Interventi

Tecnologia e diritto

Le vere sfide della guida autonoma

di Mauro Menicucci

Avvocato e professore associato di diritto della navigazione presso l’Università di Salerno

La nozione di nave autonoma non è agevolmente declinabile, soprattutto perché, sovente, si sovrappone a quella di nave senza equipaggio. Invero, le locuzioni nave senza equipaggio («unmanned ship»), nave autonoma («autonomous ship») e gli acronimi USV («Unmanned Surface Vessel») MASS («Maritime Autonomous Surface Ship») e MAV («Maritime Autonomous Vessel») sono spesso utilizzati senza distinzioni di sorta.

In estrema sintesi, la nave può avere diversi livelli di autonoma ed essere dotata, o meno, di un personale di bordo, il quale può, a sua volta, assumere decisioni operative se necessario (ad esempio in caso di emergenza), o limitarsi ad intervenire sul mezzo per altri fini (ad esempio per la sua manutenzione): unica «certezza» è che l’unità è priva di comandante. La nave è collegata ad un centro di controllo remoto, definito shore control centre (SCC), composto da diverse figure, fra cui lo shore based operator (SBO).

Quanto ai livelli di autonomia, le unità in questione possono gestirsi da remoto, o essere «semi» o «completamente» autonome (alcune ricerche giungono ad ipotizzare anche 7, o più, livelli di autonomia). Le prime sono condotte a distanza, attraverso una connessione wireless, in base ai dati raccolti con radar, immagini satellitari ed altri strumenti tecnologici. Le unità semi autonome, invece, operano entro il range di istruzioni ricevute, sotto la supervisione dell’uomo, che tali istruzioni può correggere o ignorare. Le unità completamente autonome, infine, non richiedono alcun intervento antropico nell’assunzione delle decisioni, poiché agiscono in base alla programmazione ricevuta: utilizzando l’intelligenza artificiale, infatti, elaborano una «independent opinion».

Alle navi autonome sono stati dedicati diversi studi, fra i quali possono menzionarsi, a titolo non esaustivo, il position paper del CMI; il «Regulatory Scoping Exercise (RSE)» e le «Interim Guidelines» dell’IMO; i progetti MUNIN (Maritime Unmanned Navigation Through Intelligence in Networks), ed AAWA (Advanced Autonomous Waterborne Applications Initiative). Alcune navi, peraltro, sono già operative (si pensi, fra le altre, alla C-Worker 7, alla Folgefonn ed alla Yara Birkeland). Infine, merita segnalare che la riforma della nautica da diporto ha introdotto, nel relativo codice, gli artt. 27 bis e 3, c, 1. lett. h)-bis , disciplinanti le unità da diporto a controllo remoto, la cui concreta attuazione nella navigazione ludica desta, a mio parere, non poche perplessità.

Le questioni sottese alle navi autonome sono molteplici ed attengono, ad esempio, ai profili di responsabilità, al ricorso ai servizi tecnico nautici, al soccorso, ecc. Ma, innanzitutto, queste unità pongono problemi nuovi in punto di equipaggio e di comandante.

L’equipaggio
L’equipaggio, si è detto, può essere o meno presente sull’unità, ed ivi assumere diverse funzioni.

Dal punto di vista del diritto internazionale, le convenzioni vigenti presuppongono il personale a bordo: si pensi, ad esempio, all’art. 94 della UNCLOS («each ship is in the charge of a master and officers»), alla reg. 14 del cap. 5 della SOLAS («all ships shall be sufficiently and efficiently manned»), alla reg. 5 della COLREGs («maintain a proper look out by sight and hearing»), all’art. III della STCW («properly man, equip and supply»). La chiara lettera dei trattati sembra difficilmente superabile applicando, analogicamente, le citate norme al personale del centro di controllo remoto.

Un ulteriore ostacolo alla equiparazione fra SCC ed equipaggio si può rinvenire nelle linee guida relative ai «Principles of Minimum Safe Manning» dell’IMO, che contengono alcune disposizioni ontologicamente incompatibili con la totale assenza del personale di bordo.

La questione non è sconosciuta alla stessa IMO, secondo cui la nozione di «seafarer» dovrebbe essere modificata, per includere anche il personale dello SCC.

Il comandante
Quanto al comandante, molte delle funzioni a lui spettanti non possono esercitarsi da un luogo diverso dalla nave e sono difficilmente delegabili al personale del centro di controllo remoto: fra queste, la verifica della navigabilità del mezzo, il suo adeguato armamento, equipaggiamento, caricamento e stivaggio, il controllo dei documenti di bordo ed il compimento delle operazioni legate all’avaria generale; senza tralasciare l’esercizio privato di pubbliche funzioni.

È arduo, poi, equiparare al comandante lo SCC che, organizzato con turni di lavoro al pari di un qualsiasi ufficio, fa sì che la medesima unità possa essere gestita da più operatori i quali, succedendosi nel centro, contribuiscono a sgretolare il brocardo «una nave, un comandante». Inoltre, l’operatore da remoto è un soggetto che, a distanza, assume la conduzione tecnica del mezzo nautico, attuando un compito limitato che non esaurisce la funzione propria del comando.

Conclusioni
In attesa degli opportuni interventi normativi, la navigazione autonoma è già iniziata. Ricordando il «Dialogo su diritto e tecnica» di Irti e Severino, può senz’altro dirsi che la tecnica ha, nelle navi autonome, preceduto il diritto: in tale ottica, presumo che le unità già operative indicheranno la strada al legislatore, orientandone il non più differibile intervento. D’altronde, la tecnica ha comunque bisogno del diritto per realizzare fino in fondo il suo scopo: nella specie, sarà probabilmente necessaria una normativa ad hoc, perché limitarsi ad emendare il quadro regolatorio esistente richiederebbe uno sforzo difficilmente sostenibile.

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