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Interventi

Porti, navi, tecnologie e riforme

Il mare tra hardware e software

di Angelo Roma

Consulente marittimo

Quando si pensa al mare, le immagini più vivide che vengono in mente sono il turismo balneare, le navi da crociera, i pescherecci che rientrano in porto al tramonto. Il mare è molto più di questo; è essenzialmente un’enorme infrastruttura naturale che interessa la maggior parte dell’economia mondiale.

Un solo dato: oltre il 90% del commercio internazionale avviene via nave.

È per questo motivo che discutere di politica marittima significa affrontare un tema intrecciato con trasporti, economia, sicurezza, energia e ambiente.

Per comprendere veramente come funziona questa complessa macchina, siamo soliti usare un’analogia semplice ed efficace: quella con il mondo dell’informatica.

“Hardware” e “software” sono essenziali perché, come un computer, la politica marittima ha bisogno sia di infrastrutture fisiche funzionali che di sistemi operativi in grado di farle funzionare al meglio.

Due elementi separati ma correlati e dipendenti che non possono essere separati, e senza i quali non si può tracciare alcuna rotta.

L’hardware
L’hardware è ciò che si vede, ciò che deriva da investimenti concreti e ingenti. È la struttura fisica da cui opera il sistema marittimo.

I porti sono il nostro hardware principale. Rappresentano il cuore della logistica. Espansioni, dragaggi dei fondali, collegamenti con ferrovie e autostrade non sono dettagli tecnici, ma condizioni vitali per scambi rapidi e competitivi.

Le navi rappresentano l’infrastruttura mobile su cui facciamo viaggiare merci e persone. La flotta mercantile è in continua evoluzione. Oggi è più sicura, più tecnica e, soprattutto, meno inquinante.

Altri esempi di hardware sono la  cantieristica navale, un settore storico nel nostro paese che deve adattarsi per tenere il passo con i tempi; l’energia offshore, con i parchi eolici galleggianti, le piattaforme di gas e petrolio, i sistemi ibridi per la generazione di energia in mare; e la sicurezza, con riferimento ai  mezzi della Guardia Costiera, ai sistemi di sorveglianza ad alta tecnologia, ai droni subacquei e alle tecnologie digitali per monitorare le rotte.

Il software
Chiaramente, nessuna infrastruttura, per quanto aggiornata, funziona autonomamente. Per essere efficace richiede regole chiare, coordinamento e personale formato. È l’aspetto invisibile ma fondamentale, il “software” della politica marittima.

I temi collegati a questo aspetto sono quelli di una burocrazia semplificata nei porti e di una legislazione unificata che governi sicurezza e sostenibilità. La digitalizzazione è anch’essa un elemento qualificante per verificare l’efficienza, l’efficacia ed economicità delle attività portuali ai fini della ottimizzazione delle catene di approvvigionamento (porti “intelligenti”, processi doganali digitali, satelliti per monitorare i flussi e ottimizzare le rotte).

E che dire della formazione, senza la quale non sarebbe oggi possibile sviluppare le nuove competenze professionali e sfruttare le opportunità di impiego future?

Infine, meritano un cenno a parte anche le attività di coordinamento europeo (le modalità con cui l’Ue sostiene una politica marittima integrata) e, soprattutto, le politiche ambientali, perché la lotta al cambiamento climatico passa anche dal mare. La decarbonizzazione dei trasporti e la protezione dell’ecologia marina non sono una scelta, ma un obbligo.

Perché hardware e software devono viaggiare insieme
Se dovessimo sintetizzare quanto spiegato poco prima, potremmo dire che un porto ultramoderno è poco utile se le navi restano ferme per giorni mentre si svolge un processo lungo e complesso. Una legge di decarbonizzazione altrettanto ambiziosa è ancora semplicemente una lettera morta in un mondo in cui non ci sono navi e infrastrutture per onorarla.

L’hardware senza software è quindi inefficiente. E il software è inefficace senza un hardware adatto a garantirne le funzionalità. Un esempio concreto? La transizione ecologica e il trasporto marittimo. Sul fronte hardware, nuove navi a propulsione ibrida, elettrica o a idrogeno, e porti con sistemi di ricarica e rifornimento, sono indispensabili. E per il software ci devono essere standard internazionali per fissare riduzioni delle emissioni, per incentivare le aziende a investire e per il coordinamento internazionale per mitigare gli squilibri competitivi.

Guardando al mare, una distinzione tra hardware e software ci aiuta pertanto a capire che il futuro non dovrebbe consistere solo in ciò che è visibile ma in regole intelligibili, strategie proattive e capitale umano.

È così che la politica marittima diventa un motore di crescita sostenuta e sicurezza e senza questi due elementi insieme non fiorirà mai. In altre parole: per navigare il futuro del mare non è solo necessario avere una nave moderna; serve la giusta rotta.

Porti, navi e tecnologie da un lato, regolamenti e innovazione dall’altro: solo in congiunzione con infrastrutture che siano coordinate e non isolate, l’Italia avrà la capacità di plasmare la sua politica marittima per il futuro.

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