© Irene Taddei
Interventi

Pubbliche o private? Autorità Portuali senza pace

La maledizione dei Frankenstein

di Massimo Provinciali

Ha suscitato un certo scalpore la sentenza n.1016/2019 del Tribunale di Genova (Sezione specializzata imprese), che, nell’esaminare un vicenda per la quale ha respinto la richiesta della parte attrice, ha incidentalmente affermato la natura di impresa delle autorità di sistema portuale, per la verità non con motivazioni originali, ma appiattendosi acriticamente sulla posizione della Commissione europea – tutt’altro che pacifica e anzi fortemente contestata da Assoporti – secondo la quale, in estrema sintesi, il rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni dietro pagamento di un canone costituirebbe esercizio di attività economica.

Addirittura, dice il Tribunale, poiché questa attività economica è sostanzialmente esercitata in regime di monopolio, eventuali comportamenti discriminatori potrebbero configurare l’abuso di posizione dominante.

Personalmente, trovo la sentenza (così come l’intera costruzione delle AdSP come impresa), per nulla convincente.

Punto primo: la parità di trattamento, la non discriminazione, la pubblicità e la trasparenza sono canoni propri dell’azione amministrativa, discendenti direttamente dal concetto di buona amministrazione di cui all’articolo 97 della Costituzione, per cui non c’è bisogno di artificiose ricostruzioni che tirino in ballo la posizione dominante in un mercato ed il suo eventuale abuso. La Pubblica Amministrazione, di cui le AdSP sono indubbiamente parte, ai sensi del d.lgs n.165 del 2001, è imparziale e trasparente per definizione e qualora non lo fosse nel caso concreto, la sede per l’accertamento di eventuali illegittimità è il Giudice amministrativo.

Punto secondo: il “luogo” dove si esercita una posizione dominante e se ne sanziona l’eventuale abuso sarebbe un mercato che in questo caso, a mio modesto parere, manca: il rilascio delle concessioni è esercizio di funzione amministrativa statale, assegnata per legge a quegli enti pubblici che sono le AdSP. Immediatamente al di là dei confini della circoscrizione dell’AdSP, le medesime funzioni sono esercitate (ormai ovunque) dai Comuni e non ho mai sentito nessuno parlare di tali funzioni come di “attività d’impresa”.

Aggiungo un dettaglio, apparentemente insignificante, ma, per la scuola di pensiero nella quale mi sono formato, decisivo: nei manuali di diritto amministrativo su cui ho studiato (Giannini, Sandulli, Cassese, Virga…), una delle caratteristiche del demanio pubblico è quella di essere res extra commercium, da cui l’inalienabilità, l’inusucapibilità, la non pignorabilità, ecc. ecc., e allora mi domando, come si fa a fare attività di impresa gestendo un bene non commerciabile, sul quale possono essere costituiti diritti di terzi solo con provvedimenti concessòri e non con atti di diritto privato tipici del commercio?

Infine, mi pare che alle AdSP manchino due caratteristiche fondamentali identificative dell’impresa: il rischio d’impresa (appunto) e l’obiettivo di generare utili. Sotto il primo profilo, la gestione del demanio marittimo non comporta rischi commerciali in quanto, una volta rilasciata la concessione, il canone è dovuto anche se il concessionario non dovesse rispettare il proprio Piano d’impresa. Sotto il profilo della destinazione delle entrate, è noto che le medesime vanno integralmente destinate al funzionamento dell’Ente e agli investimenti.

Insomma, senza la pretesa di voler esaurire in poche righe un argomento che merita maggiori e più qualificate riflessioni, non riesco a convincermi, evidentemente per mio limite, del fatto che l’esercizio dell’attività amministrativa svolta dalle AdSP, in tutto e per tutto identica a quella propria degli enti locali e dello Stato nelle poche materie ancora di sua competenza, possa essere qualificato come attività d’impresa.

Discorso diverso potrebbe essere fatto per quelle attività esercitate dall’AdSP iure privatorum, quali ad esempio la partecipazione a società nelle forme e nei limiti previsti dalla legge, oppure per l’erogazione di alcuni servizi a pagamento, ma qui il discorso si complica per la natura un ibrida propria degli enti portuali a proposito della quale sarebbe necessaria un po’ di definitiva chiarezza.

C’erano una volta gli Uffici del Genio civile opere marittime che realizzavano le infrastrutture portuali e c’erano le Capitanerie di porto che rilasciavano le concessioni; entrambi gli uffici dipendevano funzionalmente dalla Direzione generale dei porti del MIT, nelle diverse denominazioni assunte a causa delle varie riforme. Se ci si fosse voluti limitare a snellire l’esercizio di queste competenze, sarebbe stato sufficiente creare nuovi uffici periferici del MIT, retti da un Direttore generale, ai quali trasferire tali funzioni.

La legge n.84 del 1994 ha invece voluto disegnare un Ente più moderno, più efficace ed efficiente (e, almeno per alcuni anni, i risultati ci sono stati), arricchendolo di competenze più smart. È però necessario che tale configurazione sia precisata e difesa salvaguardandone la matrice pubblica, altrimenti si scatena il caos delle interpretazioni giurisprudenziali e politiche.

In sostanza, le AdSP sono e resteranno un ibrido, ma con uno sbilanciamento in negativo.

Del pubblico, ad esempio, hanno gli oneri (d.lgs n.165/2001 per il personale, i vincoli del codice appalti, il fitto sistema dei controlli), ma non hanno funzioni edilizie in ambito portuale neanche a Piano regolatore portuale approvato.

Del privato, sempre per rimanere negli esempi, rischiano di avere l’obbligo di pagare le tasse su introiti che non sono utili, ma denaro pubblico, ma non hanno semplicità di azione (che non significa irresponsabilità), nell’affidare la realizzazione di un’opera.

Insomma, va bene essere un Frankenstein con alcuni pezzi del pubblico ed altri del privato, ma spero che si utilizzino le caratteristiche più virtuose di ciascuna delle due componenti anziché quelle più deleterie.

Oppure, si decida una volta per tutte di dare prevalenza alla normativa e alla giurisprudenza comunitaria e si buttino a mare tutte le leggi nazionali che regolano la portualità, adeguandoci al modello unico nordeuropeo.

Al di là delle provocazioni, quello che è certo è che i problemi che quotidianamente occorre affrontare in ciascun porto hanno bisogno di una architettura solida, condivisa e chiara, affinché le energie non siano spese per lavorare su se stessi.

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