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Focus/Osservatorio Ambiente

L'impatto ambientale della grande distribuzione

L’inquinamento che arriva dal mare

di Redazione

Nel 2021 18 tra le principali multinazionali specializzate nella rivendita al dettaglio di mobili, prodotti fashion e tecnologici, hanno importato negli USA un quantitativo di merci pari a 4,2 milioni di TEU, contribuendo indirettamente ad emettere attraverso le spedizioni via mare 3,5 milioni di tonnellate metriche di diossido di carbonio. Insieme hanno inquinato quanto 440.000 abitazioni statunitensi.

A certificarlo uno studio prodotto da Ship It Zero, coalizione di cui fa parte un ventaglio di organizzazioni ambientaliste (Pacific EnvironmentSTAND.earthSort Your Ship Out), impegnate a combattere l’inquinamento dell’aria e del mare prodotto dalle spedizioni oceaniche.

Lo studio ambientalista mette nell’occhio del mirino colossi come Walmart. La multinazionale proprietaria della catena di negozi più famosa del mondo ha importato nel 2021 850 mila TEU, diventando indirettamente responsabile dell’emissione di 788 mila tonnellate metriche di CO2. Il colosso USA è primo in classifica anche nell’inquinamento prodotto con le emissioni di metano. Nel 2021 ne ha emesse 15 tonnellate metriche a causa delle sue importazioni.

Walmart è il principale responsabile dell’inquinamento dell’area portuale di Houston, dove ha importato merce per un totale equivalente di 208 metric tons di diossido di carbonio.

In questa speciale classifica occupano la seconda e terza posizione la catena di grandi magazzini americani, Target, e Home Depot, multinazionale al dettaglio statunitense specializzata nella vendita di strumenti, prodotti di costruzione, elettrodomestici e servizi. La prima ha importato nel 2021 quasi 649 mila TEU, contribuendo indirettamente a produrre 543 mila tonnellate metriche di Co2. Si tratta del più importante inquinatore da Co2 dell’area costiera occidentale statunitense.

La seconda ha fatto sbarcare nei porti USA, in particolare a Newark e New Jersey, merce per un totale di 495 mila TEU, producendo indirettamente a causa delle spedizioni oceaniche 419 mila tonnellate metriche di Co2.

Target, Walmart e Home Depot hanno complessivamente importato attraverso i porti USA quasi 2 milioni di container da venti piedi, poco meno del 50% dei TEU importati nel 2021 dalle 18 imprese analizzate dalle studio. Insieme sono responsabili dell’emissione di oltre il 62% di CO2 generata dalle multinazionali di questo studio attraverso le spedizioni oceaniche.

Quarta posizione per LG. Nel 2021, il colosso della tecnologia ha importato 345 mila TEU, producendo indirettamente durante il trasporto marittimo 240 mila metric tons di Co2. LG e Samsung sono considerati tra le imprese high tech più inquinanti di questa speciale classifica: nel 2021 sono state responsabili della produzione di oltre 500 mila tonnellate metriche di Diossido di Carbonio.

Nike è invece il principale inquinatore tra le imprese specializzate nel settore fashion. Nel 2021 è stata indirettamente responsabile dell’emissione di 87 mila tonnellate metriche di Co2. Il principale hub di riferimento di Nike è Los Angeles, dove ha indirettamente generato 48 mila metric tons di diossido di carbonio.

Tra i porti più inquinati figurano Los Angeles e Long Beach. Complessivamente, nei due porti è stato sbarcato il 40% dei container complessivamente importati in territorio americano dalle 18 imprese prese in esame da Ship IT Zero. Se ne ricava che nei due porti si concentra il 35% delle emissioni di Co2 complessivamente monitorate dallo studio.

“L’industria dello shipping non conosce crisi: nel 2021 le grandi compagnie marittime hanno guadagnato più di quanto non abbiano complessivamente fatto Facebook, Alphabet, Amazon, Apple e Amazon” affermano gli studiosi.

Oggi, nonostante la situazione congiunturale sia meno favorevole rispetto al periodo del super-ciclo economico iniziato durante la crisi pandemica, “ci sono più navi in ordine di quante non se ne fossero negli anni 90” fanno osservare ancora i promotori del report.

Per gli studiosi si tratta di un’opportunità d’oro per fare il salto di qualità lungo il percorso della transizione ecologica: “Molti porti, tra cui quello di Long Beach, in California, stanno investendo nel miglioramento dell’offerta infrastrutturale, allo scopo di ospitare portacontainer sempre più grandi. Fortunatamente, oggi siamo tecnologicamente in grado di alimentare le navi con combustibili diversi da quelli di natura fossile”.

Ship It Zero chiede alle 18 multinazionali di porre fine alla piaga dell’inquinamento portuale: “L’unico modo che hanno per farlo è quello di non scegliere compagnie che utilizzino ancora navi di vecchia generazione, alimentate con combustibili inquinanti” afferma la green coalition.

“Ci auguriamo che questo rapporto costringa le multinazionali della moda, dell’high tech, del mobile, a salire sul ponte della transizione ecologica. Il traguardo è e deve essere uno solo: arrivare ad un trasporto marittimo green entro il 2030”.

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