Interviste

Colloquio con Fabio Selmi

Se il gigantismo navale travolge la filiera dello shipping

di Marco Casale

«Dobbiamo tutti trarre giovamento dagli errori. D’altra parte la storia è la migliore insegnante che abbiamo». A quanti gli chiedono numi sul futuro dello shipping, il vicepresidente di Asamar Fabio Selmi non si accontenta di fornire risposte scontate, invitandoci anzi a osservare meglio quel che è accaduto nel recente passato in alcuni settori merceologici come l’ortofrutta.

In qualità anche di presidente CSA, importante agenzia marittima sulla quale da sempre si appoggia la multinazionale Dole per le proprie linee con il Centro America, Selmi può infatti ragionare con cognizione di causa dell’impatto del gigantismo navale sui mercati marittimi. La Dole operava infatti a Livorno con le proprie linee ma, quando il settore delle navi frigo convenzionali ha iniziato a perdere sempre più mercato a vantaggio dei container refrigerati, ha deciso di passare a questi ultimi stipulando un accordo con la MSC per servire il Centro America dai porti di Anversa e Rotterdam.

Il gigantismo navale è un fenomeno irreversibile che interessa anche altri mercati: «Le compagnie di linea pensano esclusivamente a riempire le navi, spingendo al ribasso i noli pur di non perdere il carico da imbarcare» spiega Selmi. «La spinta ribassista sui noli per contenitore trasportato rende di fatto sempre meno competitivo il trasporto della merce in break bulk. E tutto ciò non potrà non avere un impatto sul trasporto di altre tipologie merceologiche, a cominciare dai prodotti forestali che oggi viaggiano in larga maggioranza in stiva. Al di là del costo della nave, la cellulosa deve essere sbarcata, messa in magazzino e poi ricaricata sul camion. Con il contenitore è tutto più semplice: viene scaricato sulla banchina, caricato successivamente sul camion e portato a destinazione, dove viene poi svuotato da chi lo riceve».

Nel trasporto della merce via container si verificano insomma meno manipolazioni e la containership lavora anche in condizioni meteorologiche avverse. «Con il break bulk, inoltre, la nave arriva piena e va via vuota. La Dole aveva adottato un sistema diverso: usando la stiva per i pallett e trasportando in coperta i contenitori, all’interno dei quali venivano di solito trasportati gamberi congelati dall’Ecuador o partite di tonno dalla Colombia. Una volta scaricata la merce, la nave veniva riempita completamente per l’export con i contenitori».

Sotto questo punto di vista, il vantaggio competitivo dei porti nel Nord Europa è soltanto uno: «Anversa e Rotterdam non soltanto sono più attrezzati per le grandi navi ma sono specializzati anche nel project cargo, che chiaramente non viene trasportato via container. Anche nel break bulk si potrebbero e si dovrebbero ipotizzare navi con commerci in export ma purtroppo iniziative di questo tipo sono sporadiche».

Fabio Selmi ricorda gli inizi della sua carriera negli anni Settanta come agente marittimo di importanti compagnie portoghesi, come Port Line o Transinsular: «Allora operavamo in un’altra era geologica, visto che le condizioni di vendita erano Liner Terms. Il nolo comprendeva il trasporto marittimo da fondo stiva al palanco (il gancio della gru) mentre il nolo terra, ovvero tutto il ciclo operativo che andava dal palanco al magazzinaggio sino al ricarico della merce in camion, era invece di competenza del ricevitore».

Con l’attuale Door to Door l’intero ciclo operativo – dall’origine sino alla destinazione finale della merce – rimane invece di competenza del produttore internazionale: «Gli accordi non li fanno più gli armatori ma lo stesso produttore, che stringe un’intesa con il compratore per includere nella fattura di vendita del prodotto la consegna della merce sino a domicilio. Ed è sempre il produttore a contrattare il nolo mare con l’armatore così come i costi di sbarco e di franchigia direttamente con il terminalista».

Il vicepresidente di Asamar non ha difficoltà ad ammettere che «le figure dello spedizioniere e del terminalista hanno perso così potere a livello contrattuale ed economico. Si è indebolito quel ruolo di intermediazione che sapevano garantire». Grosso modo quanto sta accadendo anche nel commercio, col piccolo negozio che viene inglobato dai grandi centri di distribuzione: «Vengono eliminati gli inutili passaggi intermedi e si tratta di un processo inarrestabile».

L’unico modo per sopravvivere nell’era della globalizzazione è puntare all’aggregazione su tutti i livelli. Selmi spiega infatti come oggi sia «sempre più facile avere a che fare con soggetti multiservice che sono terminalisti, agenti marittimi e spedizionieri. In grado di gestire tutto il percorso della merce, dall’origine alla destinazione finale, e a prezzi sempre più competitivi».

Intendiamoci: un margine di sviluppo dello shipping esiste e ci sarà sempre. Per traguardare nuovi orizzonti occorre però avviare un cambio radicale di mentalità: «Ad esempio i porti italiani, e penso in particolare a quello di Livorno, potranno vincere la sfida della competizione internazionale soltanto se saranno in grado di migliorare i tempi e quindi i costi dello stoccaggio della merce. Perché possiamo realizzare tutte le infrastrutture che vogliamo ma non andremo da nessuna parte se impieghiamo un giorno di lavoro per scaricare una nave quando negli scali nord-europei la stessa operazione viene conclusa in appena quattro ore…».

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