Interviste

Colloquio con Ennio Palmesino

Il nero che fa saltare il banco

di Redazione

Nonostante la domanda di mercato rimanga ad oggi alquanto debole il prezzo del petrolio continua stabilmente a mantenersi sopra i 60 dollari al barile.

Il Brent, greggio estratto nel mare del Nord la cui quotazione fa da riferimento per i 2/3 degli scambi mondiali, ha infatti superato due settimane fa i 70 dollari al barile per la prima volta in 14 mesi e anche se oggi stiamo assistendo a una leggera inversione di tendenza dovuta principalmente ai timori su una ripresa più lenta del previsto in Europa e in Cina, secondo alcuni analisti i prezzi potrebbero arrivare a rompere quota 80 dollari al barile già nel secondo semestre.

I tagli alla produzione di OPEC+ e le stime sulla crescita del PIL globale diffuse dall’OCSE in questi giorni spiegano soltanto in parte un rally che perdura da inizio gennaio e che si è rafforzato nell’ultimo periodo. Che cosa sta accadendo? Ce lo ha spiegato Ennio Palmesino, broker con oltre quarant’anni di attività nel settore.

«I prezzi del petrolio oscillano in base alla domanda e all’offerta globali ma la crescita economica (anche solo crescita prevista), gli obiettivi di produzione per i paesi dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (OPEC), gli eventi geopolitici e il clima, possono tutti contribuire ai cambiamenti» ha detto.

«A febbraio il costo del petrolio è aumentato a causa di un’invasione di aria artica sul continente nordamericano, che ha stimolato la domanda di carburante e messo a rischio la produzione di petrolio in Texas, dove le basse temperature hanno provocato severi blackout elettrici» ha aggiunto Palmesino, ricordando come la produzione di petrolio greggio da parte dei membri dell’OPEC e dei paesi partner (OPEC+) sia stata ridotta in seguito ad un accordo multilaterale per limitare la produzione. L’Arabia Saudita ha annunciato che avrebbe tagliato volontariamente la produzione di ulteriori 1,0 milioni di barili al giorno nei mesi di febbraio e marzo.

«È successo che nell’ultimo trimestre 2020 e primo trimestre 2021 la produzione è rimasta a circa 93/94 milioni di barili al giorno, al di sotto dei consumi che sono stati di 96-96,5 milioni. Non deve pertanto sorprendere che il prezzo del barile sia salito nei giorni scorsi ad oltre 65 dollari. È previsto che le due curve si riavvicinino solo alla fine del secondo trimestre».

A partire dalla seconda metà dell’anno, i prezzi dovrebbero quindi cominciare a sgonfiarsi. O no? «È chiaro che se i prezzi del barile ricominciano a scendere la domanda di olio può risalire, aiutando così il mercato delle navi cisterna da greggio a riprendersi, dopo mesi di noli bassi, talvolta anche in territorio negativo».

Per Palmesino la Finanza non è estranea a tali dinamiche: «Il mondo finanziario spinge perché i prezzi del West Texas Intermediate restino saldamente al di sopra dei 50 dollari, in modo tale da consentire ai piccoli produttori di shale oil americano di non andare in bancarotta, cosa che porterebbe ad una valanga di insolvenze».

Per tutto il 2021 l’EIA prevede che il consumo globale di combustibili liquidi sarà in media di 97,8 milioni di barili al giorno e salirà a 101,1 milioni di barili al giorno nel 2022, solo leggermente inferiore alla media del 2019 di 101,2 milioni di barili al giorno (ritorno allo status quo ante la pandemia).

Torna su