Interventi

Perché percorrere la Via della Seta

Non saremo il nuovo boccone della Cina

di Danilo Toninelli

Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti

Gentile Direttore,

ho letto con grande attenzione l’articolo “L’Italia sfugga agli artigli del Dragone” a firma di Giulio Terzi di Sant’Agata. Pur rispettando la legittima posizione dell’autore, non ne condivido lo scenario a tinte fosche che viene tratteggiato con riguardo agli effetti della sottoscrizione del Memorandum of Understanding (MoU) e nemmeno la conclusione che l’Italia possa diventare presto “il prossimo boccone” della Cina.

Per gli aspetti che più direttamente riguardano il mio Ministero, vorrei sviluppare alcune considerazioni sul tema della “Via della Seta”, partendo dai numeri delle relazioni tra Italia e Cina e da alcuni dati di carattere generale.

Le statistiche più recenti ci dicono che il trasporto via mare continua ad essere la principale modalità di movimentazione delle merci nel mondo: l’80% del commercio internazionale viaggia su nave per volumi che sono stati stimati nel 2018 di 11 miliardi di tonnellate di merci. La Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha stimato un tasso di crescita annuale del 3,8% fino al 2023, con il traffico containerizzato che toccherà punte del +6%.

Il raddoppio del Canale di Suez ha determinato un aumento della tipologia e dei volumi di traffico marittimo arrivato nel Mediterraneo: per citare un dato su tutti, il traffico delle mega containership da 13 a 20mila Teus è aumentato del 56% in 3 anni. Stiamo parlando di un mare, il Mediterraneo, dove transita il 20% del traffico marittimo commerciale mondiale e il 25% dei servizi di linea container e dove negli ultimi 20 anni le merci movimentate hanno registrato un aumento del 500%. Gli scambi di merce in transito da Suez crescono al ritmo di oltre il 9% all’anno, avvantaggiandosi anche del rallentamento della rotta del Pacifico dovuto alla guerra commerciale tra USA e Cina.

Per la Cina il Mediterraneo è il crocevia tra i mercati europei e il Nord Africa, con l’opportunità di raggiungere la costa est degli Stati Uniti. Ad oggi il 60% del commercio cinese avviene via mare. Il Paese è dunque leader mondiale del trasporto su nave, con una quota del 35% sul traffico container.

L’enorme massa di merci proveniente dall’est asiatico ha determinato imponenti investimenti nei porti del nord Europa, in particolare in Germania (Brema e Amburgo), Belgio (Anversa) e Olanda (Rotterdam e Zeebrugge) mentre anche i porti del Nord Africa crescono con percentuali a due cifre. La concorrenza della sponda sud del Mediterraneo si andrà anche intensificando visto che l’Algeria ha stanziato 3,3 miliardi di dollari per costruire un terminal container da oltre sei milioni di Teus a El Hamdania, a un’ottantina di chilometri da Algeri.

In questo quadro di sviluppo – che vede l’Italia geograficamente avvantaggiata sia rispetto ai porti del Nord Europa sia rispetto ai porti del Nord Africa, perché protesa nel Mediterraneo come una lunga banchina – si inserisce la volontà del Governo di migliorare i nostri rapporti con la seconda economia mondiale. Altri grandi Paesi europei, in particolare Germania, Regno Unito e Francia hanno già finalizzato intensi rapporti di collaborazione con la Cina e ricevono investimenti diretti cinesi assai superiori all’Italia.

Ho parlato di “miglioramento dei nostri rapporti” perché c’è un dato incontrovertibile: non scopriamo oggi la “Via della Seta”. La rete di interconnessioni sulla direttrice Italia-Cina già esiste, è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni e oggi ha numeri ben consolidati.

Per quello che riguarda l’Italia, infatti, le esportazioni cinesi verso il nostro Paese sono aumentate nel 2018 da 28,4 a 30,8 miliardi di euro e la Cina rappresenta il principale Paese fornitore dell’Italia con una quota del 17% di tutto l’import via mare italiano. Per quanto riguarda le esportazioni italiane verso la Cina, si sono attestate nel 2018 a 13,2 miliardi di euro. Gli scambi commerciali Italia-Cina hanno visto un aumento di ben il 65% dal 2009.

Ci sono oltre 600 aziende italiane a capitale cinese le quali generano quasi 18 miliardi di euro di fatturato e impiegano più di 30 mila dipendenti, ma sono oltre 2mila le aziende cinesi a capitale italiano che forniscono lavoro a quasi 160mila dipendenti in Cina e originano oltre 25 miliardi di euro di ricavi. Si tratta di aziende italiane che non sono in Cina solo per delocalizzare la produzione ma che vedono nel mercato cinese un’opportunità di crescita dei propri ricavi.

Se focalizziamo la nostra attenzione sui nostri porti, l’Italia ha puntato sulla qualità delle sue infrastrutture e la vicinanza con i mercati dell’Europa centrale e orientale, sfruttando le opportunità dei sistemi portuali e ferrati già esistenti e operativi, come il sistema dell’alto Tirreno con Genova e il sistema dell’Alto Adriatico con Venezia e Trieste.

Il 35% dell’interscambio commerciale dei porti di Genova e Savona è con la Cina, percentuale destinata a crescere con la prossima entrata in esercizio del Terminal di Vado Ligure. Tre dei primi dieci porti mondiali che hanno scambi commerciali con il porto di Genova sono cinesi e su un totale di oltre 2 milioni di container movimentati nel 2018 a Genova, 412 mila riguardano il mercato cinese. Grandissima attenzione desta, poi, “l’ascella nord-est” dell’Italia con il porto di Trieste che ha 600 milioni di investimenti in corso e che nel 2018 ha avviato 10.000 treni verso i fiorenti mercati del Centro Europa, con una previsione di crescita del 10% nel 2019.

Ma se Trieste e Genova, per la loro particolare posizione geografica, sono considerati i principali porti per l’arrivo delle merci provenienti dal Far East, anche altri scali italiani possono giocare un ruolo fondamentale grazie allo sviluppo delle reti Ten-T e agli imponenti investimenti di RFI sull’ultimo miglio ferroviario per migliorare le connessioni della rete nazionale con i nostri porti.

La Cina non ha ignorato queste potenzialità e il ruolo strategico che la posizione geografica dell’Italia garantisce ai suoi porti, quali piattaforma di distribuzione dei beni provenienti dall’Asia e di raccolta delle merci europee da distribuire sul mercato globale. Ma questa attenzione per le nostre banchine non può tradursi nella conclusione, azzardata e un po’ semplicistica, che l’Italia si appresta a cedere il controllo di asset infrastrutturali strategici o che i nostri porti sono “in vendita” alla Cina, come accaduto per il Pireo durante la recente gravissima crisi finanziaria della Grecia: in quel caso la compagnia di Stato cinese COSCO ha acquisito il 67% dell’Autorità Portuale del Pireo. Non è il caso delle nostre Autorità di Sistema Portuale, che sono enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale, chiamati a gestire le aree demaniali marittime portuali inserite nella loro circoscrizione territoriale e che operano sotto la vigilanza del Ministero.

C’è semplicemente un potenziale di investimenti, un fermento commerciale, una vivacità sui mercati e nel Mediterraneo che l’Italia deve saper gestire e far crescere e non subire. Per questa ragione il Governo italiano, sottoscrivendo il Memorandum del 23 marzo scorso, ha voluto riaffermare che i porti italiani fungono da terminale privilegiato della Via della Seta marittima, in un rapporto con la controparte che ci vede trattare da “sistema Paese” a “sistema Paese”.

La sfida, infatti, è quella di non essere considerati da Pechino solo “mercato” ma anche “partner”, attraverso una forte coesione territoriale infrastrutturale e logistica. E attraverso l’innovazione. In questo senso, nel Memorandum c’è l’impegno a promuovere lo sviluppo di progetti bilaterali di collaborazione, a sviluppare l’interoperabilità delle infrastrutture (porti e telecomunicazioni), a facilitare investimenti e commerci reciproci, a pervenire a un coordinamento delle politiche fiscali, ad esplorare la possibilità di collaborazione nella formazione di risorse umane.

Nel solco di una partnership commerciale con la Cina già ben strutturata, la sottoscrizione del Memorandum non ha fatto che facilitare ulteriori possibilità di collaborazione con la parola d’ordine della “reciprocità” e del “mutuo vantaggio”: una forte convergenza di interessi, come ricordato anche dal Presidente Conte e dal Presidente Xi Jinping, destinata a rafforzare il commercio e gli investimenti tra due Paesi che si considerano a vicenda partner importanti.

Torna su