Fortezza Vecchia di Livorno - Ingresso visto dal basso
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Memorie

Livorno d'altri tempi

Come si diventa la capitale britannica nel Mediterraneo

di Gigliola Pagano De Divitiis

Estratto del saggio “Il porto di Livorno fra Inghilterra e Oriente” pubblicato sul periodico Nuovi studi Livornesi (volume I, 1993)  

Livorno, fondato a metà del XVI secolo da Cosimo I de’ Medici, diventò lo scalo privilegiato della marineria inglese a partire da quando essa rientrò nell’area mediterranea negli anni Settanta del Cinquecento. Questo costante legame fra il porto toscano e l’Inghilterra è giustificato non solo dagli antichi rapporti economici tra i due Paesi, mai interrotti, ma anche dal fatto che i progetti commerciali inglesi nel Mediterraneo mettevano la nascente potenza nordica in diretta competizione con Genova e soprattutto con Venezia. Ben posizionato sulla rotta verso Levante, dotato di nuove attrezzature portuali, sprovvisto di una propria flotta mercantile, gestito dalla politica illuminata dei Medici, Livorno costituiva quindi per il commercio inglese una base ideale.

Il porto toscano era innanzitutto uno “scalo tecnico” d’obbligo. Infatti i viaggi verso l’Europa meridionale e il Levante erano considerati imprese lunghe, in cui venivano impiegate navi forti e bene armate, equipaggi addestrati e capitani esperti. I viaggi Inghilterra-Livorno-Levante e ritorno duravano circa un anno, ma talvolta anche di più se i mercantili trovavano impiego in noli intra-mediterranei. Era dunque necessario un punto di appoggio dove poter rifare la carena, che aveva bisogno di maggior manutenzione durante la permanenza in acque calde, apportare riparazioni allo scafo, rinnovare le attrezzature veliche e i cordami e rifornirsi di cibo e bevande.

Il porto toscano fin da quando era nato era stato predisposto dai Medici per rispondere a questo tipo di esigenze, con moli convenienti, un arsenale e una darsena d’alto fondo. A Livorno era facile comprare viveri poiché era stato progettato anche come un “port de blé”. La Toscana, inoltre, non essendo in grado di sopperire ai bisogni alimentari dei suoi abitanti, aveva uno stabile collegamento marittimo e mercantile con l’Italia meridionale che costituiva una ricca fonte di approvvigionamento.

La necessità di uno scalo tecnico per le imbarcazioni che navigavano fino alla costa levantina fu maggiormente sentita a partire dalla metà del Seicento quando, oltre che per i mercantili, Livorno divenne una base di riparazioni e rifornimenti anche per le navi da guerra che li scortavano e per la flotta che presidiava l’area mediterranea per rintuzzare gli attacchi dei barbareschi e fronteggiare la guerra di corsa, che accompagnava ogni conflitto, e la competizione della marineria olandese.

Le rotte delle scorte che seguivano i convogli attraversavano tutto il Mediterraneo fino a Smirne, Costantinopoli e Scanderone, porto di Aleppo (odierna Alessandretta), da dove le navi della Levant Company ripartivano cariche dopo esservi giunte con argento in verghe o in monete. Le fregate adibite alla protezione dei rich trades mediterranei salpavano usualmente dai porti inglesi ma talora provenivano da Terranova, da dove le fish ships volgevano la prua direttamente verso i mercati mediterranei.

Le istruzioni date nel 1659 dall’Ammiragliato inglese al capitano Jonas Poole  – che con la “Leopard”, la “Jersey” e la “Elisabeth” doveva scortare le navi dirette nel Mediterraneo – offrono una chiara idea della rotta seguita dai mercantili e dalle navi da guerra assegnate loro. Partendo dai Downs, alla bocca del Tamigi, e proseguendo per Plymouth, Poole doveva guidare il convoglio a Gibilterra e poi ad Alicante, dove un certo numero di navi era diretto. La scorta avrebbe poi proseguito per Genova e Livorno e, lasciati in quei porti alcuni vascelli, avrebbero preso sotto la sua protezione quelli diretti a Levante.

Lungo la rotta le fregate inglesi avrebbero scortato le navi dirette a Napoli, Messina, Zante e Smirne per poi arrivare a Scanderone. Dopo una sosta di non più di due settimane Poole doveva ritornare a Livorno e a Genova, fermandosi solo qualora ritenesse necessario accompagnare dei mercantili alle loro destinazioni poste lungo la rotta, ma senza mai sostare più di sei giorni. Dalla costa italiana sarebbe poi dovuto ritornare direttamente in Inghilterra. […]

I vantaggi dello scalo di Livorno non consistevano solo nella modernità delle sue attrezzature e dei servizi offerti e nella abbondanza e convenienza delle merci ma anche, cosa non comune a quei tempi, nella sicurezza che tutti i vascelli avevano di poter usufruire di tutto ciò senza temere di trovare limitazioni di alcun genere sulle loro rotte e nelle loro operazioni da parte del Granduca. Il maggior problema di Cadice, ad esempio, era proprio quello delle interferenze del governo spagnolo. Per la stessa ragione, probabilmente, era stato scelto Livorno al posto di Messina o Napoli, porti molto più convenienti per posizione geografica nei confronti della rotta fra Inghilterra e Levante.

Rispetto al movimento navale, Livorno e le acque territoriali del Granducato erano zona franca dove le imbarcazioni di tutte le nazionalità potevano muoversi liberamente non solo nei confronti del governo locale ma anche in quelli delle unità nemiche.

Una politica di neutralità era una necessaria premessa e una diretta conseguenza della volontà medicea di fare di Livorno uno scalo e un centro di raccolta di merci a livello internazionale, soprattutto se si tiene conto che nel XVII secolo tutte le competizioni politiche ed economiche europee si ripercuotevano nell’area mediterranea dove l’Inghilterra e l’Olanda, pur essendo geograficamente distanti, svolgevano un ruolo determinante.

La politica granducale a questo riguardo inizia a delinearsi dagli anni Novanta del Cinquecento allorché Ferdinando I si lamentava con Elisabetta che i velieri inglesi molestavano e svaligiavano le navi «che trovano destinate per detto porto e quello che di esso si partono, con tanto danno delle mie Dogane e della libertà di esso». La pregava quindi di ordinare ai suoi vascelli di non molestare le imbarcazioni che arrivavano o partivano da Livorno.

Nel 1601 gli inglesi catturarono una nave livornina appena uscita dal porto e carica di merci di sudditi toscani. Il Granduca applicò subito la legge della rappresaglia e ordinò il sequestro di tutte le merci inglesi sia a Pisa che a Livorno. Richiese poi che «li padroni delle Nave Inghilese che partono di Livorno dieno giuramento di non offendere alcuno vassello che vadia o che venga al detto porto» perché non voleva assolutamente «perdere il Commerzio di tutte le altre nazioni del Porto di Livorno…».

In questa occasione, come altre volte in seguito, gli inglesi residenti in Toscana si schierarono dalla sua parte. Erano infatti troppe le perdite che ne sarebbero conseguite nei loro traffici con il Levante.

La neutralità dello scalo labronico da consuetudine divenne regola necessaria quando, a partire da metà Seicento, il Mediterraneo si trasformò in uno degli scenari più importanti della competizione commerciale fra Inghilterra e Olanda. All’inizio del primo conflitto ango-olandese il capitano Appleton, lasciato dall’ammiraglio inglese Badiley a guardia del porto, catturò una nave francese in arrivo. Era questo il secondo episodio del genere, quindi il Granduca convocò tutti i mercanti inglesi residenti a Livorno per esprimere il suo disappunto. Fu chiesto loro di inoltrare una lettera di protesta per questa violazione della libertà del porto, accompagnandola con una petizione della comunità mercantile. […]

Il Granduca, deciso a mantenere nel suo porto la pace fra inglesi e olandesi, chiese ed ottenne una punizione dimostrativa dei responsabili dell’offesa. Appleton, scelto come capro espiatorio, fu costretto a promettere davanti al tribunale che in futuro non avrebbe molestato né olandesi né francesi nel tratto di mare in prossimità di Livorno e inoltre fu subito privato di qualsiasi comando nella marina da guerra inglese.

Ancora nel 1658 l’aggressività delle navi inglesi nelle acque toscane spinsero il Granduca a inviare a Londra lettere di protesta. Fra l’altro un’imbarcazione spagnola proveniente da Napoli era stata catturata proprio all’interno del porto. Anche in questo caso, come nei precedenti, i mercanti inglesi di Livorno si schierarono dalla parte del governo toscano.

 

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