© Nick Youngson, pix4free (CC BY-SA 3.0)
Interventi

Nuove frontiere

Africa terra di opportunità, anche per l’Italia

di Davide Magnolia

Avvocato LCA Studio Legale

Molti anni prima dell’istituzione dell’Unione Africana (UA), il compianto ex presidente del Burkina Faso H.E. Thomas Sankara, assassinato nel 1987 e definito da molti “il Che Guevara africano”,  teorizzava con queste parole la creazione di un unico mercato africano: “Let’s make the African market, the market of Africans. Produce in Africa, transform in Africa and consume in Africa. Let’s produce what we need and let’s consume what we produce instead of importing”.

Nel 2013 l’Unione Africana ha lanciato un progetto denominato “Agenda 2063: The Africa We Want” per definire la traiettoria di sviluppo dell’Africa nei successivi 50 anni e realizzare risultati trasformativi sia in termini quantitativi che qualitativi per la popolazione del continente.  La  visione panafricana del continente è plasticamente raffigurata nell’e-mail dal futuro («e-mail du futur»), pubblicata sul sito dell’Unione Africana, inviata dall’allora Presidente della Commissione ad un ipotetico cittadino del 2063 (dal nome Kwame) avente come oggetto “Unité africaine”.

Uno dei fiori all’occhiello dell’Agenda 2063 è l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA) che, con l’entrata in vigore nel maggio del 2019, è diventata l’area di libero scambio più grande al mondo, in termini di stati membri, dopo la World Trade Organization. Qualche numero: il trattato sull’AfCFTA è  stato firmato da 54 dei 55 stati africani (con la sola esclusione dell’Eritrea), unisce ad oggi oltre  1,3 miliardi di persone (che, secondo una proiezione dell’Eurostat,  dovrebbero diventare 2,5 miliardi entro il 2050) con un PIL combinato del continente che dovrebbe raggiungere i 3.4 trilioni di dollari. La Banca Mondiale ha stimato che l’AfCFTA aumenterà il reddito dell’Africa di 450 miliardi di dollari entro il 2035 facendo incrementare di oltre l’81% le esportazioni intra-regionali (che oggi sono solo il 16,6%, percentuale che colloca l’Africa ampiamente al di sotto dell’Europa, America e Asia ed appena sopra l’Oceania).

L’obiettivo dell’AfCFTA è quello di creare un unico mercato continentale per la libera circolazione delle merci, dei servizi e degli investimenti. L’architettura del progetto si sviluppa in 3 fasi che si articolano in una serie di protocolli su materie specifiche: nella fase 1 è previsto il protocollo sul “trade in goods”, quello sul “trade in services” e quello sul “dispute settlement mechanism”;  nella fase 2  sono previsti 5 documenti tra cui quello sugli investimenti mentre la fase 3 riguarderà l’ e-commerce.

La road map per arrivare al mercato unico continentale passa innanzitutto dall’eliminazione delle barriere tariffarie. L’AfCFTA prevede la progressiva liberalizzazione, con tempistiche differenti, del 97% delle tariffe intra-africane sul commercio dei beni “non sensibili” (categoria A) e su quelli “sensibili” (Categoria B). Solamente il 3% delle tariffe (categoria C) rimarrà escluso dal processo di liberalizzazione per ragioni legate alla sicurezza alimentare, alla sicurezza nazionale, a questioni fiscali o al processo di industrializzazione delle singole nazioni.

La sfida è quella di eliminare anche le barriere non tariffarie (NTBs) tra i vari Stati (come ad esempio divieti di importazione, requisiti fitosanitari, di packaging o labelling non giustificati, ritardi procedurali alle frontiere etc.) che oggi hanno un impatto di gran lunga superiore rispetto a quelle tariffarie. Il processo di integrazione passerà poi da una sempre maggiore cooperazione sulle regole di origine delle merci che dovrebbe portare alla realizzazione di una futura unione doganale.

Nell’Ottobre 2022 il progetto dell’AfCFTA  è entrato nella sua fase pilota con la Guided Trade Initiative che vede coinvolte 8 nazioni che rappresentano le principali aree continentali e 96 categorie di prodotti  (tra cui molti generi alimentari quali  tè, caffè, frutta secca, zucchero e pasta) a cui è stata applicata una tariffa preferenziale per facilitarne il libero scambio e sviluppare la catena del valore.

Il trattato istitutivo della zona di libero scambio continentale non ignora le differenze ed il diverso grado di sviluppo tra gli Stati Membri e, facendo proprio il principio della geometria variabile, disegna un modello di integrazione differenziato a più velocità che consente il permanere di asimmetrie nella struttura integrativa per tutelare le economie più fragili. Insomma, l’unione e l’integrazione prima di tutto, “whatever it takes”.

La volontà di creare un vero e proprio blocco continentale impermeabile traspare anche dagli articoli 18 e 19 dell’accordo istitutivo dell’AfCFTA in cui si prevede che gli Stati membri non dovranno garantire agli Stati terzi (cioè quelli extra-africani) condizioni commerciali ed economiche più favorevoli rispetto a quelle stipulate tra di loro. Questo principio di parità di trattamento costituirà il golden standard per i futuri Foreign Direct Investment (FDI).  L’Italia e la logistica possono stare a guardare oppure possono iniziare ad attrezzarsi per diventare il gate di accesso in Europa della nuova manifattura subsahariana (e non solo).

Il sentiero per realizzare quel mercato unico continentale “by Africans for Africans” in cui scambiare prodotti “made in Africa” sembra oramai tracciato. In un momento storico caratterizzato dall’effimero, in cui frasi e pensieri si vaporizzano nell’istante di un post o di un click, teniamoci strette queste parole, pesanti come macigni, del grande padre del panafricanismo H.E. Thomas Sankara «per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d’ inventare l’avvenire». Ebbene sì, l’Africa ha avuto il coraggio di inventare il proprio futuro.

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