Non sono passati neanche due mesi dal 2 aprile, il “liberation day” di Donald Trump, e tutto sembra cambiato. Al momento molti dei dazi inizialmente annunciati dalla Casa Bianca sono congelati ma resta da vedere quale esito avranno i negoziati commerciali con i vari paesi del mondo.
La pausa provvisoria di 90 giorni concessa dal presidente americano l’11 aprile scorso scade il 9 luglio mentre quella siglata con la Cina, che ha portato a una sospensione di tre mesi delle tariffe punitive (sino al 145%), protrarrà i suoi effetti sino a tutto metà agosto.
Ieri il Tycoon ha però dichiarato che “nelle prossime due o tre settimane” invierà a 150 Paesi le lettere sulle nuove condizioni dei dazi alla fine della tregua, prospettando di fatto la possibilità che gli Stati Uniti impongano unilateralmente tariffe più alte anziché concludere accordi, anche perché – lo ha detto lo stesso Trump – “i negoziati stanno procedendo troppo lentamente”.
Una cosa, quest’ultima, che non dovrebbe sorprendere, dal momento che normalmente gli accordi commerciali richiedono di solito anni prima di essere raggiunti.
“Dopo l’imposizione unilaterale dei dazi del 2 aprile scorso, rischiamo oggi di trovarci di fronte alla stessa scena. Da questo punto di vista, le nuove dichiarazioni rese da Trump rappresentano un deja-vu” afferma in suo post il ceo di Vespucci Maritime, Lars Jensen, sottolineando come per i caricatori e gli spedizionieri aumentino notevolmente le incertezze.
E’ a partire dallo scorso 11 aprile che gli importatori statunitensi sono al lavoro per importare il maggior numero possibile di merci da paesi non cinesi prima della deadline del 9 luglio, quando scadranno i 90 giorni. E dalla scorsa settimana sono aumentate in modo vertiginoso anche le spedizioni di merce cinese agli States, con un effetto particolarmente dirompente sul trade transpacifico. “Il taglio del 115% dei dazi statunitensi sulla Cina è stato più ampio del previsto” scrive Linerlytica, che aggiunge: “L’impennata delle importazioni prevista per i prossimi 3 mesi potrebbe superare i picchi registrati durante l’era COVID, nel 2021-2022”.
La corsa alla spedizione anticipata della merce (front-loading) da parte degli importer ha chiaramente avuto come effetto quello di imprimere un nuovo slancio rialzista ai noli spot. Che dopo quattro cali settimanali consecutivi, sono tornati a crescere, mettendo a segno la scorsa settimana un +8% su quella precedente, e salendo a una media di 2233 dollari. I dati di Drewry mostrano in particolar modo come sulla Shanghai – Los Angeles e sulla Shanghai – New York i noli siano aumentati del 16 e del 19% su base settimanale.
Non è un caso che su queste rotte i principali carrier abbiano visto aumentare le prenotazioni degli slot disponibili a bordo delle proprie navi. A cominciare da quelle di Hapag- Lloyd, che in due giorni (lunedì e martedì scorso) ha fatto registrare un aumento del 50% su base settimanale.
“Se la domanda di mercato si manterrà a questi livelli anche per i prossimi giorni, è assai probabile che i vettori decidano di tenere invariati i vari aumenti tariffari generali (General Rate Increse) di 1000-3000 dollari a FEU annunciati e attuati il 15 maggio scorso” scrive The Loadstar, sottolineando come l’alleanza Gemini (Maersk + Hapag Lloyd) abbia annunciato l’intenzione di aumentare le dimensioni delle navi impiegate sulle rotte transpacifiche in risposta alla rinnovata domanda di mercato.
E la Premier Alliance (One, HMM e Yang Ming) si è spinta anche oltre, annunciando il lancio anticipato del servizio Premier Alliance Pacific South 5 (PS5), che dal prossimo 5 giugno 2025 collegherà i porti di Qingdao, Ningbo, Long Beach, Oakland e Kobe, utilizzando 6 navi da 6.500 TEU.
Il quadro di insieme descrive insomma una traiettoria ascendente per i noli spot, che come noto sono reduci da un periodo di forti cali, con un andamento al ribasso che, al di là di qualche temporanea eccezione, ha caratterizzato tutta la prima parte del 2025.
Quantunque le tariffe siano oggi al di sotto degli livelli di inizio anno, nei confronti dei quali risultano avere valori nettamente inferiori (tra il -51 e il -44%, a seconda dei trade di riferimento), è anche vero che rimangono sostanzialmente elevate in confronto al periodo ante-crisi del Mar Rosso (dicembre 2023), in confronto al quale mantengono valori mediamente superiori del 50%, con picchi del 74 e del 66% se vi vanno a prendere in esame le tariffe applicate sulle rotte tra il Far East e la costa occidentale USA e quelle applicate nei collegamenti tra l’Asia e il Mediterraneo.
Potrebbe essere questo uno dei motivi per cui i vettori stanno continuando a utilizzare quasi tutta la flotta disponibile, a dispetto, dunque, delle incertezze tariffarie e commerciali.
Alphaliner segnala come il numero di portacontainer commercialmente inattive sia aumentato marginalmente nelle ultime due settimane, passando dalle 61 unità di inizio maggio alle attuali 66 portacontainer. In questo lasso di tempo, L’idle fleet ha visto aumentare la propria capacità di circa il 45%, da 150.778 a 217.799 TEU.
La società di analisi mette però le mani avanti rimarcando come la maggior parte di queste navi siano rimaste inattive principalmente per motivi operativi piuttosto che a causa di un’effettiva mancanza di domanda di tonnellaggio.
Quel che è sicuro è che le attuali incertezze finiranno con l’esercitare una forte pressione sui mercati di trasporto via mare, spingendo molti carrier a ritardare le decisioni di investimento.
Gli ultimi dati di Clarksons Research, citati da Splash247, mostrano che, dopo tre anni di ordini record, la domanda di nuove costruzioni risulta ad oggi essere in calo del 57% su base annua. In calo anche i prezzi, in diminuzione dell’1,2% dall’inizio del 2025.
Al netto dei nuovi ordinativi in cantiere, gli sforzi dei big carrier sono ora tutti rivolti ad un unico obiettivo: quello di raccogliere i frutti della nuova corsa all’oro nel trade transpacifico. Il presente potrebbe infatti regalare qualche soddisfazione ma del futuro non c’è certezza.
“Se gli accordi commerciali dovessero fallire miseramente e Trump dovesse decidere di ripristinare i dazi, quello di oggi diventerà soltanto un fugace ricordo per gli operatori del settore” scrive su Lloyd’s List Linton Nightingale, che avverte: “La reintroduzione delle tariffe commerciali potrebbe rappresentare una catastrofe economica per gli USA, alimentando la prospettiva di una recessione”.