© Michela Canalis
Interviste

Colloquio con Alessandro Ferrari

Il riformismo rischia di essere un blob

di Marco Casale

In fondo non sarà un caso che Blob sia uno dei programmi televisivi più longevi della televisione italiana. «La Pubblica Amministrazione in Italia richiama il programma di Rai3: un Sistema autoimmune che a volte procede magmaticamente per prassi amministrative più o meno consolidate e che spesso e volentieri prescinde dalle leggi emanate e dal loro contesto, per non parlare delle norme europee, mostrando una sostanziale non volontà di dare seguito a quanto preventivamente legiferato».

È volutamente provocatorio Alessandro Ferrari. «Le riflessioni che Roberta Macii ha consegnato alla stampa in una lettera aperta inviata al Ministro Giovannini descrivono in modo esaustivo i problemi che affliggono il nostro Paese. L’Italia è un mercato giuridico, con una superfetazione legislativa che ha prodotto in passato e produce ancora oggi lockdown periodici, come in una funzione algebrica, della politica e dell’agire amministrativo».

Il direttore generale di Assiterminal non è tipo cui si possano rimproverare ecumenismi di facciata o di semplice diplomazia, è una persona che ama parlare sinceramente senza girarci troppo a torno: «Gli addetti ai lavori – ha scritto la Macii nella sua lettera – si collocano molto spesso in una dimensione parallela che produce, per effetto di procedimenti complicati e interminabili, diseconomie di sito e, appunto, di sistema. Non posso che condividere».

Ferrari sottolinea come in Italia il legislatore abbia troppo spesso fatto un eccessivo ricorso a regimi speciali per affrontare situazioni emergenziali come quella che abbiamo vissuto e in parte stiamo ancora vivendo. «Il risultato? Nonostante l’attivismo normativo, molti provvedimenti sono ancora rimasti lettera morta».

Il dirigente di Assiterminal cita a titolo di esempio due disposizioni normative che hanno interessato il settore: la norma sulla riduzione dei canoni, che non è mai stata applicata in modo uniforme (« Sono dovuti passare mesi prima che queste misura fosse realmente percepita dalle aziende») e la misura che ha previsto lo stanziamento in bilancio di un fondo da 20 milioni di euro destinato ai terminal passeggeri: «Bruxelles ha dato l’ok un mese fa ma non c’è alcuna traccia del decreto attuativo. Il risultato è che metà giugno le aziende non hanno ancora ricevuto i ristori previsti».

Anche sul Modello Genova ci sarebbero poi delle considerazioni da fare: «La Macii e Ivano Russo (in una intervista pubblicata su queste colonne ndr) hanno ragione quando affermano che tale modello, tanto osannato, non è in fondo stato mai veramente compreso. Lo strumento ha funzionato per un semplice motivo: le disposizioni, pur derogando ad esempio al Codice degli Appalti, erano inserite nel perimetro normativo europeo. Non abbiamo messo in piedi un regime speciale ad hoc ma abbiamo semplicemente deciso di applicare norme cogenti e vigenti a livello comunitario e con una governance che ha fatto sistema».

Il DG di Assiterminal è chiaro: «Oggi sembra che non si possa fare a meno dei Commissari speciali per le opere. Pare sia diventato di moda agire in deroga alle norme attuali. Difficile pensare che in questo modo il Paese possa dotarsi di quelle riforme strutturali di cui il Paese avrebbe veramente bisogno».

Il rischio è che lo stesso Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rimanga schiacciato dalle sovrastrutture e inefficienze che la Pubblica Amministrazione ha creato: «Ad oggi ci siamo soltanto limitati a inventare norme, deroghe e funzioni speciali per creare un momento di incontro tra le risorse che potremmo ricevere e le riforme che ci vengono richieste per giustificare quelle risorse. Ma il Sistema arterioso della PA non ha fatto alcun vero passo in avanti per evolversi. La dimensione emergenziale difficilmente si accosta alla capacità di visione».

Eccolo il Paese dei tanti riformismi e delle fughe all’indietro: «Nel suo intervento, Roberta Macii mette in evidenza come in questi anni ad una infrastrutturazione imponente in ambito portuale non abbia fatto riscontro un adeguato livello di sviluppo e di ritorno economico. È vero: se guardiamo ai volumi movimentati da nostri porti noteremo che dal 2008 ad oggi non abbiamo registrato un solo container in più. C’è inoltre il tema correlato di spesa buona o cattiva, come richiama spesso il Prof. Maresca: sarebbe bene usare risorse pubbliche solo insieme all’impresa che assume un preciso impegno di utilizzo e di traffico… e questo si potrebbe tradurre nell’anelato Regolamento sulle concessioni portuali».

La verità è che «la competitività di un Sistema non si regge unicamente sulla estensione degli spazi a banchina di cui un porto dispone ma sulle connessioni tra mare e terra e sulla capacità di un Paese di sviluppare una reale politica industriale che riesca a produrre marginalità degne di nota. Non saranno certo le superfetazioni legislative a produrre il cambiamento ma la capacità del Sistema di sviluppare reali analisi di costi/beneficio sulla reale ricaduta economica ed occupazione di un’opera. Forse è arrivato il momento di prenderne coscienza».

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