Interviste

Colloquio con Gian Enzo Duci

Effetto Trump, Italia nel guado tra dazi e opportunità

di Redazione

Il Lloyd’s List lo ha dichiarato con assoluta certezza. Il gioco del gatto col topo tra gli Stati Uniti e la Cina rimodellerà le future rotte marittime commerciali internazionali, andando a ridefinire anche le catene di fornitura.

Se nel 2024 la Cina ha investito 195 miliardi di dollari all’estero, indirizzando gran parte delle proprie risorse verso le economie ASEAN (Sud-est asiatico) e provando così a mitigare i rischi derivanti dall’aumento delle barriere commerciali che fin dai tempi della sua prima esperienza alla Casa Bianca (“Trump 45”) il Presidente aveva provato ad innalzare a difesa dell’economia nazionale, oggi il Tycoon ha deciso di condurre una lotta senza quartiere, prendendo di mira anche le cosiddette riesportazioni di merce cinese dai paesi asiatici (dalle magliette made in Vietnam ai mobili verniciati in Cambogia).

“Siamo in un momento in cui è estremamente difficile parlare di quello che potrebbe accadere allo  shipping” afferma a Port News Gian Enzo Duci, ceo di ESA Group ed ex vice presidente di Conftrasporto – Confcommercio, carica che ha appena lasciato al Presidente di Federagenti Paolo Pessina. “E’ ancora più difficile provare anche soltanto a commentare gli eventi: non fai in tempo a rilasciare una intervista che prima della sua pubblicazione Trump ti ha cambiato le carte in tavola”.

Gli esempi si sprecano. La chiusura di Hormuz, pochi giorni fa paventata come un rischio reale da molti analisti, è stata presto derubricata quasi a livello di una boutade estiva dopo che Trump ha imposto e annunciato la tregua tra Iran e Israele.

E che dire del 9 luglio, la data del non ritorno, la dead line scaduta la quale gli USA avrebbero dovuto ripristinare i dazi commerciali annunciati nel “Liberation Day” e poi sospesi per 90 giorni? Oggi scopriamo che la scadenza non è, forse, così perentoria come sembrava all’inizio, ma che potrebbe essere ulteriormente rinviata, o, addirittura, i dazi proprio cancellati, a fronte di accordi commerciali bilaterali che gli USA starebbero proponendo a tutti i paesi partner.

“Chi fa analisi nel nostro settore dovrebbe cercare di capire l’andamento di fondo ripulendolo dalle situazioni contingenti che ormai cambiano a livello giornaliero” spiega il manager genovese.

“Quello che possiamo dire con assoluta certezza è che mai nessuno quanto questo Trump (Trump 47) ha considerato il settore marittimo così centrale per la propria economia nazionale” afferma ancora Duci, registrando l’inversione a U di un Paese che negli ultimi 50 anni ha rinunciato ad esercitare un ruolo di leadership globale nel settore dello shipping, tanto da smettere di investire nelle proprie infrastrutture portuali e da consentire la privatizzazione e l’acquisto all’estero di alcune delle sue più importanti aziende di trasporto marittimo, dalla SeaLand (acquisita da Maersk) all’American President Line (acquisita da Neptune Orient Line poi inglobata in CMA CGM).

Non è un caso che oggi porti americani siano vetusti a livello infrastrutturale e di equipment, al punto tale da non essere scalati dalle navi più grandi. Un vero smacco per un Paese che ha inventato il contanier, le gru Paceco e che ha usato per la prima volta l’informatica nella pianificazione delle operazioni di carico e scarico della merce.

ll ritardo accumulato, ad esempio, nella cantieristica navale è figlio di quelle scelte. “Gli USA, a partire dagli anni ’90, hanno lasciato campo libero ai newcomer asiatiaci, senza sfruttare su alcun fronte i vantaggi offerti al settore dai Paesi asiatici. Anche l’Europa ha smesso di costruire le navi più semplici, ma le sue compagnie di navigazione hanno goduto dei prezzi più bassi in Giappone, Sud Corea e Cina per alimentare o creare flotte leader di mercato (dai quattro principali liner container ai grandi armatori greci nel bulk e nel tanker), gli USA risultano invece non pervenuti”.

Al 47esimo presidente americano va dunque attribuito il merito di aver posto degli obiettivi al settore marittimo portuale, sebbene gli strumenti e i fondi messi in campo, per quanto rilevanti, non sembrino sufficienti a far sì che la cantieristica americana possa recuperare il terreno perduto e l’armamento riacquisire un ruolo strategico per l’import/export nazionale.

Lo “Ships for America Act” prevede la costruzione negli USA di una Flotta Strategica Commerciale di 250 navi entro il 2035, che vorrebbe dire, solo per questo progetto, il doppio della capacità cantieristica totale ad oggi.

Inoltre James Lightbourn, fondatore di Cavalier Shipping, società dedicata alla consulenza finanziaria all’armamento americano, ha stimato che il differenziale di costo per costruire e gestire queste navi negli USA sarebbe pari a 8.8 miliardi di dollari all’anno, a fronte dei 2.1 miliardi all’anno garantiti quale budget massimo dal Governo USA.

Per quanto difficili o eccessivamente ambiziosi possano essere i traguardi che la Casa Bianca si è prefissata di raggiungere, Duci non vede però nella politica di potenza di Trump il solo obiettivo della sua azione. “Lette col senno di poi, appaiono oggi assumere contorni diversi anche alcune delle dichiarazioni più allarmanti rilasciate in questo periodo dal presidente americano, come quelle sull’annessione militare della Groenlandia, che allora aveva alimentato possibili scenari di nuovi conflitti internazionali” afferma, aggiungendo che: “Molti analisti avevano letto in quelle dichiarazioni una volontà espansionistica di Trump, finalizzata alla necessità di salvaguardia della sicurezza nazionale. In pochi hanno osservato che l’eventuale acquisizione della più grande isola del mondo potrebbe avere per l’amministrazione americana delle importanti ricadute anche a livello logistico. L’apertura delle rotte artiche farà diventare la Groenlandia il crocevia di quelle che diventeranno le più importanti rotte commerciali del futuro”.

D’altra parte, nel contesto geopolitico attuale non sembra essere più l’economia  a guidare i comportamenti del mondo. “Sembrano essere altre le tematiche da cui si originano le scelte politiche” sottolinea il ceo di ESA Group. Rimane però fermo “che se si dovessero calmare le questioni politico-militari e se si dovessero concludere i principali conflitti in corso (obiettivo dichiarato di Trump 47), si aprirebbero molteplici opportunità di sviluppo per l’economia globale in un contesto di ricostruzione post-conflitto molto simili a quelle nel post Seconda Guerra mondiale.  Non dissimilmente una riapertura dell’Iran, Paese con 90 milioni di abitanit, ai trade globali potrebbe garantire una forte spinta al settore marittimo”.

Guardando all’Italia, all’esperto agente marittimo non sfuggono le potenzialità che il Piano del Mare e, in particolare, il Piano Mattei possono avere nell’attuale situazione geopolitica. “In un contesto globale critico abbiamo di fronte un continente, l’Africa, che sta percentualmente crescendo più di altri a livello economico e il nostro posizionamento nel Mediterraneo, unitamente al presidio di sicurezza offerto dalla nostra Marina Militare in tema di salvaguardia della libertà di navigazione, offre al Paese importanti sponde nel percorso di sviluppo di nuove filiere produttive” dice.

Se da questo punto di vista “il Governo si sta mostrando lungimirante, un po’ di dubbi ci vengono quando andiamo a ragionare in termini di governance del sistema portuale nazionale” fa però osservare Duci. Nulla quaestio sulla scelta di adottare una regia unica per i porti, “che sembra andare nella direzione giusta, con l’accentramento nelle mani di un unico soggetto delle grandi scelte di investimento infrastrutturale”, ciò che non va è invece “la scarsa attenzione sulle competenze delle persone che in alcuni porti sembrano siano state scelte a fare i commissari e poi i presidenti”.

Il manager genovese è tranchant: “I porti e la loro amministrazione non sono paragonabili alle tipiche aziende partecipate pubbliche. I porti, se proprio devono essere oggetto di spartizione elettorale, lo possono essere solo attraverso la scelta di una classe dirigente con le adeguate competenze richieste dalla legge”.

Duci sottolinea come talune scelte siano tanto più discutibili in quelle aree del Paese dove la comunità marittima appare essere più debole e dove la conoscenza del mondo portuale da parte della politica è meno consolidata. Al contrario, “in quelle aree tra cui la Liguria e la Toscana, dove è presente un cluster portuale più forte, le scelte sulla nomina dei commissari/presidenti sono state più ponderate, ed effettuate nel rispetto dei criteri di competenza che la legge dovrebbe imporre ovunque nel Paese”.

Per l’ex presidente di Federagenti  c’è insomma la necessità “di far fare un salto culturale in avanti ad un Sistema che in alcune aree del Paese sembra essere ripiombato nel passato”.

Torna su