© Luigi Angelica
Interventi

Sfide, rischi e opportunità nell'era dei big data

L’IA ci ruberà il lavoro?

di Cristina Pronello

Professoressa ordinaria al Politecnico di Torino e ceo di Mobyforall

Raccogliamo e pubblichiamo con piacere il contributo della professoressa universitaria Cristina Pronello, intervenuta nei giorni scorsi alla due giorni di dibattiti organizzata a Livorno dalla Filt-CGIL, iniziativa incentrata sul tema dell’automazione nei porti e dell’intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale (IA) è al centro del dibattito corrente sull’innovazione tecnologica e viene considerata come la nuova rivoluzione della nostra epoca, con un tasso di adozione molto più rapido da parte dei consumatori e delle aziende rispetto ad altre recenti innovazioni tecnologiche come Internet o i telefoni cellulari. Questo processo, però, è in atto da anni, molto più di quanto possiamo immaginare.

Il termine “intelligenza artificiale” viene coniato nel 1956, nel corso della Darmouth Conference, dal matematico americano John McCarthy, insieme al matematico di Harvard Marvin Minsky e da due ricercatori del laboratorio della Bell Telephone, Claude Shannon, e di IBM, Nathan Rochester. Gli anni 50 sono stati “l’alba dell’era artificiale”, in un contesto dominato da continue conquiste tecnologiche, da un crescente ottimismo nel potere della tecnologia, dove “l’artificiale” era destinato a risolvere i problemi della natura, che diventava “l’emarginata”. La guerra fredda ha, in seguito, accelerato gli investimenti nell’IA negli Stati Uniti e, successivamente, altri paesi hanno seguito la corsa all’IA che è esplosa in questi ultimi anni.

L’implementazione dell’IA, però, richiede un approccio strutturato e socialmente accettabile che non può prescindere da una responsabilità politica che faciliti la transizione della forza lavoro. Se ascoltiamo quanto emerso nel World Economic Forum, tenutosi a Davos nel gennaio 2025, registriamo due punti principali emersi nella discussione degli stakeholder sull’IA:

1) la tecnologia sta avanzando più velocemente della capacità della forza lavoro di acquisire nuove competenze;

2) siamo ancora in una fase iniziale, di test e sperimentazione, perché l’IA non viene necessariamente utilizzata nelle attività quotidiane. L’attuale adozione dell’IA, come evidenzia la letteratura, è principalmente nella manutenzione predittiva perché può basarsi su un numero sufficiente di dati interni alle aziende. Altre attività predittive, trasversali a diversi settori dei trasporti spesso si riferiscono alla sicurezza ed alla gestione dell’energia, ma la maggior parte delle applicazioni sono ancora in fase di sperimentazione.

Un aspetto degno di nota, legato alla lentezza dell’adozione dell’IA, è la scarsa conoscenza degli effetti e dei benefici di questa “rivoluzione” perché questi devono ancora essere dimostrati e le incertezze ed i rischi possono metterne in discussione la sostenibilità economica: la maturità della tecnologia, l’accettazione da parte del mercato ed i cambiamenti politici possono influenzare il rapporto costi-benefici.

Come emerge da un’indagine di Oliver Wyman su 300 aziende globali, il 97% delle organizzazioni ha utilizzato l’IA come leva strategica per la trasformazione, ma solo il 17% afferma che gli investimenti hanno superato le aspettative. I costi iniziali sono elevati, la riqualificazione e l’aggiornamento della forza lavoro sono necessari e la transizione verso nuove competenze per nuovi lavori richiederà tempo mentre i benefici potrebbero arrivare dopo un lungo periodo; ciò potrebbe sfidare gli investitori e i decisori politici, con ovvi effetti distorsivi sulla ricerca.

Per ottenere benefici dall’AI, ad esempio, sono necessarie strategie sulla forza lavoro, incentrate su competenze in rapida evoluzione con uno sforzo per cambiare la mentalità di tutti i lavoratori, dai vertici al middle management, fino ai livelli più bassi, concentrandosi soprattutto sulla gestione dei rischi che la sua adozione comporta. Infatti, mentre l’IA è una tecnologia, il suo utilizzo è un approccio ai problemi e può diventare una forma mentis: ad esempio, risparmiare tempo in alcune attività e diminuire il costo del personale.

Quindi, la gestione dei rischi su cui formare le persone è legata all’insegnamento sull’utilizzo dell’IA, adottando approcci formativi che mostrino come la chiave non sia essere più veloci nel recuperare le informazioni o nell’identificare possibili soluzioni, bensì nel valutare la qualità delle informazioni e nell’evitare un’enfasi eccessiva in merito ai benefici basati sul potenziale predittivo degli algoritmi, dimenticando che questi funzionano bene solo se i dati che li alimentano sono “molto grandi”.

L’eccesso di entusiasmo sui big data nei trasporti è fuorviante perché ci si dimentica che non abbiamo abbastanza dati e che la maggior parte di questi non sono digitalizzati e che continuiamo a basarci sui tradizionali modelli probabilistici (perché i dati sono limitati).

La mancanza di dati è il vero tallone di Achille dell’IA e questa mancanza ha alimentato un mercato dei dati nelle mani di poche grandi aziende che ne detengono il monopolio. I player globali come Google, Apple, Microsoft, Amazon, Meta – solo per citare i più importanti – sono coloro che, attraverso i loro servizi, raccolgono dati personali e profilano le persone.

I sistemi operativi (Android e IoS) non consentono ad altre aziende di tracciare le persone o di raccogliere gli stessi dati che loro raccolgono e questo genera un duplice effetto: il monopolio dei dati grazie all’annullamento della concorrenza e l’impossibilità di innovazione grazie ai dati da parte di altre aziende. Il fatto che Google ed Apple abbiano sviluppato i sistemi operativi dei dispositivi che noi utilizziamo li pone in una posizione di vantaggio competitivo che non vogliono perdere, perché i dati sono come l’odierno petrolio, fonte di profitti immensi.

In un’epoca in cui si parla di mercati aperti e di concorrenza, siamo di fronte ad un paradosso che solo la politica potrebbe interrompere, con interventi sul tracciamento dei dati, sulla loro vendita e sulla opportuna tassazione di aziende di altri paesi che in Europa fanno grandi profitti. L’attuale politica europea sulla privacy, paradossalmente, penalizza le aziende europee a favore di quelle extra-europee, con la conseguenza di non proteggere (se non virtualmente) la privacy dei cittadini e non garantire la sicurezza informatica. Non è uno scenario improbabile pensare che le persone potrebbero maturare la consapevolezza di essere fonte di grandi profitti senza trarne un reale vantaggio e generare una svolta che potrebbe penalizzare il digitale a favore dell’analogico, vanificando la raccolta dei dati grazie ai dispositivi digitali.

Un altro aspetto su cui riflettere è che l’adozione dell’intelligenza artificiale non è uniforme non solo tra i vari settori, ma soprattutto tra i diversi Paesi, con un forte divario tra l’Europa ed i Paesi non UE, in particolare gli Stati Uniti ed i Paesi asiatici. Il Forum AI index di Oliver Wyman, pubblicato nel gennaio 2025, mostra come l’AI Index identifichi otto Paesi come leader dell’IA, con Stati Uniti e Cina rispettivamente al primo e al secondo posto. I Paesi europei mostrano una diversa velocità di adozione, con solo Francia e Germania tra i primi otto, ma in fondo alla classifica. Appare chiaro quanto sia disomogeneo il tasso di adozione dell’IA nel mondo, contribuendo ad esacerbare le differenze e ad aumentare le tensioni.

In effetti, mentre la maggior parte della letteratura su questo argomento si concentra principalmente sugli aspetti tecnologici dell’IA; questa presenta molteplici dimensioni che vanno dalla cultura, alla società, alla forza lavoro, all’ambiente, alla politica ed alla geopolitica. La corsa all’IA è guidata principalmente da ragioni economiche e dalla corsa alla supremazia e questo è il rischio maggiore, soprattutto per le sue implicazioni geopolitiche ed etiche: rischio di speculazione ed eccessiva enfasi sulla scienza dei dati, trascurando il pensiero critico e sopravvalutando la fiducia negli algoritmi. Senza programmi di formazione attentamente progettati, che tengano conto dei molteplici aspetti di questa tecnologia, rischiamo di non preparare adeguatamente questa e le prossime generazioni al futuro.

Prima di implementare l’IA, è quindi necessario un importante sforzo educativo ai diversi livelli scolastici (dalle elementari all’università) e poi a tutti i livelli della forza lavoro: preparare le persone a pensare in modo indipendente, a essere creative e ad essere esseri umani sociali (collaborazione anziché competizione).

Infine, nel settore dei trasporti è fondamentale aumentare il livello di qualità dei servizi prima di applicare l’IA perché, altrimenti, il rischio maggiore è quello di trascurare le esigenze di base del settore a favore dell’illusione tecnologica. Togliere finanziamenti ai servizi di base per investire nell’IA significa trascurare le esigenze degli utenti, non prendersi cura di loro … e gli utenti sono i clienti dei sistemi di trasporto.

Torna su