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Interviste

Colloquio con Fabrizio Vettosi

Lo shipping e il dilemma del prigioniero

di Marco Casale

Da diversi anni, ormai, le montagne russe dei risultati nel settore container spingono le compagnie a una navigazione sempre più impervia.La continua crescita della capacità della flotta mondiale di trasportare merce, assieme a bassi noli, ha generato un’estenuante altalena dei prezzi, dove a timidi aumenti si alternano cali sempre più vistosi.

«Se applicassimo la teoria dei giochi, ci troveremmo di fronte a un caso da dilemma del prigioniero» osserva Fabrizio Vettosi, direttore generale di Venice Shipping and Logistics Spa. «Per colmare il divario tra domanda e offerta, e rispondere agli equilibri inefficienti prodotti dalla strategia dominante del gigantismo navale, i grandi player stipulano accordi vincolanti per limitare la concorrenza e provare a tenere i noli alti, salvo puntualmente disattenderli e lanciarsi in una forsennata corsa all’investimento».

La scelta di ricorrere alle mega containership per ridurre i costi unitari rappresenta insomma proprio quel tipo di strategia dominante che sta producendo l’equilibrio inefficiente di cui si parla nella teoria dei giochi. «È una strategia che sta portando le compagnie a schierare queste navi sulla rotta più trafficata la mondo, quella che collega l’Asia all’Europa. Le unità uscite dalla rotta principale devono trovare una nuova collocazione nelle altre rotte. Ma l’introduzione di navi sempre più grandi anche sulle altre direttrici commerciali sta mettendo sotto stress i porti e i terminal che non sono in grado di accogliere le nuove containership per limiti strutturali».

Si tratta di un fenomeno che presto o tardi «coinvolgerà anche i porti di transhipment, che potrebbero essere tagliati fuori dalla scelta dei carrier di ridurre le port call, puntando ai collegamenti diretti tra i porti di origine e quelli di destinazione finale».

Occorrerebbe pertanto una diversa strategia da parte degli armatori: «Dovrebbero investire di più a terra nell’ammodernamento dei terminal, per consentire agli scali portuali sotto stress di rispondere in modo adeguato alle sfide imposte dal gigantismo navale».

Vettosi ne è certo: «La battaglia sul size è finanziaria ma anche logistica: da una parte i big player ristrutturano le rotte esistenti, consolidando i carichi su un numero inferiore di porti; dall’altra riducono la velocità operativa delle navi, dilatando i tempi dello shipment. Purtroppo, come disse nel 2001 Martin Stopford: “Un giorno non avremo bisogno di grandi containership ma di grandi feeder“. Mai  previsione si è rivelata più azzeccata».

Per Vettosi ci troviamo oggi di fronte a un periodo di grandi cambiamenti: «L’imposizione sulla scena mondiale della Cina sta incrementando notevolmente i flussi commerciali tra l’Asia e l’Europa, tanto che oltre la metà del traffico mondiale di merce è ormai movimentato dai porti cinesi. Con il passare del tempo, il Dragone è diventato cargo owner, ma anche ship owner e costruttore (nonché demolitore) di navi. In pratica, Pechino controlla tutta la supply chain e pertanto ha interesse a tenere basso il costo del trasporto. Questo è il primo grande cambiamento che si sta registrando nel settore dello shipping mondiale».

Quale sia il secondo è presto detto: «La velocità con cui circolano oggi le informazioni nell’epoca della digitalizzazione rende il mercato molto più simmetrico e tendente ad auto-equilibrarsi rapidamente. Se tali fenomeni fossero stati percepiti tempestivamente non si sarebbe venuto a creare il mortale oversupply che ha generato la crisi del 2009».

Anche le banche stanno vivendo una fase di epocale cambiamento: «Assistiamo all’affermarsi di modelli di business nuovi, basati sul servizio e non sul prestito. Gli istituti di credito non sono di fatto più dei risk taker ma preferiscono lasciare tale compito al capitale privato diretto (private equity e private debt). Le regole bancarie (Basilea 3.5) rendono infatti molto più difficile l’erogazione di credito specialistico (tra cui vi è lo shipping), in quanto questo richiede troppo capitale e molte risorse da formare».

La verità è che dopo la fase ‘aurea’ tra 1998 e 2008 di grande redditività degli affari, oggi lo shipping è diventato un business a bassi margini al pari di gli altri settori della logistica. In un contesto simile, le recenti imposizioni dell’IMO sull’uso di carburanti a basso tenore di zolfo rischiano di ridurre ulteriormente le possibilità di guadagno: «La flotta mondiale convenzionale ha un’età media di poco più di 11 anni: non possiamo demolirla per effetto di normative la cui attuazione è a volte anche incerta sui tempi. Abbiamo tutti a cuore la tutela del nostro ambiente, ma non vorrei che per tutelare l’ambiente oltremisura si ammazzassero le aziende».

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