Sarà l’agenzia delle dogane americana (la US Customs and Border Protection) ad occuparsi della riscossione delle nuove misure di tassazione sulle navi cinesi annunciate a febbraio e riviste il mese successivo dal Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America (United States Trade Representative, USTR).
A fornire l’ultimo chiarimento sulle port fees è stato il periodico specializzato Lloyd’s List, secondo il quale l’USTR starebbe collaborando con il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, per istituire un modulo di pagamento autonomo su pay.gov, il sito web ufficiale per i pagamenti del governo statunitense.
Queste tariffe saranno gestite separatamente dalle tariffe d’uso standard della CBP e dalle imposte sul tonnellaggio, a causa degli importi potenzialmente più elevati che potrebbero essere dovuti.
A partire dal 14 ottobre, dunque, le navi operate da un armatore cinese che si trovino ad entrare in territorio statunitense dovranno pagare 50 dollari a tonnellata netta. L’importo aumenterà di 30 dollari ogni anno per i prossimi tre anni, sino a raggiungere i 140 dollari a tonnellata entro aprile 2028. Una portacontainer da 10.000 TEU, che in genere ha una stazza netta di 70.000 tonnellate, vedrà le tariffe aumentare da 3,5 milioni di dollari a 9,8 milioni di dollari in tre anni. Saranno invece inferiori le tasse da pagare per gli armatori ed operatori non cinesi che usino navi costruite in Cina.
Secondo il ceo di Vespucci Maritime, queste misure costringeranno i vettori a rivedere le proprie schedule con l’obiettivo di spostare le navi costruite in Cina dai traffici diretti verso gli Stati Uniti.
La Ocean Alliance è tra le alleanze in campo quella che avrà il maggiore svantaggio competitivo, a causa della presenza al suo interno di COSCO. Mentre le esenzioni per le navi sotto i 4000 TEU di dimensione e per i viaggi inferiori alle 2000 miglia nautiche favorirà l’uso di scali alternativi nei Caraibi o in Messico, incentivando l’uso di navi più piccole in alcune tratte.