Interviste

Colloquio con Alfredo Scalisi

Porti italiani senza bussola

di Marco Casale

In fondo, il ragionamento di Alfredo Scalisi è semplice, figlio di una conoscenza basata su una lettura senza pregiudizi della realtà. È una situazione che descrive con una lucida metafora presa in prestito dal mondo animale: «Le Autorità Portuali? Un mega-pod di balene senza nessuno che le coordini».

Gli sono bastati quattro anni di esperienza nel settore, uno da general manager e tre da amministratore delegato del La Spezia Container Terminal (LSCT), per capire quello che non funziona nella portualità italiana.

Scalisi, ingegnere elettrico, una esperienza di lungo corso in Erg, per la quale ha realizzato impianti di produzione elettrica, prende a riferimento l’ultima intervista che l’avvocato Maurizio Maresca ha rilasciato a Port News per esprimere il suo punto di vista: «Il professore ha ragione quando chiede al Ministero delle Infrastrutture di esercitare le leve strategiche che la legge 84/94 gli ha attribuito. Io vado un po’ oltre e affermo che nel settore a mancare è proprio questo: una regia politica che consenta ai Sistemi portuali di svilupparsi in modo organizzato, sulla base di un Piano che sappia valorizzare le vocazioni di ciascuno scalo portuale».

Scalisi guarda al proprio Terminal. LSCT ha chiuso il 2021 con una movimentazione di oltre 1,2 milioni di TEU, il 3% in meno rispetto a quanto totalizzato nel 2019, l’ultimo anno considerato “normale”, prima dell’avvento dell’Era pandemica. «Abbiamo retto l’urto – dice – grazie a una flessibilità che non tutti hanno. Nonostante una yard occupancy ballerina e la scarsa puntualità dei liner nel rispetto delle schedule programmate, il confronto continuativo e costruttivo con i clienti ci ha consentito, nell’anno della crisi, di mantenere alti livelli alti di operatività».

L’azienda terminalista ha iniziato il 2022 con un trend di occupazione di piazzali e banchine che viaggia attorno all’80/85% ed oggi può a ben diritto alimentare ambizioni di sviluppo grazie a nuovi investimenti e a un business plan che dovrebbe portarle in dote 600 mila TEU in più entro il 2024, da 1,4 a 2 milioni di container da venti piedi.

Scalisi ricorda come il 23 luglio LSCT e l’AdSP del Mar Ligure Orientale abbiano firmato l’accordo procedimentale che impegna la locale Port Authority a realizzare le opere di dragaggio per portare i fondali di parte del canale di accesso a -15 metri mentre il Terminal si è impegnato ad anticipare la costruzione della banchina e del piazzale previsto in Zona Canaletto. La nuova opera di infrastrutturazione dovrebbe consentire al terminalista di aumentare anche lo share rail, ovvero la quota di container inviata via treno ai mercati di destinazione, che passerà dall’attuale 33 al 50%.

Il progetto è ormai avviato ma Scalisi non nasconde una certa preoccupazione: «L’opera è sicuramente molto impegnativa – dice -, non certo dal punto di vista tecnico ma da quello burocratico. In Italia tutti parlano di semplificazione ma nel nostro settore continua ad essere una chimera, qualcosa di intangibile. Non so se il Commissario della Darsena Europa stia incontrando le stesse difficoltà, noi sì».

Il numero uno del terminal spezzino non scende nei dettagli ma tiene a sottolineare come «l’ipertrofia burocratica stia mettendo a repentaglio la capacità di spesa non soltanto degli investitori privati ma anche degli enti pubblici».

E si ritorna a bomba al tema che più sta a cuore al manager, quello della regia politica: «Poniamo che sia molto bravo e che riesca a intercettare i traffici necessari a consentirmi di soddisfare la capacità aggiuntiva che LSCT dovrebbe acquisire nel 2024 grazie al potenziamento delle infrastrutture» ipotizza Scalisi.

«Se così fosse, il nostro Sistema acquisirebbe sicuramente un vantaggio in termini competitivi se quei 600 mila TEU in più andassero a sommarsi agli 11 milioni di container che i porti nazionali movimentano mediamente ogni anno. Ma se nonostante la capacità aggiuntiva messa in campo da LSCT, la portualità italiana non fosse in grado di aumentare le proprie movimentazioni, allora ci troveremmo di fronte a un serio problema: vorrebbe dire che i traffici in più conquistati da un porto sono stati acquisiti a danno di un altro scalo portuale».

È questo il punto focale del ragionamento: «Il Paese deve porsi il problema, chiedersi se lo sviluppo di un porto non vada a pregiudicare quello di un altro. Mancano linee guida precise. Purtroppo, la legge 84/94 continua ad essere una grande incompiuta. Siamo rimasti il Paese dei campanilismi, dove si esulta se un porto ha acquisito un servizio di linea a danno di un altro».

Per il nostro, non c’è alcun coordinamento a livello nazionale. «C’è proprio una difficoltà ad avere una visione unitaria su temi di interesse comune» aggiunge e prende ad esempio l’8° Forum sul Trasporto e la Logistica, dove – sottolinea – cinque presidenti di Port Authority hanno fornito risposte diverse l’una dall’altra alla domanda del giornalista se la trasformazione delle Autorità Portuali in Spa, o in enti pubblici economici, fosse la strada da seguire per evitare la procedura di infrazione dell’EU sul mancato assoggettamento all’IRES delle attività economiche delle AdSP. «Non ho potuto fare a meno di notarlo – dice – cosa stiamo facendo per risolvere la questione? C’è una linea comune da seguire? Il Governo dovrebbe fare il Maestro d’orchestra e intervenire con un’unica voce».

Così come dovrebbe intervenire anche su un’altra questione, quella dei processi di integrazione verticale che stanno interessando da tempo i nostri porti. «I principali global carrier del settore stanno di fatto diversificando le proprie attività con l’obiettivo di acquisire il controllo di tutti gli anelli della catena logistica e stanno mettendo a segno acquisizioni più o meno strategiche per arrivare a fornire servizi end-to-end».

Si tratta di un processo che, secondo il manager di LSCT, non va subito passivamente ma che va saputo governare: «Partiamo da una considerazione di carattere generale. Il nostro terminal è partecipato per il 40% da MSC. Avere il primo vettore al mondo all’interno della nostra compagine mi inorgoglisce e conferisce all’azienda terminalista un notevole vantaggio competitivo».

Ciò premesso, «il problema non è che gli armatori scendano nei porti a fare i terminalisti, il tema è come. Se fossi un politico, e non l’ad di un’azienda italiana, mi porrei la necessità di riequilibrare il Sistema. Occorrerebbe, insomma, anche in questo caso, un coordinamento efficace a livello nazionale».

Che ad oggi continua a mancare: «I nostri porti sono come grosse balene, impacciate nei movimenti, senza una guida e una rotta precisa da seguire».

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