Interviste

Colloquio con Ivano Russo

Su Psa-Sech prevalga il buon senso

di Marco Casale

«Non servono inutili ingessature, e non servono riforme organiche per rimuovere un vincolo ormai anacronistico. Il divieto di doppia concessione in porto, così com’è, rappresenta un freno allo sviluppo e agli investimenti».

Il direttore di Confetra, Ivano Russo, entra nel vivo della vicenda Psa-Sech. Lo fa criticando la posizione assunta recentemente dal Governo e, in particolare, dal sottosegretario ai trasporti, Roberto Traversi, che ieri – al margine dell’incontro con i vertici dei due principali terminal del porto di Genova – aveva dichiarato di non voler intervenire sulla questione con un singolo emendamento ma con «una proposta più completa e organica».

Per Russo la discussione andrebbe «anzitutto spovincializzata anche se mi rendo conto che in Italia è difficile. Sulla vicenda Psa-Sech deciderà l’AdSP, come prevede la Legge, sulla scorta anche dell’esito delle verifiche sul Golden Power fatte da Palazzo Chigi e di altre eventuali osservazioni dell’Antitrust».

Poi c’è un tema più generale che vale la pena affrontare: «Io non sono a favore di una deregulation selvaggia. I porti sono però le linee di confine con il mondo, si interfacciano quotidianamente con armatori e colossi di mercato, e hanno quindi bisogno di dinamicità e flessibilità, non di un vincolo autoimposto più di 25 anni fa quando in Italia la competizione era prettamente domestica».

Il Dg della Confederazione su questo punto è chiaro: «Le aziende che hanno avanzato istanza a Genova hanno diritto di avere dal Regolatore una risposta in tempi ragionevoli. Qualche settimana, al massimo qualche mese. Per aggiornare la legge 84/94 il Ministero Delrio ha impiegato due anni. Non credo che PSA e Sech possano permettersi di aspettare una nuova riforma per avere un riscontro in ordine alla loro istanza».

Nessun terminalista può permettersi di aspettare tanto: «In questi anni il comma 7 dell’art. 18 è stato sistematicamente eluso attraverso interpretazioni evolutive che hanno consentito ad alcuni terminalisti di operare uguali tipologie di volumi su due o più banchine all’interno dello stesso porto. Di casi del genere se ne contano una decina, a conferma che la norma è sostanzialmente superata dai fatti e dalle dinamiche di mercato».

Il precetto normativo, insomma, non è più attuale: «Credo sia una inutile auto-castrazione, così rigida e univocamente valida da Augusta a Trieste. Del resto si parla sempre di “modelli europei di riferimento”, ma una simile previsione non esiste in nessun altro Stato Membro UE, dove pure i porti commerciali rilevanti sono uno, massimo due. Si pensi alla Germania, all’Olanda, al Belgio, alla Francia».

Secondo Russo «occorrerebbe affidare alle Autorità di Sistema il potere di valutare la situazione caso per caso sulla base degli interessi economici e di sviluppo sia del porto che del territorio di riferimento».

Sotto questo punto di vista, il direttore di Confetra ritiene sia più utile ragionare in termini di clausole di salvaguardia della concorrenza, da applicare nei porti in cui ci siano poche infrastrutture ma molta domanda di mercato: «Per gli altri casi – dichiara – i vincoli sono un’assurdità: lei pensi a Taranto, che da quando è andata via Evergreen ha rischiato di sparire dai radar della portualità italiana. Ebbene, se oggi ci trovassimo ancora in quella situazione e se arrivasse un terminalista che chiedesse di operare lo stesso traffico su più aree, salvando cosi un porto in crisi, lei pensa che sarebbe utile gli si dicesse che la legge italiana gli vieta di avere più concessioni su una stessa tipologia di traffico? Io non credo».

La verità è che «il demanio marittimo non ha lo stesso valore ovunque. Le politiche di sviluppo dei porti sono diverse da scalo a scalo. Anche le relazioni tra shipping liner, terminalisti e operatori logistici inland vanno valutate di caso in caso. Per questo motivo sono convinto che le AdSP debbano avere maggiore libertà nella definizione delle strategie specifiche per i diversi Sistemi portuali».

Occorre, insomma, flessibilità. «Se avessimo un Regolamento Concessioni daremmo alle AdSP un binario procedurale solido, condiviso e trasparente lungo il quale possano muoversi ma il tema di fondo non cambia: le scelte di assetto industriale e commerciale di un porto devono dipendere dalla Governance di quel porto, dentro un quadro di coerente disegno nazionale».

Per Russo si tratta di essere business oriented e di dare un giusto peso alle strategie, ai mercati target da aggredire, ai piani di impresa dei concessionari, e anche alla tutela di un valore assoluto come la non discriminazione sull’uso dell’infrastruttura. «Si discute sempre è solo del “chi” gestisce ma mai del “come”. Anche questa è una distorsione tipica di chi approccia tali temi. Bisognerebbe invece ragionare in termini di sviluppo e competitività dei sistemi logistico industriali».

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