I porti svolgono un ruolo fondamentale nell’agenda della decarbonizzazione. Il trasporto globale è responsabile di circa il 24% di tutte le emissioni di CO2, il 10% delle quali è prodotto da quello marittimo.
Nonostante tutti gli sforzi compiuti in questi anni per raggiungere il traguardo del NET-Zero, pochi sono però sono stati i progressi realmente raggiunti nell’ambito della sostenibilità ambientale dai principali scali portuali del mondo.
Anzi, in alcuni casi, le emissioni dirette e indirette di Gas Serra prodotte durante lo svolgimento delle attività portuali o di quelle logistiche (trasporto interno della merca da banchina al magazzino) sono addirittura aumentate.
Lo rivela uno studio condotto da VesselBot, leader nella tecnologia di monitoraggio e ottimizzazione delle emissioni Scope3 (che include tutte le altre emissioni indirette che si verificano nella catena del valore di un’azienda e che includono casi di emissioni di carbonio al di fuori dell’impronta fisica diretta dell’azienda).
Il report esamina le emissioni di Gas Serra prodotte nel primo trimestre del 2025 da alcuni dei più importanti porti container del mondo, da quelli nord americani di Long Beach, Los Angeles, Norfolk, Houston e Savannah, a quelli europei di Rotterdam, Valencia e Algeciras, per terminare con quelli asiatici di Shanghai, Singapore e Laem Chabang, in Tailandia.
“Nel complesso, rispetto al 2024, abbiamo osservato un aumento delle emissioni per la maggior parte dei porti, in particolare per i porti di Shanghai (CNSHA) e Singapore (SGSIN)” affermano gli analisti di Vesselbot.
Shanghai è il porto che ha fatto registrare le emissioni più elevate. Nel periodo di riferimento lo scalo asiatico è stato responsabile per la produzione diretta e indiretta di 140.000 tonnellate di Gas Serra.
Si tratta di una cifra record, che va spiegata con l’aumento delle attività navali all’interno e nelle vicinanze del porto, che oggi risulta molto più congestionato rispetto all’anno precedente.
L’efficienza nello svolgimento delle operazioni portuali, la conformazione del porto e il numero di terminal in grado di ricevere navi, sono elementi che Vesselbot ha preso in considerazione per la sua analisi. Nel complesso, è stata registrata una relazione quasi lineare tra il numero di navi partite/arrivate in un porto e le emissioni prodotte da quest’ultimo.
Anche la congestione navale può portare a un aumento delle emissioni e dei tempi di attesa; da questo punto di vista, terminal efficienti, anche automatizzati (come il Tuas Terminal di Singapore), possono semplificare le operazioni e ridurre significativamente i tempi di attesa, accelerando così i processi di carico e scarico.
Rilevante, poi, risulta essere l’inquinamento causato dalle navi quando sono ormeggiate. Quantunque spengano il motore principale quando sono in banchina, le portacontainer mantengono acceso quello ausiliario per supportare le operazioni e le funzioni vitali necessarie. Le emissioni all’ormeggio sono sempre le più elevate, il che significa che se un porto non è in grado di accelerare le operazioni di carico e scarico, è molto probabile che le emissioni aumentino rapidamente.
A marzo del 2025 è stato rivelato come l’8,4% della flotta globale delle portacontainer sia rimasto bloccato per giorni in rada prima di poter essere lavorato in banchina, con un effetto dirompente sul livello di inquinamento portuale.
Tensioni geopolitiche, eventi meteorologici estremi e scioperi hanno chiaramente contribuito a prolungare i tempi di attesa, che a volte hanno superato i 3 e i 4 giorni. Ad esempio, rispetto al 2024 la congestione e i ritardi portuali hanno raggiunto livelli critici nei porti del Nord Europa, come Rotterdam. “L’introduzione graduale di nuove reti, gli elevati volumi di TEU e gli arrivi ritardati delle navi al di fuori delle finestre di ormeggio hanno causato gravi congestioni e ritardi nelle operazioni portuali” scrivono gli autori dello studio, che aggiungono come la conformazione di un porto sia un’altra concausa delle emissioni prodotte da un porto.
Da questo punto di vista, il report evidenzia come il porto di Houston negli Stati Uniti e quello Rotterdam nei Paesi Bassi richiedano alle navi di viaggiare a velocità ridotta su fiumi e canali per alcuni chilometri prima di raggiungere i terminal. L’aumento della congestione in questi porti non solo può portare a un aumento dei tempi di attesa, ma anche a un aumento delle emissioni. Nel febbraio 2025, il porto di Houston ha subito ritardi a causa della fitta nebbia, che ha impedito alle navi di viaggiare nel canale.
Dall’analisi di Vesselbot emerge come Singapore sia, dopo Shanghai, lo scalo portuale che ha fatto registrare il maggiore livello di inquinamento. Tra gennaio e marzo, il porto è stato responsabile per l’emissione di oltre 80.000 tonnellate di emissioni.
Rotterdam è il porto europeo con le emissioni più elevate, ne ha prodotte quasi 50.000 tonnellate nel periodo di riferimento. Livelli importanti di inquinamento sono stati raggiunti anche dai porti statunitensi, che tra gennaio e marzo hanno movimentato volumi da record a causa della corsa al front-loading da parte degli importatori americani, tormentati dalla necessità di far arrivare dalla Cina quanta più merce possibile prima dell’introduzione dei dazi annunciati da Trump.
“Questo rapporto rivela la complessa relazione tra attività portuale ed emissioni”, ha affermato Constantine Komodromos, CEO e fondatore di VesselBot. “I nostri dati mostrano che, sebbene un maggior numero di navi comporti generalmente maggiori emissioni, le prestazioni e l’efficienza operativa sono fattori di mitigazione cruciali.”
La decarbonizzazione del settore marittimo richiede però un approccio articolato. “I porti devono acquisire dati in tempo reale per ottimizzare le operazioni, ridurre le emissioni inattive e gestire al meglio il flusso delle navi. Politiche, tecnologia e strategie logistiche internazionali collaborative saranno fondamentali per realizzare un futuro a basse emissioni di carbonio per il trasporto marittimo” concludono gli analisti di Vesselbot.