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Interventi

Conferenza dei presidenti, buona la prima

Porti italiani, cantiere sbloccato

di Marco Casale

Chi ha partecipato alla Conferenza dei presidenti delle Autorità di Sistema Portuale, svoltasi a distanza di due anni dall’ultima riunione, non ha esitato a definire il tanto atteso confronto sulla portualità italiana come un buon punto di partenza per dare concreta attuazione alla riforma Delrio, troppe volte bistrattata ma secondo alcuni mai veramente applicata da quando è entrata in vigore.

Mentre l’Unione Europea minaccia di avviare una procedura di infrazione per aiuti di Stato alle AdSP, facendo così scricchiolare tutta l’impalcatura con la quale il legislatore ha sino ad oggi puntellato la natura pubblica delle Port Authority, il Ministro Paola De Micheli prende letteralmente per mano i presidenti dei 15 sistemi portuali e li chiama a definire assieme al MIT una visione comune.

«Era ora – ammette il numero uno dei porti di Trieste e Monfalcone, Zeno D’Agostino –, la vera sfida è proprio questa, definire una vision all’interno della quale possano incardinarsi gli obiettivi di sviluppo territoriale dei singoli sistemi portuali, che sono i soggetti migliori possibili cui far riferimento per il contemperamento tra le esigenze del pubblico e quelle del privato».

Già, i privati. Se nei mesi scorsi ad infiammare il dibattito era stata la Cina e le sue aspirazioni da grandeur celate dietro al grande progetto della Via della Seta, oggi a tenere banco è Singapore. Psa, uno dei più grandi operatori al mondo, ha acquisito a Genova il controllo di due terminal container, il Vte e il Sech, creando una nuova società che dovrà gestire le banchine di Pra’ e di Sampierdarena.

L’operazione ha preoccupato sin dall’inizio gli stakeholder e gli addetti ai lavori, assurgendo agli onori della cronaca nazionale grazie anche al Corriere della Sera, che in un articolo pubblicato il 20 ottobre scorso, ha scritto: «Colpiscono gli investimenti esteri del gruppo PSA in un’Italia alle prese con grandi problemi infrastrutturali».

Come giustamente sottolineato dal bravo cronista del Corsera, Fabio Savelli, ciò che più sorprende è che a Genova si stiano favorendo processi di concentrazione tra due imprese terminalistiche. Che per di più stanno trasferendo il monopolio sul traffico contenitori genovese a favore di un paese sovrano, Singapore, senza che ne sia stata data anticipata comunicazione alla Commissione Europea, come da Regolamento 452 del 2019.

Mentre sullo sfondo va profilandosi uno scontro tra due grandi player, PSA per l’appunto, e MSC, che con Diego Aponte ha espresso perplessità, lamentando come l’operazione apra le porte a un monopolio di fatto, il presidente dell’AdSP del Mar Ligure Occidentale, Paolo Emilio Signorini, intervistato da Francesco Ferrari e Simone Gallotti su il Secolo XIX, chiede aiuto a Roma: «L’intervento del Ministero è insostituibile», dice.

La domanda di fondo che emerge dal caso PSA-Genova, non è tanto se un terminalista possa comprarsi o meno un altro terminalista, ma se uno Stato possa o no comprarsi un porto attraverso una propria controllata. È vero o no che Singapore sta acquistando la base del corridoio Reno-Alpi, e a quali condizioni lo sta facendo?

La verità è che le Autorità Portuali vengono percepite come soggetti troppo deboli, non in grado di far fronte a quello che una volta, in un vecchio numero di Port News, il professore Vittorio Torbianelli ebbe a definire come il potere monopsonistico degli armatori.

«Le Port Authority  – questo il concetto espresso allora da Torbianelli – sia pure in un contesto evolutivo come quello italiano, fondato sulla concentrazione dell’offerta infrastrutturale e logistica nelle mani di 15 sistemi portuali, non hanno una posizione sufficientemente “unitaria”  per reagire allo strapotere dei global carrier».

Che fare? Ecco che si ritorna al punto di partenza: «È emblematico il fatto che a Genova si stiano scontrando due realtà che nel suo penultimo libro, Tecnocracy in America, il politologo indiano-americano Parag Khanna ha indicato come modelli ideali di tecnocrazia e di sviluppo di politica territoriale: la Svizzera da una parte e Singapore dall’altra rappresentano il futuro», dichiara D’Agostino, che aggiunge: «Dobbiamo creare un nostro modello di sviluppo nazionale. Soltanto così ci metteremo al riparo dalle ambizioni dei carrier».

La questione vera è se il Ministro avrà la forza e la capacità di operare a favore di un rafforzamento dei contropoteri da parte degli stessi scali portuali. Per il momento, l’unica certezza filtrata ieri a margine della Conferenza Nazionale delle AdSP, è l’intenzione da parte del dicastero di Piazzale di Porta Pia di avviare un confronto costruttivo con le istituzioni europee, abbandonando così, sul tema della tassazione dei porti, la linea dura su cui sembrava essersi impostata la volontà d’azione del precedente esecutivo.

Da Bruxelles continuano però a rimanere diffidenti. I motivi per esserlo sono molti, ancora di più i punti di criticità. La questione singaporena è soltanto uno di questi.

L’Italia, tanto per fare un esempio, è ancora oggi un paese che non riesce a far decollare il traffico ferroviario. Non è un caso che lo stesso PSA, al centro delle operazioni su Genova, stia usando la ferrovia italiana, e non quella elvetica, per rifornire Migros, una delle aziende più grandi della Svizzera e la seconda maggiore catena di grande distribuzione del Paese.

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