cloud, di singole funzioni o di un insieme di esse, di uno o più software o dell’hardware del sistema, gli attacchi informatici procurano ingenti danni, che il ripristino estemporaneo in emergenza di metodi di gestione manuale e cartacea non riesce a contenere, tanto più che anche un solo ritardo procurato da un ransoware, se sommato ad altri, crea effetti dirompenti a catena. Nessuno ne è immune, tanto meno il settore strategico dell’energia, oggetto tra fine gennaio e inizio febbraio di una serie di attacchi che hanno causato il blocco operativo di importanti terminal portuali petroliferi europei, in un momento di grande tensione del mercato, che registra rincari che stanno alimentando un’inflazione inibente la ripartenza economica.

Alcuni di questi sono stati condotti dal ransomware BlackCat, una nuova piattaforma creata a fine 2021, più accessibile economicamente agli hacker, come osserva la società di sicurezza informatica statunitense Paloalto, ma dotata di strumenti software innovativi molto più insidiosi, che consentono di acquisire il controllo dei sistemi di destinazione. Tra le vittime, i giganti tedeschi Oiltanking e Mabanaft, che hanno deciso di attivare la clausola di forza maggiore, a causa del blocco che ha impedito di adempiere agli impegni contrattuali di fornitura, e l’hub portuale petrolifero transfrontaliero ARA (Amsterdam-Rotterdam-Anversa), che ha visto nel porto di Anversa la sospensione per circa 4 giorni delle operazioni di SEA-Tank Terminal, e il coinvolgimento della società olandese di stoccaggio Evos, che ha subito l’interruzione dei servizi IT nei suoi terminali di Terneuzen, Gand e Malta, causando ritardi operativi. Su questi episodi sono in corso indagini dell’Europol e delle magistrature tedesca e belga.

La sicurezza informatica di infrastrutture sensibili come i porti, ha la problematica principale nel trovare equilibrio tra l’esigenza di integrazione e la garanzia di indipendenza e riservatezza per la sicurezza nazionale. Una aspetto che solleva importanti questioni di intelligence, che richiedono vigilanza e un’attenta regolamentazione, per impedire nuove forme di colonizzazione elettronica, da parte di altri paesi o di grandi gruppi imprenditoriali. Tale passaggio ha bisogno di consistenti investimenti finanziari, ma anche di una nuova cultura eticamente orientata, che il mondo ha cercato scelleratamente di rinviare, ma che al punto in cui si è giunti, non è più possibile ignorare.

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