© Michela Canalis
Interventi

Le sfide del cold ironing

Ai porti serve una scossa

di Davide Magnolia

Avvocato LCA Studio Legale

I porti del nostro paese scontano un gap infrastrutturale rispetto a quelli del northern range che costa, ogni anno, al Sistema Italia 70 miliardi di euro, pari a circa 2 finanziarie (quella del 2021 era infatti da 35 miliardi). Il totale dei TEU movimentati dai primi 15 porti europei è di circa 75 milioni l’anno di cui il 47% è totalizzato solo dai primi tre porti della graduatoria, Rotterdam, Anversa e Amburgo.

Siamo indietro anche sui tempi di stazionamento delle navi in banchina: la sosta media di una nave commerciale presso le nostre banchine è di circa 1,34 giorni (36,5 ore) mentre il dato a livello mondiale è di 1,05 giorni.

Da questo punto di vista il PNRR offre notevoli opportunità per lo sviluppo ed il rinnovamento delle nostre infrastrutture. Sono già in cantiere progetti e lavori di ampliamento dei nostri porti per circa 2 miliardi di euro (in larga parte finanziati con soldi pubblici). Se tutte queste opere verranno realizzate, la capacità portuale del nostro paese (che oggi oscilla tra i 7 e gli 8 milioni di TEU, senza contate il transhipment) dovrebbe incrementare di ulteriori 5 milioni di TEU.

C’è poi il tema della transizione ecologica (una delle parole chiave del PNRR) e dei Green Ports. Il PNRR stabilisce una nuova sinergia tra mare e terra green oriented, spostando il paradigma classico dello “ship to shore” verso lo “shore to ship”. Per sviluppare l’economia del mare è infatti necessario investire, anche, sulla terra.

Uno degli step individuati per la transizione ecologica dei nostri porti passa, necessariamente, per il cold ironing o onshore power supply.  Sebbene i 700 milioni stanziati, allocati nel Piano Nazionale per gli investimenti Complementari (PNC), siano una piccola percentuale rispetto ai 62 miliardi complessivi del PNRR, l’elettrificazione delle banchine potrebbe rivelarsi uno degli strumenti per ridurre il gap con i porti del nord e rendere più competitivo il nostro sistema portuale.

Lo spartiacque sarà il 2030 ed i nostri porti dovranno essere preparati. Perché il 2030 sarà una data chiave per lo shipping? Nel pacchetto Fit for 55%, che mira a realizzare gli obiettivi del Green Deal Europeo (ossia net zero al 2050), sono contenute due proposte di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio (la numero 559 e 562 del 2021) che fissano al 2030 la data entro cui, da un lato, le navi dovranno essere attrezzate per il cold ironing e, dall’altro, i porti della rete TEN T dovranno garantire una fornitura minima di elettricità da terra che soddisfi almeno il 90% della domanda.

Inoltre, da qua al 2030, le navi che non si allacceranno ad una rete elettrica di terra pagheranno una carbon tax molto elevata. I nostri porti dovranno quindi giocare d’anticipo per offrire agli armatori la possibilità di evitare la scure della carbon tax, trasformando gli obblighi di legge in opportunità per lo sviluppo.

Non ci sono soluzioni alternative, visto che gli armatori si orienteranno verso i porti meno costosi (e, quindi, più convenienti). Questa, però, non è una partita che può essere vinta da soli. Bisogna adottare una visione olistica e di sistema che coinvolga anche gli armatori (a cui verranno chiesti notevoli investimenti finanziari per adeguare le navi) nei processi decisionali. La riuscita oppure il fallimento del cold ironing dipende da 3 sfide.

La prima riguarda il costo dell’energia. Oggi è diseconomico per gli armatori ricorrere allo onshore power supply perché c’è ancora uno scarto tra il costo di un kWh di energia prodotta dai generatori di bordo e lo stesso kWh acquistato dal gestore del sistema di cold ironing. Nei paesi scandinavi i governi hanno ristorato gli armatori di questo spread. Da noi il Decreto “Milleproroghe” 2019 ed il Decreto “Semplificazioni” 2020 hanno previsto una riduzione delle accise e l’azzeramento di alcune componenti tariffarie per la fornitura di energia elettrica alle navi. Nel DEASP (Documento Energetico Ambientale di Sistema Portuale) dell’AdSP del Mar Ligure Orientale ci sono incentivi sotto forma di riduzione della tassa di ormeggio. La via è quella giusta e porta all’introduzione di una tariffa calmierata. Senza i giusti incentivi, infatti, si correrà il rischio di assistere ad un “cherry picking” dei porti da parte degli armatori.

La seconda sfida è quella della transizione burocratica (necessaria tanto quanto quella ecologica). C’è bisogno di una normativa chiara e specifica sul cold ironing che lo inquadri come un servizio, che dovrà essere competitivo ma anche trasparente, offerto agli armatori. Il modello è quello della mobilità elettrica in cui l’automobile si allaccia alla colonnina ed il fornitore eroga un servizio.

Infine, c’è il tema della completa transizione ecologica. L’energia erogata dalle banchine dovrà essere prodotta in modo pulito con tecnologie rinnovabili posizionate vicino ai porti. In caso contrario con l’elettrificazione si sposterebbero solo le emissioni (ed il problema) di qualche chilometro. Il cold ironing non deve, quindi, essere di facciata. Altrimenti diventerà una forma di Greenwashing finanziata con 700 milioni di soldi pubblici.

Torna su