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Focus/Osservatorio Ambiente

Gli effetti della direttiva sul sistema di scambio delle quote di emissioni

Porti europei di transhipment a rischio tracollo

di Redazione Port News

Nel settore dello shipping tiene sempre più banco il tema dei possibili effetti sui porti nazionali della modifica del sistema europeo di scambio di quote di emissioni nel trasporto (Emission trading scheme), istituito dalla Direttiva 2003/87/CE, e adottato dall’Unione europea per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

Dal suo lancio nel 2003, il sistema europeo dell’ETS, inizialmente concepito per i settori industriali inquinanti, ha visto estendere il proprio campo di applicazione dapprima al trasporto aereo e, recentemente, anche al trasporto marittimo (per effetto della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio (UE) 2023/959 del 10 maggio 2023, che gli Stati membri UE sono tenuti a recepire entro fine anno).

In base al sistema ETS, dal 2024 le compagnie di navigazione dovranno, progressivamente, acquistare e trasferire permessi (“EUAs”) per ogni tonnellata di emissioni CO2eq rilasciata nell’atmosfera durante un anno solare. E a partire dal 2027, dovranno, in pratica, pagare, indipendentemente dalla nazionalità o bandiera della nave, per il 100% delle emissioni GHG generate nelle tratte intra-EU e per il 50% delle emissioni GHG nelle tratte internazionali da o verso uno scalo europeo.

Come più volte sottolineato da Assarmatori, da due anni impegnata nella battaglia per la revisione della normativa comunitaria, il costo derivante dall’applicazione dell’ETS per il settore marittimo-portuale sarà notevole soprattutto a causa dell’elevato prezzo di 1 EUA (Emission Unit Allowance) che oggi è di circa 93 euro/tonnellata.

Per ogni tonnellata di bunker (carburante navale) usato, vengono rilasciate nell’atmosfera poco più di 3 tonnellate di CO2, il che equivale a quasi 300 euro di extra costo (per un incremento stimato nell’ordine del 20% del costo di trasporto).

I numeri forniti da un report pubblicato ad Aprile dal Gruppo Giovani Armatori di Confitarma in collaborazione con Brs Shipbrokers Group, indicano che a livello globale l’intero comparto dovrà sborsare quasi 7 miliardi di euro all’anno se durante il 2024 il carbonio dovesse continuare a oscillare intorno ai 90 euro/tonnellata. Per il mercato marittimo italiano, il costo complessivo potrebbe passare da circa 250 milioni di euro all’anno nel 2024 fino a 800 milioni dal 2026 in poi, raggiungendo probabilmente il miliardo alla fine del 2029.

Uno studio recentemente prodotto dall’AdSP di Gioia Tauro ha poi dimostrato le pesanti implicazioni per il settore marittimo-portuale nazionale ed europeo in relazione al progressivo processo di delocalizzazione presso i porti del Nord Africa delle attività di trasbordo di contenitori precedentemente svolte negli scali europei.

Nel tentativo di scongiurare tali rischi, la Direttiva ha introdotto la “regola delle 300 miglia”, che esclude dalla definizione di “porto di scalo”, rilevante per la determinazione della tratta ai fini del calcolo ETS, sia i porti in cui la quota di trasbordo di container superi il 65% del traffico totale di container del porto, sia i porti che si trovino al di fuori dell’UE, ma a meno di 300 miglia nautiche da un porto europeo.

Diverse simulazioni sui costi comparati tra le tratte che scalano porti Nord africani “esclusi” dalla nozione di scalo e quelle che scalano i porti di transhipment europei del Mediterraneo hanno tuttavia messo in evidenza l’inadeguatezza di questo strumento sia nel caso in cui la destinazione finale sia un porto europeo sia nei casi in cui la destinazione finale si trovi al di fuori della UE.

Una nave portacontainer che viaggi da Singapore (porto extra-UE) a Gioia Tauro (porto UE) e poi vada ad Anversa (porto UE) dovrà pagare ad esempio per il 50% delle emissioni da Singapore a Gioia Tauro (tratta extra-UE/scalo UE) e il 100% delle emissioni generate nella successiva tratta intra-UE da Gioia Tauro ad Anversa.

Ma se la stessa nave facesse scalo in un porto extra-UE situato entro le 300 miglia nautiche dalla UE, e in quanto tale “escluso dalla definizione di “porto di scalo”, vedrebbe attribuirsi ai fini del calcolo ETS soltanto il 50% delle emissioni generate nella tratta complessiva da Singapore (porto extra-UE) ad Anversa (porto UE). Il risparmio è evidente: la compagnia di navigazione che decida di transitare dal porto nord africano spenderebbe 100 mila euro in meno rispetto a quella che invece punti a raggiungere Anversa facendo scalo a Gioia Tauro (351.000 euro circa contro 456.000 euro)

Lo svantaggio competitivo dei porti europei è ancora più accentuato nel caso delle rotte intercontinentali. Infatti, una nave in partenza da Mundra (porto extra-UE) con destinazione finale a New York (porto extra-UE) che scegliesse di fare scalo a Port Said (porto extra-UE), per l’intero viaggio vedrebbe attribuirsi zero emissioni (in quanto rotta extra-UE/extra-UE con scalo intermedio extra-UE) mentre ai fini dell’ETS dovrebbe pagare per il 50% delle emissioni dell’intero viaggio se lo scalo fosse effettuato a Gioia Tauro (in quanto rotta extra-UE/UE/extraUE).

Le pesanti implicazioni connesse all’inclusione del trasporto marittimo nel sistema ETS risultano quindi particolarmente significative per i terminal europei di trasbordo di container. Più della metà traffico di transhipment nei porti europei (da Marsaxlokka Gioia Tauro, Valencia e Sines) non ha origine né destino in Europa. Questo vuol dire che i porti comunitari sono sicuramente più esposti rispetto a quelli del Nord Africa, dove da tempo sono operativi terminal i cui bassi costi di manodopera, ambientali, energetici rappresentano i principali motivi alla base della perdita delle quote di mercato della portualità italiana.

I tempi per provare correggere la normativa sono stretti: il prossimo 18 Settembre scade il termine per la presentazione delle osservazioni alla norma. In vista della consultazione avviata dalla Commissione, il sottosegretario ai Trasporti, Tullio Ferrante ha spiegato che il MIT ha avviato una interlocuzione con tutte le Autorità di sistema portuale per verificare se vi siano altri porti che rientrano nella stessa situazione di Gioia Tauro. Ferrante ha anche suggerito una possibile soluzione, come quella di estendere ai porti di transhipment europei il regime applicato ai porti del Nord Africa.

La strada da percorrere è comunque ancora lunga. La Commissione è un organo amministrativo e si prenderà tutto il tempo necessario per sviluppare le proprie analisi e proporre misure mitigatorie nel caso in cui ravvisi che la normativa non garantisca un adeguato level playing field. Purtroppo, il tempo non aspetta nessuno e le compagnie di navigazione dovrebbero essere già oggi in grado di valutare quali strategie promuovere di qui ai prossimi anni.

A detta degli esperti, quello dell’ETS è un tema delicatissimo su cui si gioca il futuro di un pezzo del nostro Paese. L’obiettivo è quello di giungere ad una revisione tempestiva della Direttiva prima che i processi di trasferimento delle linee marittime diventino potenzialmente irreversibili.

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