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Interviste

Colloquio con Eamonn O'Reilly

Le Autorità Portuali stiano al passo coi tempi

di Marco Casale

Il mondo si muove velocemente e le Autorità Portuali non possono più essere soltanto delle buone governanti di casa. Il presidente di Espo, Eamonn O’Reilly, lo dice senza girarci troppo su.

«I giorni in cui la Port Authority svolgeva semplicemente il ruolo di sovrintendente sono finiti. I porti devono impegnarsi assieme alle imprese e agli operatori portuali per affrontare i cambiamenti che ci attendono».

Risposte in tempi rapidi. È quello che le grandi compagnie di navigazione si aspettano da un ente portuale.

O’Really lo sa bene: da anni guida la Dublin Port Company, la compagnia di Stato nata nel 1997 dalle ceneri della Old Dublin Port & Docks Board che a Dublino gestisce un’area grande quanto la metà del Phoenix Park, il più grande parco di Irlanda e d’Europa, con i suoi 700 ettari.

Il numero uno dell’European Sea Ports Organisation prende in mano un report pubblicato da Espo nel 2016 secondo cui la maggioranza delle autorità portuali, indipendentemente dalla loro forma giuridica, segue oggi il normale diritto commerciale.

La creazione di un unico mercato globale ha inevitabilmente portato con sè nuove sfide, mettendo in discussione modelli di business che fino a poco tempo i vari porti impostavano su base nazionale.

Si tratta di un fatto incontrovertibile, che dimostra come il porto sia oggi esso stesso un mercato globale, e se l’’Autorità Portuale vuole sopravvivere alle sfide del futuro deve poter operare in questo ambito come un ente business-oriented.

Lo scontro tra l’Ue e l’Italia sul tema degli aiuti di stato nasce proprio da questo assunto di fondo. L’Unione Europea ha invitato il nostro Paese a modificare la sua normativa in modo da garantire che i porti corrispondano i tributi previsti per le entità commerciali, ma O’Reilly non considera la questione della tassazione dei porti, sia in Italia che in altri Stati membri, come uno scontro di culture tra diversi modelli di governance portuale.

Per l’Ad della Dublin Port Company si tratta di un problema che non esiste, così come non esiste un vero gap a livello europeo tra i porti del nord Europa e quelli dell’area Med: «L’unica vera differenza è data dall’insistenza a Nord di enormi complessi portuali industriali dotati di eccellenti collegamenti con le vie navigabili interne».

O’Reilly è un europeista convinto, lo si evince anche dalla risposta che dà quando il cronista gli chiede della Brexit: «Il porto di Dublino sta investendo 30 milioni di euro per realizzare  posti di ispezione frontaliera sul confine irlandese. Si tratta di una spesa essenziale, ma del tutto dispendiosa. Dobbiamo di fatto destinare circa otto ettari di terreno (pari al 3% dell’intera area portuale) ad attività senza valore aggiunto».

Un’altra questione che i porti non possono permettersi di trascurare è la decarbonizzazione: «Se le emissioni annue di gas serra dell’UE ammontano a 4,5 miliardi di tonnellate, quelle del trasporto marittimo internazionale sono pari a 0,8 miliardi di tonnellate. Ridurle a zero avrebbe un impatto equivalente a quello che risulterebbe dalla decarbonizzazione dello Stato membro più grande dell’UE».

Nel prossimo futuro l’efficienza di un porto verrà misurata anche su questo tema: «Sono finiti i tempi in cui il successo di uno scalo portuale veniva parametrato soltanto in base alla sua capacità di generare traffico».

Il tema della decarbonizzazione si intreccia chiaramente ad altri argomenti che saranno affrontati in modo approfondito durante la prossima Conferenza di Espo, che si terrà a Livorno il 23 e 24 maggio: l’automatizzazione dei processi lavorativi è sicuramente uno di questi: «É indubbio che l’automation abbia potenziali benefici per gli stakeholder: efficienta l’uso dei beni portuali, riduce i costi unitari per gli spedizionieri e offre maggiore sicurezza anche grazie al fatto che a svolgere i lavori potenzialmente pericolosi sono ora le macchine».

É il progresso, bellezza. E non può essere fermato, anche se è chiaro che in sede di confronto sindacale occorrerà valutare eventuali misure di compensazione da mettere in campo per evitare licenziamenti collettivi o forme di dequalificazione del lavoratore medio.

Ciò premesso, è indubbio che l’automazione «non è una cattiva notizia per l’occupazione in quanto comporterà la necessità di personale altamente qualificato per lavori specializzati che, in alcuni casi, oggi ancora non esistono. La natura del lavoro in banchina è cambiata enormemente a causa della containerizzazione e cambierà nuovamente a causa dell’automazione».

Infine, un ultimo pensiero va alle Reti TEN-T, che rappresentano la spina dorsale del nostro continente: per O’Reilly dobbiamo continuare a rafforzare i corridoi multimodali.

«E’ l’unica arma a nostra disposizione per permettere ai porti di rimanere competitivi, anche nei confronti di quelle realtà limitrofe dei paesi della sponda sud del Meditteraneo che oggi viaggiano su livelli di produttività molto elevati».

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