Interviste

Colloquio con Nereo Marcucci

La logistica ritrovi la bussola

di Marco Casale

«La crisi pandemica ha accelerato cambiamenti che erano già in atto, ridefinendo in modo paradigmatico il concetto stesso della globalizzazione» parte da qui la riflessione che Nereo Marcucci sviluppa nella nuova video intervista di Port News.

Dalla calata del Magnale – sullo sfondo le gru del Terminal Darsena Toscana- l’ex presidente dell’Autorità Portuale di Livorno, oggi uno dei 64 componenti del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, analizza alcuni dei trend che stanno caratterizzando la logistica nei traffici via mare.

Come sottolineato da Gian Enzo Duci (leggi l’intervista qui), la Pandemia ha dato il via ad un nuovo ciclo storico che secondo Marcucci era in incubazione a partire dalla guerra dei dazi e che, per un periodo di incerta durata, sarà  caratterizzato – almeno per quanto concerne il trasporto containerizzato – da noli alle stelle e da una domanda di beni di consumo “drogata” dalla ridotta mobilità di merci e persone nel periodo delle misure di contingentamento anti-coronovirus.

«Questo è solo l’aspetto più evidente e più “narrabile” che, assieme altre concause, sta peraltro bloccando settori produttivi come quello dell’automotive.  Ma si tratta solo di una fase del ripensamento complessivo della globalizzazione» afferma Marcucci, il quale esemplifica richiamando il rapporto consegnato al Presidente Biden dal suo gruppo di esperti, che definisce insostenibili per gli USA processi di approvigionamento di prodotti strategici che attraversano 70 paesi in 100 giorni: «Il Global dovrebbe quindi essere sempre di più Glocal, con l’accentuazione del reshoring, di soft supply chain regionali alternative o della duplicazione di quelle globali e con magazzini di prossimità».

Il punto è: «Chi darà una  regia al cambiamento? Le Nazioni senza ricchezza o le ricchezze senza Nazione, per citare il famoso libro scritto nel ’93 da Giulio Tremonti, Sabino Cassese, Tiziano Treu e Francesco Galgano?» si chiede Marcucci, per il quale la partita tra i grandi operatori, complice anche lo sviluppo esponenziale dell’e-commerce, avrà due terreni di gioco : uno globale e l’altro locale. «Credo sia questo il motivo per il quale registriamo ogni giorno M&A degli operatori marittimi e di quelli dell’e-commerce diversificati rispetto al proprio core» riflette l’ex amministratore delegato di Contship.

La previsione di una pluralità di modelli di gestione dei traffici potrebbe d’altronde spiegare perché, stando alla stampa specializzata, gli armatori di portacontenitori stiano prenotando navi di dimensione minore rispetto a quelle gigantesche degli ultimi anni. «Le ULCS solo una ventina su 619. Anche questo è un segnale che ci deve far pensare: nell’attuale portafoglio ordini le unità da 13.000/16.000 TEU vanno per la maggiore corrispondendo al bisogno prospettico di maggiore flessibilità. Una situazione che potrebbe rappresentare per alcuni porti  una opportunità da cogliere».

Cercare un nuovo equilibrio tra efficienza e adattamento a sempre nuove aspettative di sviluppo non è facile. Marcucci ne è consapevole, tanto da offrire, sul tema dei caricatori, e spedizionieri, disposti a noleggiare in proprio le navi pur di far fronte al caro noli, una visione non manicheistica: «C’è chi gioca di tattica e chi invece vuole portare avanti determinate strategie».

Per il componente del CNEL, alcuni spedizionieri europei e alcuni grandi shipper come IKEA , stanno reagendo, unicamente all’alto livello dei noli. «Lo chiamerei fallo di reazione. È una logica di difesa, uno dei diversi modi per difendere le proprie marginalità e i prezzi al consumo».

Ma non è detto che tale soluzione riesca a portare a grandi sviluppi: «Non credo infatti un simile atteggiamento sia in grado di incidere sul big game delle compagnie di navigazione che stanno da tempo portando avanti una strategia focalizzata su  logiche di integrazione verticale oggi estese anche al mercato B2C e alla logistica dell’ultimo miglio della quale la vicenda dei noli è solo una conferma».

Per le comunità portuali la partita da giocare è assai complessa, soprattutto se si vuole capire se e come tornare a costruire lavoro e creare ricchezza nel nuovo contesto che si va consolidando. «Su questo tema bene ha fatto Ivano Russo a sottolineare il tema del decoupling, cioè del disallineamento della logistica dall’economia reale. Il suo messaggio è chiaro: l’incremento statistico dei volumi (basti pensare al transhipment che moltiplica per x+n volte gli stessi TEU) non genera sempre e comunque ricchezza, né per il Paese né per le comunità locali, specialmente in un contesto di concentrazioni organizzative, innovazione tecnologica e digitale, miglioramenti infrastrutturali e semplificazioni burocratiche».

Fenomeni che pure vanno compresi, vissuti e discussi «per costruire una visione capace di cogliere ogni opportunità e per ripensare la logistica e la funzione dei porti in relazione a ciò che è venuto meno e che oggi è il problema di gran parte del mondo occidentale: la produzione industriale come strumento principe al servizio dell’economia reale del Paese particolarmente nel centro Italia e nel Sud».

Marcucci invita a leggere con attenzione le oltre 2.000 pagine del PNRR per apprezzare – per il Sud – l’attenzione ai porti ed alle ZES come fattore contestuale e promozionale della reindustrializzazione finalizzato a sanare un vulnus centenario. Secondo l’ex presidente della Port Authority livornese occorre ricominciare a considerare la manifattura come fine e la logistica come mezzo. «In caso contrario – e su questo Ivano ha ragione da vendere, così come l’aveva prima di lui il direttore generale delle Dogane Giuseppe Peleggi – rischiamo  di diventare prevalentemente un nastro trasportatore in Italia e verso l’Europa a favore della merce altrui».

Lo sviluppo e la realizzazione di nuove infrastrutture che le imprese di costruzione italiane potrebbero realizzare all’estero non rappresentano una alternativa:  «Ho letto con interesse l’intervento del Presidente Zeno D’Agostino, che considero una delle menti più brillanti del nostro settore. Condivido la necessità di ridefinire la vocazione dei porti su logiche diverse da quelle meramente infrastrutturali».

Ma di qui a dire che i grandi costruttori italiani debbano farsi parte attiva e proporsi non solo per la costruzione ma anche per la gestione dei terminal portuali stranieri, ce ne corre. «In un mondo nel quale la oligopolizzazione della supply chain è sotto gli occhi di tutti non inviterei i nostri imprenditori ad investire nei terminal portuali stranieri. Il rischio è quello di vedersi espropriati dall’armatore di turno che gode di buone relazioni con il sistema politico locale».

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