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Interviste

Colloquio con Livia Spera

L’automazione non trasformi i portuali in spettatori paganti

di Marco Casale

Gru comandate in remoto da una torre di controllo, carrelli gommati automatizzati per il trasporto del container da banchina a piazzale e servizi abilitati digitalmente, in grado di controllare il flusso della merce dalla fabbrica al consumatore. Il cambiamento di paradigma che ha investito i porti negli ultimi anni è ormai visibile: il gigantismo navale, le integrazioni verticali e orizzontali, le fusioni e le alleanze tra compagnie marittime hanno trasformato il panorama generale sul lato mare; la tecnologia potrebbe fare il resto sul lato banchina.

Se per molti porti l’automazione è già una realtà, per altri diventerà presto una scelta obbligata pena la perdita dei traffici. Ma qual è il prezzo da pagare per tutto ciò? Non rischia l’automazione di essere piuttosto una mannaia per gli impiegati addetti alle operazioni portuali? Livia Spera, Segretario porti della Federazione Europea dei lavoratori del Trasporto (European Transport Workers’ Federation), non crede che il progresso possa essere fermato. «Non siamo dei trogloditi rimasti fermi all’età della pietra, ma ciò non toglie che certi processi vadano comunque saputi governare».

È indubbio infatti che l’automazione abbia come conseguenza implicita quella della progressiva riduzione di un numero sempre maggiore di operai. «A Rotterdam l’automation è stata praticata in modo piuttosto importante, tanto che la nascita del terminal Ap Moeller-Maersk di Masslavkte 2 ha dato il via a nuova fase di contenziosi con le parti sociali. Non era chiaro infatti quale sarebbe stato il destino dei lavoratori portuali impiegati nelle vecchie strutture terminalistiche». Ad Amburgo, invece, la transizione verso l’industria 4.0 è stata più morbida, «anche perché in Germania i sindacati partecipano attivamente alla vita delle imprese, sedendo nei consigli di amministrazione».

Per Livia Spera quel che conta è che le sigle sindacali sappiano farsi parte dirigente nelle fasi di negoziazione, occupandosi della salvaguardia dei livelli occupazionali: «La rivoluzione digitale deve essere accompagnata da un confronto costante con i datori di lavoro. Oggi c’è un problema demografico nella maggior parte dei porti europei: i lavoratori sono sempre meno» e quelli più fragili e sensibili ai cambiamenti nei processi lavorativi sono le persone che hanno alle spalle più di trent’anni di anzianità professionale. «Sono unità lavorative che hanno anche più di cinquant’anni e che difficilmente possono essere recuperate a nuove funzioni o attività lavorative». Troppo anziani per poter essere reimpiegati anche grazie al sostegno della formazione, ma troppo giovani per andare ancora in pensione: «Noi dobbiamo occuparci del loro futuro. Sono risorse preziose su cui un datore di lavoro ha investito tempo e denaro per formarli. Non ha senso privarsene».

E allora che fare? A mali estremi estremi rimedi: «Perché non pensare di applicare ai terminalisti una Robot Tax?». La proposta non è nuova: a lanciare l’idea è stato un anno fa il fondatore di Microsoft, Bill Gates: «Ogni robot sostituisce un lavoratore, che ogni anno percepisce uno stipendio su cui versa le tasse. Il licenziamento di questo worker provoca chiaramente una mancata fiscalità, che dovrebbe essere recuperata tassando i robot e le aziende che li costruiscono. I proventi andrebbero destinati a fondi per garantire una transizione giusta e per compensare la riduzione di entrate fiscali necessarie a coprire il finanziamento di infrastrutture».

La segretaria dell’ETF è convinta che non si tratti di una ipotesi così peregrina. Anche se l’alternativa a una soluzione così radicale c’è e si chiama mutualizzazione del costo del lavoro. Spera pensa al modello Anversa e al suo pool di manodopera. Lo scalo belga è il secondo porto d’Europa, tredicesimo al mondo: «Il pool è un po’ un tratto comune a tutti i porti europei ma ad Anversa ha assunto connotati particolari. I terminalisti non hanno dipendenti ma sono tutti azionisti della locale Compagnia Unica, che però come in Italia paga le giornate non lavorate».

L’assioma è chiaro: minore è il numero di dipendenti assunti da un terminal, maggiore è la probabilità che quelli del pool di manodopera lavorino di più. «Durante la crisi del 2008 ci sono stati periodi di calo generalizzato del traffico ma nessuno è stato licenziato. L’anno prossimo Anversa assumerà 700 nuovi lavoratori». Non sono numeri da poco in un contesto dominato dalla automatizzazione spinta e dalla rincorsa alla competitività: «La tecnologia non è il nostro nemico. I nostri nemici sono coloro che in nome del progresso autorizzano forme di dequalificazione professionale del lavoratore».

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