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Focus

La "guerra" sotto il mare

Mar Baltico, il nuovo fronte del conflitto russo

di Redazione

Mentre la guerra in Ucraina continua a tenere banco sulla scena internazionale, con la telefonata tra Putin e Trump che sembra destinata a segnare una svolta nella possibile trattativa per il raggiungimento della pace, nel Mar Baltico non accennano a diminuire i timori per gli effetti della flotta ombra legata al trasporto di greggio russo.

Nell’area si sono moltiplicati dal 2022 ad oggi i casi di sospette attività di disturbo, sabotaggio e spionaggio ai danni delle infrastrutture sottomarine dei paesi che si affacciano sul Golfo di Finlandia.

Se l’obiettivo bellico primario del Cremlino rimane quello di avanzare nel Donbass e di riconquistare l’Oblash di Kursk, per ricacciare oltre frontiera le truppe ucraine penetrate nella regione di confine, ed avere così la possibilità di passare all’incasso nella prospettiva di una trattativa sull’asse Mosca-Washington, la penetrazione “commerciale” nel Mar Baltico attraverso la flotta ombra di petroliere continua a rappresentare per il greggio russo una importante via di accesso ai mercati occidentali, una scorciatoia per evitare le sanzioni.

Il passaggio delle petroliere ombra nell’area rischia però di avere un impatto rilevante sull’ecosistema locale. 30/40 petroliere lasciano ogni settimana i porti russi per trasportare il petrolio attraverso lo stretto di Danimarca. Queste navi, vecchie e in pessime condizioni, operano spesso sotto la bandiera di Paesi come Gabon, Liberia e Isole Cook, non hanno alcuna assicurazione europea e nascondono i dati relativi alla loro posizione disturbando il Gps e disabilitando l’Ais.

Quantunque non si sia registrato sino ad oggi alcun incidente rilevante (l’unico, di modesta entità, risale a marzo del 2024, quando la petroliera ombra Andromeda Star è rimasta coinvolta in una collisione al largo della Danimarca), sono comunque aumentati i casi di danneggiamento dei cavi sottomarini, alimentando nelle forze governative il sospetto che possa trattarsi di deliberate azioni di sabotaggio.

L’ultimo episodio risale al 27 dicembre scorso, quando una nave russa ha danneggiato un cavo elettrico Estlink-2 che trasporta elettricità dalla Finlandia all’Estonia attraverso il Mar Baltico. Dalla ispezione risultò che la nave non aveva ancore sollevate. Episodi simili sono accaduti altre volte in passato, avendo ad oggetto il danneggiamento dei cavi delle telecomunicazioni sempre relativi alla connessione tra la Finlandia e gli altri paesi dell’area baltico- scandinava.

Nel tentativo di proteggere l’ambiente e la sicurezza marittima, la Danimarca ha già dichiarato di voler adottare maggiori misure per rafforzare la supervisione e il monitoraggio delle petroliere che ormeggiano nelle sue acque territoriali. L’Estonia è andata anche oltre e ha detto di essere pronta ad agire, anche in acque internazionali, contro qualsiasi unità navale che rappresenti un pericolo per le infrastrutture del Baltico.

Va precisato che Tallin ha chiarito di volersi muovere nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) ma va anche sottolineato che l’UNCLOS è piuttosto vaga quando si tratta di definire le responsabilità per la sicurezza con riferimento alle infrastrutture sottomarine che intersecano le acque internazionali e le zone economiche esclusive di più paesi.

Secondo l’articolo 21 dell’Unclos, gli Stati costieri hanno il diritto, ma non l’obbligo, di emanare leggi che regolino la protezione dei cavi sottomarini all’interno delle loro acque territoriali. I problemi nascono quando si tratta di armonizzare il principio di libertà di posa dei cavi sottomarini nelle acque internazionali con i nuovi diritti degli Stati costieri nelle Zone Economiche Esclusive (ZEE) e sulla piattaforma continentale, che può ricomprendere fino ad un massimo di 200 miglia nautiche dalla costa.

All’interno della sua ZEE un paese ha il diritto di mantenere le infrastrutture sottomarine, ma non quello di limitare l’attività militare di altri stati. Non solo, gli articoli da 113 a 115 disciplinano la protezione dei cavi nell’alto mare e sulla piattaforma continentale/ZEE, stabilendo l’impossibilità per gli Stati di abbordare e arrestare le navi sospettate di aver rotto intenzionalmente un cavo.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che il danneggiamento di un cavo possa rientrare nella definizione di pirateria contenuta all’articolo 101 dell’UNCLOS, da cui consegue il diritto per le navi da guerra di abbordare le navi sospettate di aver intenzionalmente danneggiato il bene ma va sottolineato che non si tratta di una considerazione ampiamente condivisa nella dottrina.

Ulteriore vuoto normativo è legato al fatto che l’UNCLOS ha giurisdizione esclusivamente sui cavi sottomarini e non anche su tutti gli elementi dell’infrastruttura che si trovano al di sopra dell’acqua.

In un contesto normativo alquanto ambiguo, i Paesi baltici hanno già dichiarato di voler prendere in considerazione la possibilità di studiare nuovi meccanismi legali per trattenere il maggior numero di navi possibili. Una decisione, quest’ultima, che ha fatto alzare più di un sopracciglio in Russia. Tanto che il vicepresidente della commissione parlamentare di difesa del Cremlino,  Alexei Zhuravlev, ha annunciato ritorsioni nei confronti degli Stati Baltici che decidano di prendere di mira le petroliere legate agli interessi russi.

Da parte sua la NATO ha rafforzato la presenza nel Baltico tramite l’operazione Sentinel, istituita con l’obiettivo di fornire maggiore sorveglianza e deterrenza in un’area potenzialmente a rischio di subire attacchi di potenze straniere, Russia in primis.

L’operazione della Nato comprenderà l’impiego di navi, aerei da pattugliamento e droni sottomarini. La flotta ombra rimane al centro delle azioni della missione Sentinel, rappresentando per gli alleati dell’Alleanza atlantica rappresenta una particolare minaccia per la sicurezza marittima e ambientale nella regione e a livello globale.