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Dubbi sull'iniziativa di pace promossa dagli USA

Crisi nel Mar Rosso, nessuna Buona Speranza per il domani

di Redazione Port News

Nonostante la notizia della predisposizione di una nuova task force guidata dagli USA, istituita con l’obiettivo di rafforzare la difesa marittima nel Mar Rosso e garantire la sicurezza alle navi commerciali, le compagnie di navigazione le cui navi sono rimaste intrappolate nella regione, tra gli Houthi a sud e il costoso transito di Suez a nord, stanno continuando a dirottare la propria flotta verso il Capo di Buona Speranza.

“Ciò dimostra che i vettori non credono che la situazione si risolverà a breve, entro le prossime 2 settimane” afferma il ceo di Vespucci Maritime Lars Jensen.

I carrier si trovano infatti oggi al bivio di due scelte strategiche per il futuro. Possono assumere una posizione attendista, tenere le proprie navi ferme in rada di fronte all’ingresso dello Stretto di Bab el-Mandab finché la situazione della sicurezza non venga risolta.

Oppure, opzione n.2,  possono  fare inversione a U e tornare nel Mediterraneo attraverso Suez e da lì circumnavigare l’Africa. Chiaramente, questa seconda soluzione è più costosa della prima: “I soli costi di transito e di carburante dovrebbero superare i 2 milioni di dollari a nave” afferma ancora Jensen. Inoltre, il transito dal Capo di Buona Speranza, come già sottolineato dagli analisti, richiede in media due settimane in più rispetto alla navigazione oltre lo Yemen.

“E’ certamente comprensibile il motivo per cui i vettori hanno per ora tenuto ferme le proprie navi, sperando in una risoluzione tempestiva” sottolinea l’esperto analista di Vespucci Maritime. “Tuttavia, il fatto che in molti abbiano scelto l’opzione n.2 dimostra che i liner non credono più nella possibilità di una schiarita nel breve periodo. Se ci avessero creduto, avrebbero dovuto continuare ad aspettare” aggiunge.

Insomma, la missione Prosperity Guardian parte già col fiato corto. Come già ricordato, sono in molti ad essere scettici riguardo alle sue possibilità di successo nel breve periodo. Prima di tutto perché non esistono ad oggi difese anti-aeree capaci di assicurare al 100% la difesa dell’obiettivo, soprattutto quando a minacciarti sono piccoli e sofisticati droni.

In secondo luogo perché sulla missione di peacekeeping e sulle sue modalità operative si sono già registrate le prime divergenze sulle regole di ingaggio. Non è un caso che nella coalizione non figurino l’Egitto e  l’Arabia Saudita. Il mondo arabo, già segnato dalla crisi geopolitica innescata dalla Guerra tra Hamas e Israele, guarda chiaramente con diffidenza a una iniziativa a guida statunitense che possa creare ulteriori squilibri nell’area e innescare nuove tensioni con Teheran, Mosca e Pechino.

Da questo punto di vista la difficoltà principale è quella di proteggere, sì,  la navigazione commerciale, ma senza inasprire il conflitto mediorientale. C’è chi teme, infatti, che la missione di pace possa diventare un boomerang per il mondo occidentale. Come sottolineato sul the Guardian da un esperto del thinktank Chatham House, Farea Al-Muslimi  è lecito aspettarsi che gli Houthi continueranno ad attaccare le navi commerciali nonostante l’annuncio della missione di pace statunitense, anche perché godono di un ampio sostegno nel mondo arabo e non intendono perderlo.

Fino a dove potranno spingersi gli americani e i partner della coalizione anti-Houthi per difendere l’area marittima del Mar Rosso? E’ questa la domanda che si stanno ponendo gli analisti. Il rischio è quello di rendere inevitabile un conflitto con gli houthi, in uno Yemen peraltro già lacerato dalla guerra civile e diviso in due parti, una controllata dal movimento armato spalleggiato dall’Iran, un’altra dal Governo centrale e da una coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita.

Insomma, l’opzione 1 per i carrier è oggi un azzardo e in pochi vogliono giocare a quella che sta diventando sempre di più una roulette russa. La CNBC afferma che sino ad ora sono stati dirottati dal Mar Rosso merci per un controvalore complessivo di 30 miliardi di dollari.

“Il Mar Rosso, soprattutto con il Canale di Suez, è un’arteria fondamentale i container” dichiara il ceo e fondatore di Container Xchange, Christian Roeloffs, aggiungendo che “si tratta di un’austostrada che collega diverse parti del mondo, in particolare Europa, Asia e Africa. Le recenti interruzioni sono destinate a far lievitare i costi operativi, aggiungendo tensioni significative ed esercitando allo stesso tempo una pressione al ribasso sui profitti. Ciò segna un inizio scoraggiante per la pianificazione strategica per l’anno 2024”. Secondo il manager gli effetti della crisi nel Mar Rosso si faranno presto sentire anche sui prezzi dei container nei principali porti del Nord Europa.

La rotta commerciale del Mar Rosso è strategicamente significativa perché collega il Mar Mediterraneo all’Oceano Indiano, fornendo una scorciatoia per le navi che viaggiano tra l’Europa e i paesi dell’Asia e dell’Africa.

Come riportato da Linerlytica, complessivamente sono 664 le portacontainer impiegate lungo le rotte che transitano da Suez: 234 quelle utilizzate per la rotta Asia-Nord Europa (il 43% della capacità totale), 159 le unità impiegate lungo i servizi di collegamento tra l’Asia e il Mediterraneo (23%); 84 le navi che viaggiano tra l’Europa e l’US East Coast (12%); 123 quelle impiegate tra l’Europa, il Medio Oriente e il Subcontinente indiano (il 11%) mentre 48 e 16 navi, pari al 4 e 2% della capacità complessivamente dispiegata, sono utilizzate rispettivamente nei viaggi tra gli USA e il Medio Oriente/India e tra l’Europa e l’Oceania.

“Se tutte queste navi fossero costrette a deviare dalla rotta di Suez a quella del Capo di Buona Speranza, aumenterebbero i tempi di transito complessivi di andata e ritorno di circa il 30%” afferma la consultancy firm, sottolineando che in questo modo la domanda globale di teu-mile aumenterebbe di almeno 2,5 milioni di teu. Si tratta dell 9% dell’attuale flotta globale.

“Le interruzioni sia nel canale di Suez che in quello di Panama evidenziano l’importanza di un’autorità internazionale che controlli come viene offerta la capacità e a quale prezzo” afferma Antonella Teodoro, senior transport consultant di MDS Transmodal. “Abbiamo bisogno di una catena di approvvigionamento globale più resiliente”.

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