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Interventi

Zone grigie nella Riforma Delrio

Quali confini tra AdSP e Autorità marittima?

di Giorgia M. Boi

Professore ordinario di Diritto della Navigazione all’Università di Genova

L’introduzione di nuove regole sistemiche attuata in virtù del Decreto Legislativo n. 169 del 4 agosto 2016 (e successive integrazioni e correzioni) ha innegabilmente modificato gli scenari della portualità italiana sotto vari profili.

In questa ottica, certamente molti aspetti positivi sono rilevabili nell’ambito delle regole introdotte da questa riforma: basti ricordare l’attenzione rivolta al tema della sostenibilità energetica e ambientale nonché a quello della semplificazione amministrativa e doganale, che meritano doveroso apprezzamento.

Al tempo stesso, tuttavia, è dato di rilevare in questa riforma anche qualche criticità legata ai mutamenti posti in essere. Emblematiche sono ad esempio quelle regole che hanno portato a cambiamenti destinati a incidere sui ruoli e sui rapporti tra Autorità di Sistema Portuale ed Autorità Marittima, le cui funzioni sono ora definite con contorni diversamente peculiari.

È indubbio che con la recente riforma portuale si è voluto profilare un nuovo sistema di governance portuale basicamente fondato sulle nuove AdSP compendianti due o più porti. Tale operazione – pur nella sua comprensibile ottica di economia operativa – sembra peraltro rendere più difficile l’individuazione, e anche la giustificazione, dei confini operativi tra le due Autorità.

Innanzitutto appare evidente una prima difficoltà legata al fatto che ora le due Autorità si trovano a dover operare su territori non più coincidenti: il che porta all’inevitabile creazione di un rapporto asimmetrico tra le stesse, venendo a mancare un sistema di parallelo interfacciamento.

Ma tale “scollamento” appare ancora più evidente – e fors’anche preoccupante – se si considera l’ancora imperfetta definizione di alcuni ruoli delle medesime che, soprattutto per certi aspetti, esalta alcune incongruità.

Basti pensare ai compiti in materia di concessioni i cui contorni appaiono ancora operativamente sfumati. Alla tendenza espressa, volta a riferire tali attività ad altre entità, fa infatti tuttora riscontro un opposto fenomeno di perdurante radicazione di alcune di queste attività di stampo concessorio in capo all’Autorità Marittima, da sempre specialista della materia.

Questa realtà operativa, necessitata da contingenze materiali, viene peraltro a porre il naturale interrogativo se forse non sia più opportuno tornare alla vecchia definizione dei ruoli concessori già prevista dagli artt. 36-55 del Codice della navigazione al fine di evitare fenomeni di resa incongruente.

In chiave critica potrebbe forse essere vista anche la previsione che conferisce alle Regioni la facoltà di richiedere l’accorpamento di porti, ora non compresi, nelle Autorità di Sistema Portuale, cosa, questa che viene evidentemente a togliere ormai ben collaudate competenze all’Autorità Marittima, un tempo considerata unico punto di riferimento autoritativo nei porti dove non era istituita l’Autorità Portuale.

Alquanto discutibile può apparire invero pure la previsione che esclude il Comandante del Porto dal nuovo Comitato di Gestione delle Autorità di Sistema Portuale (a cui ora partecipa solo un rappresentante dell’Autorità Marittima con diritto di voto in alcune materie), dal momento che la sua significativa rappresentatività costituisce una delle chiavi di volta del sistema portuale – soprattutto in termini di sicurezza e di tutela marittima – non confinabile alla sola partecipazione all’Organismo di Partenariato della Risorsa Mare (composto da soggetti privati, anch’essi esclusi dal Comitato di Gestione).

Da questi esempi emerge dunque una realtà in cui ancora esistono spazi grigi nelle attribuzioni tra Autorità di Sistema Portuale ed Autorità Marittima, che forse dovrebbero essere oggetto di una qualche rivisitazione per evitare momenti di incongruità operativa. Non può infatti bastare quanto previsto dall’art. 10 del Decreto Legislativo n. 169/2016 sui poteri di coordinamento e amministrazione del Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale.

Al tempo stesso è auspicabile l’introduzione di un sistema in cui il controllo politico non si ponga in nessun modo quale limite all’operatività delle figure presenti sul territorio portuale, creando discrasie capaci di influire negativamente sull’efficace funzionamento dei porti e delle attività ad essi connesse.

È innegabile che i porti debbano essere oggetto di una politica di gestione ben articolata nella sua complessità, ma è altrettanto imprescindibile che per avere un effettivo rilancio della portualità – cosa che è auspicio di tutti – occorre un complesso di norme organicamente concepite che comprendano, tra l’altro, una più chiara definizione dei ruoli assumibili dalle due Autorità tale da consentire il rispetto delle reciproche competenze anche attraverso un visione più internazionale del “sistema porti”, visione che purtroppo tuttora manca.

 

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