Interviste/Osservatorio Ambiente

Colloquio con Daniele Testi

Cambio di passo

di Rossana Revello

Alla luce dei nuovi indirizzi europei, nel dialogo tra porto e città, risulta sempre più urgente porre al centro della logistica portuale del futuro le tematiche ambientali, al fine di diminuire l’impatto ambientale del porto che deve puntare alla sostenibilità del territorio e dell’economia.

In questo contesto, si parla sempre di più di logistica sostenibile o logistica green. Per meglio comprendere i meccanismi e i dettami di questo nuovo modo di concepire la logistica, abbiamo intervistato Daniele Testi, Presidente di SOS LOGistica (Associazione per la Logistica Sostenibile) e Coordinatore Commissione Logistica Green e Sostenibilità di Confetra.

Prima dello scoppio della guerra in Ucraina, l’Europa era fortemente orientata a trasformare la propria economica verso il green. Il conflitto ha riportato le lancette indietro nel tempo, sottraendo per certi versi energie e molti investimenti alla transizione ecologica e al perseguimento degli obiettivi dell’agenda 2030. Oggi, per certi versi, siamo di fronte alla prospettiva di un peggioramento degli effetti dei cambiamenti climatici e del ritorno all’uso massiccio delle energie fossili. Alla luce degli eventi storici che stiamo vivendo, la cosiddetta logistica sostenibile non rischia di diventare un concetto un troppo astratto, buono da usare soltanto nei dibattiti politici?
La pandemia prima e la tensione sul costo di materie prime e prodotti energetici causata dall’aggressione Russa in Ucraina creano effetti di segno opposto. Questi eventi da una parte hanno fatto comprendere a molti operatori economici che la logistica non può essere gestita come un fattore a risorse infinite, spingendoli a rivedere in un’ottica di efficienza e gestione del rischio le proprie catene di approvvigionamento. Una necessità che premia percorsi e approcci più sostenibili. Dall’altra parte però hanno creato una tensione sui costi e sui bilanci che impedisce, soprattutto ai piccoli e medi operatori, di vedere la transazione ecologica come un investimento competitivo. Non credo però che le aziende di logistica debbano avere dubbi sui vantaggi che possono ottenere da un miglioramento delle proprie performance di sostenibilità. Serve però un approccio sistemico che tenga insieme tutti gli elementi tangibili e intangibili della propria competitività. In soccorso possono venire modelli che aiutano le imprese a sviluppare dei percorsi in sintonia con le priorità ed esigenze delle proprie organizzazioni e del grado di maturità rispetto a queste tematiche. Insomma, è comprensibile un rallentamento di alcuni progetti ma l’eventuale scelta di invertire la rotta verso modelli economici lineari diciamo “business as usual” porta con sé molti più rischi che vantaggi.

Si ha un bel parlare di logistica sostenibile. Ma il congestionamento dei porti cinesi, la ripresa del commercio, i noli marittimi alle stelle e i ritardi di mesi nelle consegne, stanno mettendo in ginocchio crisi e interi settori produttivi. Come afferma qualcuno, l’esplosione dell’inflazione nel nostro Paese è dovuto anche al costo elevato del trasporto. Essere sostenibili oggi vuol dire anche studiare forme di compensazione che consentano al nostro Paese di competere sui mercati internazionali. Qual è la sua opinione al riguardo?
Ancora una volta, ci accorgiamo dell’importanza della logistica per la competitività delle imprese produttive, solo quando emergono problemi. Non sono un economista ma credo che se il costo del trasporto, sulle diverse modalità, avesse incorporato i costi di esternalità che invece oggi finiscono nella bilancia pubblica senza una attribuzione diretta di causa effetto, ci sarebbe una maggiore attenzione da parte della committenza nella pianificazione delle proprie esigenze logistiche. Se vogliamo una logistica più efficiente servono infrastrutture più efficienti, ad esempio, e veniamo da decenni in cui l’unico obbiettivo era ridurre le tariffe di trasporto. Un sistema per spostare inefficienze verso anelli della catena a minore potere contrattuale. Il fatto che la logistica sia oggi un fattore a risorse limitate (per i carburanti sempre più cari, per la capacità di stiva del trasporto marittimo che spinge i noli al rialzo e limita gli investimenti di capacità nei porti, per la mancanza di autisti dell’autotrasporto etc) è un cambio di paradigma che richiede modelli competitivi diversi in cui la logistica appunto gioca un ruolo primario. Le forme di compensazione dovrebbero esserci ma dovrebbero premiare solo organizzazioni e processi che non incidano negativamente sulle esternalità (inquinamento, rumore, incidentalità, cambiamento climatico etc). Ritorniamo quindi alla ricetta iniziale che dovrebbe valorizzare solo gli investimenti sostenibili creando un vero vantaggio agli operatori virtuosi che vedrebbero migliorare il ROI degli investimenti in sostenibilità.

Essere sostenibili oggi vuol dire anche avere una politica di governo che consenta il controllo dei processi in atto nel settore logistico. Ritiene che il Governo abbia una sua visione, una sua politica strategica?
Nel Governo, così come nelle istituzioni europee, c’è sicuramente una visione chiara sulla sostenibilità e sui vantaggi di uno sviluppo sostenibile. Nello specifico dobbiamo notare con piacere che il dialogo con l’industria attraverso le associazioni e gli operatori economici è molto aumentato. Ci sono ancora interessi contrapposti però che sono frutto anche della divisione che caratterizza un settore, quello dei trasporti e della logistica, che invece dovrebbe avere una maggiore unità di intenti. Siamo il Paese dei mille comuni ma anche dei mille porti, interporti e delle migliaia di associazioni di categoria.

Ci può raccontare in che cosa consiste il protocollo che avete messo a punto come SOSLog?
Il protocollo si pone dunque molteplici obiettivi: da una parte è uno strumento operativo per le aziende che vogliono avviare la trasformazione della propria cultura e dei propri processi in chiave sostenibile, dall’altra una garanzia per il mercato e i consumatori finali che possono vedere oggettivate le performance di sostenibilità legate alla logistica dei prodotti che acquistano nei diversi canali grazie ad un rating che può essere ottenuto solo mediante un audit indipendente da parte di organismi di certificazione appositamente qualificati. Oggi sono 3 ovvero Certiquality, Bureau Veritas e BSI. Le aziende che terminano il percorso ottenendo un rating minimo pari al 50% del massimo ottenibile possono richiedere l’accreditamento nell’apposito registro pubblico di SOS LOGistica e iniziare ad usare un vero e proprio marchio di Sostenibilità Logistica nelle proprie comunicazioni, sui propri mezzi logistici o infrastrutture (se operatori logistici) o a fianco dei propri prodotti (se committenti o Gdo). L’iniziativa è stata lanciata a fine 2017 in fase test per poi essere definitivamente strutturata alla fine del 2020 in piena pandemia. Con questa iniziativa SOS LOGistica si pone al fianco delle aziende ma anche delle istituzioni con uno strumento capace di garantire l’impegno concreto degli operatori in merito ai processi logistici che influiscono sulla competitività di molte filiere industriali e di consumo ma che allo stesso tempo sono tra i principali contributori in termini di “esternalità” che paghiamo come comunità per emissioni, congestione stradale, rumore, incidentalità, contributo al cambiamento climatico e oltre.

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