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Focus

Prove di de-risking

La grande fuga dalla Cina

di Redazione

Tra le tante lezioni che i professionisti della logistica hanno imparato dalla crisi pandemica c’è n’è una che difficilmente potranno dimenticare: in un settore in cui le global supply chain sono sempre più spesso soggette a brusche interruzioni causate da shock inaspettati, la diversificazione delle catene di fornitura è ormai diventata un fattore decisivo per assicurarsi la sopravvivenza in un mercato altamente competitivo.

Il recente sondaggio condotto dalla società di ricerca logistica Transport Intelligence per conto di Agility fotografa questa nuova tendenza mondiale che riconosce nel reshoring e nearshoring una risposta valida alle attuali vulnerabilità delle catene di approvigionamento.

Su un campione di 830 professionisti della logistica, quasi due terzi, il 63% del totale, hanno dichiarato di voler riportare la produzione ai mercati nazionali o di volerla avvicinare ad essa.

Un particolare degno di nota è che il 37,4% dei soggetti campionati ha affermato di aver spostato le catene di fornitura lontano dalla Cina, paese verso il quale sono diminuite le aspettative di business.

“Spedizionieri e vettori stanno lottando per ridurre al minimo i rischi organizzativi cui sono esposte le catene di approvvigionamento” afferma il vice presidente di Agility, Tarek Sultan. “I rischi di inflazione e recessione si sono attenuati  ma il settore convive ancora con le scosse di assestamento della crisi pandemica. Allo stesso tempo, le imprese sono preoccupate per la situazione geopolitica, in particolare per le difficili relazioni commerciali tra Cina, Stati Uniti ed Europa e per la serie di sanzioni contro un numero crescente di paesi” sottolinea.

Il sondaggio evidenzia come l’importanza del ruolo della Cina nelle strategie di investimento delle imprese sia destinato a diminuire nel corso dei prossimi anni. La guerra commerciale con gli USA, la rigorosa politica anti-Covid e le crescenti barriere di accesso al mercato rappresentano alcuni dei motivi che stanno alla base dell’aumentata diffidenza verso Pechino.

Negli ultimi risultati di bilancio relativi al 2023 è stata Maersk a sottolineare come gli sforzi europei e statunitensi di ridurre la dipendenza dalle importazioni cinesi stiano alternando le dinamiche commerciali nel mercato del trasporto marittimo di container e di quello aereo. Sino al 2019 – sottolinea il vettore danese – il Nord America faceva storicamente affidamento sulla Cina per circa la metà delle importazioni totali di container. Nel 2023 la quota complessiva dell’import cinese in Nord America è scesa al 42%. Allo stesso tempo, c’è stato un notevole aumento delle importazioni dal Sud Est asiatico, che hanno in questo modo compensato il calo dell’import cinese.

Secondo lo studio di Transport Intelligence, le previsioni sul rallentamento della crescita economica nazionale, fino ad oggi sostenuta dai consumi interni ed indebolitasi progressivamente a causa dalle incertezze legate a una crisi immobiliare senza precedenti, starebbero favorendo le nuove strategie di diversificazione produttiva e distributiva da parte delle aziende.

A tutto vantaggio di altri Paesi, come l’India, cui i media internazionali attribuiscono il ruolo di motore emergente del Pianeta. La percentuale di intervistati che considera il Paese molto importante per le proprie strategie di diversificazione si attesta attorno al 19,5% ma nei prossimi anni potrebbe addirittura aumentare sino a raggiungere il 30,1% de totale.

“La deviazione dei flussi di investimento rappresenta un’enorme opportunità per Nuova Delhi, poiché le imprese cercano destinazioni alternative a quella cinese per le proprie attività di produzione e di approvvigionamento” si legge nel report. “Un altro fattore che aumenta l’attrattiva dell’India è rappresentato dalle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina”.

Lo studio evidenzia inoltre il crescente interesse del mondo della logistica per l’Africa. Quasi la metà degli intervistati ha dichiarato che voler pianificare nel 2024 ulteriori investimenti nei paesi africani e un ulteriore 14,2% ha dichiarato di volerli pianificare per la prima volta.

Il Continente Africano si trova al centro di un importante flusso di investimenti e sta beneficiando dei processi di riorganizzazione logistica promossi da molte imprese nell’ottica di una maggiore autonomia strategica da Pechino.

Lo studio cita a titolo d’esempio l’intenzione del Regno Unito di investire due miliardi di dollari in progetti di sostenibilità ambientale mentre gli USA si sono impegnati ad avviare un progetto di 200 miliardi di dollari per lo sviluppo delle infrastrutture nel Continente Nero. Anche la Corea del Sud si è detta pronta ad investire sei miliardi di dollari in Africa con l’obiettivo di ridurre la propria dipendenza dalla Cina per i minerali. Non è un caso che nei primi sette mesi del 2023 le importazioni africane di merce containerizzata siano crescite del 10,1% rispetto allo stesso periodo del 2019 e del 6,7% rispetto al massimo storico del 2022.

L’indagine e l’indice annuale di Agility fotografano bene quale sia il sentiment del settore. L’indice classifica i 50 principali mercati emergenti del Mondo in base alla competitività complessiva, ai loro punti di forza logistici, al clima economico e alla prontezza digitale, fattori che li rendono attraenti per fornitori di logistica, spedizionieri, vettori aerei e marittimi, distributori e investitori.

Nel loro complesso Cina e India si trovano ancora ai vertici della classifica generale anche se Pechino ha perso posizioni alla voce “Business Fundamentals”, dove risulta essere in settima posizione. Completano la top ten, Emirati Arabi Uniti, Malesia, Indonesia, Arabia Saudita, Qatar, Vietnam, Messico e Thailandia.

Tre dei quattro paesi che offrono le migliori condizioni commerciali nei mercati emergenti sono situati nel Golfo Arabico: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar . La Malesia e la Giordania sono entrambe salite nella classifica dei fondamentali aziendali.

Al di fuori della top 10, molte delle oscillazioni maggiori nelle classifiche annuali riguardano paesi in conflitto, che si trovano ad affrontare sanzioni economiche internazionali o che soffrono di instabilità economica cronica. Tra questi lo studio cita l’Ucraina, la Russia, l’Iran, l’Etiopia, l’Argentina, il Libano e la Tunisia.

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