La riforma dei porti sarà legge entro la fine della primavera. Lo aveva dichiarato a fine aprile il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, sottolineando come si stesse studiando all’interno della norma l’ipotesi della istituzione di un soggetto di coordinamento a controllo pubblico di diretta emanazione del Ministero cui delegare le leve di coordinamento relative alla gestione degli investimenti e alla promozione dei porti del sistema nazionale.
L’obiettivo dichiarato da Salvini è quello di spendere bene e meglio i soldi dei contribuenti italiani, indirizzandoli verso investimenti proficui, ma lo strumento scelto per raggiungere lo scopo è quello giusto? “La questione va affrontata con la giusta attenzione “ afferma a Port News il Direttore generale dell’Associazione Nazionale Compagnie Imprese Portuali (ANCIP), Gaudenzio Parenti.
“Partiamo da due assunti di fondo: l’Italia è una importantissima e, aggiungo, naturale piattaforma logistica incuneata in uno dei mari più strategici del mondo, il Mediterraneo, e ha un know how imprenditoriale e lavorativo d’eccellenza. Ciononostante, presi tutti insieme i nostri porti non riescono a movimentare i container totalizzati dal solo porto di Rotterdam”.
Parenti non intende fare paragoni azzardati: “Le due realtà, quella italiana e quella olandese, sono troppo diverse per essere messe a confronto e, anzi, come dico sempre, quelle del Northern Range non dovrebbero neanche essere prese come punto di riferimento. I numeri, invece, ci servono a capire che da noi non prevalgono le singole individualità. Siamo in grado di competere solo e soltanto se riusciamo a fare massa critica, ad essere concretamente un Sistema portuale e logistico integrato nazionale”.
Una intuizione, quest’ultima, che ebbe l’allora Ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Graziando Delrio, quando, nel 2016, ideò e mise a punto una riforma che ha abolito le singole Port Authority, riunendole in 16 sistemi portuali e delegando al Dicastero di Porta Pia il compito di coordinare e armonizzare, a livello nazionale, le scelte strategiche che attengono i grandi investimenti infrastrutturali, le scelte di pianificazione urbanistica in ambito portuale, le strategie di attuazione delle politiche concessorie del demanio marittimo.
Una scelta coraggiosa che, secondo molti analisti, non è stata però portata avanti con la giusta convinzione, perdendo con gli anni la sua forza propulsiva. L’esempio più significativo è rappresentato dalla Conferenza dei Presidenti di cui all’art.11 ter della novellata legge 84/94, che forse non ha svolto fino in fondo le funzioni per le quali era nata.
“Non entrerò nel merito di tali considerazioni, dobbiamo però essere onesti nel dire che forse si è prodotta una discrasia tra quelle che erano le intenzioni originarie del legislatore e i risultati effettivi raggiunti dalla norma” commenta il dg di ANCIP.
“Per noi è indubbio – e lo abbiamo più volte dichiarato in sede di audizioni parlamentari – che serve, ancora di più oggi, una forte ed autorevole regia centrale pubblica che sappia tutelare la naturale diversificazione commerciale dei porti e che possa indirizzare la portualità a livello strategico. Dovrebbe essere questa la funzione, ovvero l’obiettivo da perseguire” ammette, aggiungendo che saranno il Legislatore e la Politica a delineare la possibile natura giuridica del soggetto chiamato ad assumere tale compito.
“Noi attendiamo di conoscere l’articolato della proposta di Legge per poi eventualmente esprimere le nostre considerazioni ed osservazioni in sede di audizione ” dichiara ancora il manager portuale nazionale, sottolineando come in Italia l’overcapacity infrastrutturale abbia creato forti squilibri sul lato dell’offerta, andando a sopravanzare la domanda reale del 20%.
Per Parenti la vera sfida sarà quella di far convivere ed armonizzare le eventuali e future linee di indirizzo strategiche nazionali con la naturale volontà di ogni singola AdSP di implementare le infrastrutture e acquisire nuovi traffici. “Occorre valorizzare piuttosto le singole peculiarità, differenziando l’offerta infrastrutturale e la vocazione ricettiva di ciascuno scalo, andando comunque a trovare un giusto equilibrio tra i traffici merceologici e quelli passeggeri” dichiara.
Un simile risultato potrebbe essere raggiunto da un soggetto nazionale forte “che abbia le spalle larghe e la possibilità di dialogare alla pari con i grandi player dello shipping, oggi sempre di più integrati verticalmente, e, quindi, dotati di un potere contrattuale molto più forte rispetto al passato”.
Il manager rimane anche convinto dell’idea che tale soggetto possa coadiuvare, supportare e dare impulso alle Autorità di Sistema Portuali, sempre più enti speciali, nel fornire in tempi rapidi le risposte strategiche che i grandi operatori chiedono. “Ho seguito l’avvocato Matteo Paroli nella sua audizione presso la Commissione Trasporti al Senato, in cui ha stigmatizzato la lentezza operativa con cui le Autorità Portuali rispondono alle mutevoli esigenze di mercato. Un problema, questo, che deriva anche dalla forte stratificazione normativa e burocratica e dalla scarsa elasticità dei nostri strumenti di regolazione portuale”.
Secondo il dg di Ancip, i piani regolatori non possono e non devono essere strumenti rigidi: quasi un controsenso rispetto alla dinamicità dei traffici portuali. “Occorrerebbe invece dare ad una impresa portuale la possibilità di usare la propria area in concessione per movimentare anche tipologie di traffico differenti rispetto a quelle originariamente stabilite dal PRP. Questo non vuol dire che in banchina si possa fare qualsiasi cosa, anzi. Ma se per ragioni di mercato (e per non perdere traffici) emerge la necessità di destinare una concessione, o parte di essa, ad una finalità d’uso diversa rispetto a quella preventivata, l’ente concessionario deve poterlo fare, senza dover giocoforza presentare un Adeguamento Tecnico Funzionale o, peggio, avviare l’iter di modifica del PRP, che richiede anni prima di essere completato”.
Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per i dragaggi. “I clienti non attendono i tempi della burocrazia, soprattutto in questa nuova era di continui mutamenti geopolitici”.
Semplificando ed estremizzando il concetto, Parenti arriva ad affermare che un PRP non dovrebbe limitarsi a distinguere le funzioni commerciali di un porto da quelle dedicate ai passeggeri: “Fatta questa distinzione, e fatta salva la necessità di garantire la legalità e la giusta sicurezza, dovrebbe essere consentito al soggetto concessionario di adeguare, previe garanzie, il proprio piano industriale alle mutevoli esigenze di mercato. E non lo dico nel solo interesse del concessionario ma anche e soprattutto in quello generale e pubblico: aumentare le entrate fiscali della merce movimentata e dei passeggeri in transito significa creare ricchezza diffusa e offrire possibilità di nuovi investimenti”.
Il dg di ANCIP ne è convinto: “Soltanto in questo modo sarà possibile vincere le sfide che attendono il settore portuale nazionale, chiamato a aumentare la propria attrattività competitiva per far fronte alla crescita strategica delle nazioni portuali mediterranee oggi in competizione con la nostra, a cominciare dal Nord Africa”.
In estrema sintesi: “Serve una regia nazionale forte, strumenti di pianificazione certi ed elastici senza dimenticare l’imprescindibile mantenimento della regolazione del mercato”.