Focus

Rapporto Sipotra 2019

Porti, l’interesse pubblico non è alienabile

di Francesco Munari

Ordinario di diritto dell’Unione Europea all’Università di Genova e componente del Consiglio direttivo di Sipotra

Sipotra presenta il suo rapporto aggiornato sul tema delle concessioni infrastrutturali nei trasporti – aeroportuali, autostradali, ferroviari e portuali – e delle relative subconcessioni. Pubblichiamo di seguito, ringraziando Sipotra per la gentile concessione, un contributo a firma dell’avvocato Francesco Munari, inserito all’interno del documento.

Il quadro regolamentare relativo alla realizzazione di opere infrastrutturali non si limita alla disciplina interna. Negli ultimi anni, il tema è stato infatti oggetto di crescente attenzione da parte della Commissione che, sulla base di un’acritica estensione al settore portuale di principi elaborati dalla Corte di giustizia con riguardo al settore aeroportuale, ha iniziato a scrutinare la compatibilità degli investimenti infrastrutturali realizzati nei porti – non solo – italiani con le regole unionali in materia di aiuti di Stato.

Sebbene non ancora validata dalla Corte di giustizia, la prassi applicativa della Commissione è molto ampia e si basa sull’assunto che le risorse assegnate dagli Stati membri agli enti portuali (e quindi, per quanto ci riguarda, alle AdSP) possano (e debbano) essere qualificate alla stregua di aiuti di Stato. I criteri seguiti dalla Commissione nella valutazione della sussistenza o meno di aiuti di Stato alle infrastrutture portuali appaiono innanzitutto poco attenti alle differenze presenti tra gli Stati membri nei modelli di gestione portuale.

Negli ordinamenti in cui il settore portuale è stato liberalizzato, la proprietà delle infrastrutture portuali è stata privatizzata e gli enti portuali svolgono altresì attività economica, è corretto (e doveroso) che il trasferimento di risorse pubbliche in favore di tali operatori economici sia soggetto all’applicazione dell’art. 107 Tfue32.

Per contro, con riferimento all’ordinamento italiano, tale impostazione si basa sul presupposto non condivisibile che le AdSP operino istituzionalmente come imprese. Si tratta in effetti di un approccio che disconosce le peculiarità della legislazione interna di settore in un settore non armonizzato a livello dell’Unione: in seguito agli adeguamenti apportati nel 2016, la l. n. 84/1994 ribadisce con ancora maggiore nitidezza che le AdSP non sono imprese ma piuttosto enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale […] dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regolamentare, di bilancio e finanziaria» (art. 6.5).

Nonostante la chiarezza della l. n. 84/1994 nel qualificare le AdSP quali enti non economici dotati di poteri autoritativi dello Stato, l’interpretazione seguita dalla Commissione ha iniziato a fare breccia anche a livello interno, portando la giurisprudenza ad affermare per la prima volta che le AdSP non solo sarebbero imprese ma che esse si troverebbero altresì in posizione dominante con riferimento all’attività di rilascio delle concessioni demaniali, esercitandola in regime di vero e proprio monopolio.

In tale prospettiva, l’approccio dalla Commissione è foriero di gravi inefficienze e limitazioni rispetto alle scelte di politica nazionale dei trasporti, soprattutto a proposito degli investimenti nei porti.
I trasferimenti di risorse dallo Stato alle AdSP per investimenti in infrastrutture portuali sono infatti stati attratti all’interno del campo applicativo del meccanismo di notifica preventiva alla Commissione di cui all’art. 108(3) Tfue, e al conseguente vaglio della stessa in termini di compatibilità con possibili «distorsioni della concorrenza».

Il potere di controllo sulla politica portuale degli Stati membri che la Commissione si è attribuita in virtù di tale ampia interpretazione dell’art. 107 Tfue è solo in parte limitato dall’inserimento nel c.d. GBER di una specifica disciplina per gli aiuti ai porti che dichiara di per sé compatibili con le regole in materia di aiuti di Stato i finanziamenti portuali relativi ai porti marittimi c.d. core inferiori a euro 150.000.000 (euro 130.000.000 per gli altri porti) 35, includendo in tale soglia di esenzione anche i progetti di dragaggio «definito come l’insieme delle operazioni di dragaggio effettuate in un anno civile»36 con conseguente esenzione dall’obbligo di notifica alla Commissione per approvazione.

La previsione di tale specifica esenzione risolve in modo pragmatico molte delle questioni sollevate dalla citata prassi della Commissione, rappresentando in un certo senso una sorta di contromisura degli Stati membri rispetto a tale problematico sviluppo nella politica degli aiuti di Stato. Resta tuttavia irrisolta la questione della legittimità e della trasparenza dei finanziamenti in essere nei porti del Nord Europa, che sono e operano come «imprese», e di quelli previsti nel nostro Paese a favore delle AdSP nei casi in cui oltrepassano la soglia di notifica sopra indicata.

Ai fini di una corretta applicazione delle norme sugli aiuti di Stato ai nostri porti, si deve infatti enfatizzare la natura pubblica del porto, e cioè dei beni e delle infrastrutture di cui esso si compone, in quanto appartenente al demanio pubblico statale.

È proprio l’appartenenza delle infrastrutture portuali ai beni demaniali di proprietà inalienabile dello Stato a dimostrare che un’analisi del settore più attenta rispetto a quella che caratterizza talune decisioni della Commissione dovrebbe portare alla conclusione che il finanziamento delle relative opere di costruzione, ristrutturazione o manutenzione non apporta alcun vantaggio selettivo alle competenti AdSP, trattandosi piuttosto di una spesa sostenuta dallo Stato nell’ambito delle sue competenze relative al sistema logistico nazionale su beni che gli appartengono in via esclusiva e permanente nell’interesse dell’utenza e della comunità portuale in generale.

Sotto questo profilo, le caratteristiche dell’azione delle AdSP volta a promuovere l’incremento dei traffici e ad allocare proficuamente le infrastrutture e sovrastrutture del porto nell’interesse della generalità della sua utenza ne confermano la qualificazione di attività non commerciale, rientrando piuttosto tale azione nei compiti istituzionali dell’ente, tra i quali sicuramente quello di mantenere le infrastrutture portuali in condizioni di sicurezza e di efficienza, adeguandole e riparandole, se obsolete.

Del resto, la prassi della Commissione appare altresì poco attenta nei confronti del principio di neutralità della proprietà pubblica e privata, di cui all’art. 345 Tfue nonché del principio generale di diritto dell’Unione delle parità di trattamento. Infatti, l’attrazione all’interno del campo di applicazione dell’art. 107 Tfue dei trasferimenti dallo Stato alle AdSP delle risorse necessarie per effettuare investimenti in infrastrutture portuali determina una disparità di trattamento fra i soggetti privati che, negli ordinamenti di quegli Stati membri che abbiano privatizzato il settore portuale, siano proprietari di infrastrutture portuali e gli Stati membri che, come l’Italia, abbiano invece legittimamente deciso di mantenere la proprietà delle infrastrutture portuali saldamente sotto la mano pubblica.

Dalla prassi della Commissione finora riscontrata emerge infatti che un privato potrebbe impegnare qualunque risorsa per il mantenimento dei propri beni, mentre la stessa opzione sarebbe preclusa agli Stati membri, dovendo ogni erogazione pubblica a favore di beni demaniali confrontarsi coi vincoli e i limiti di cui agli artt. 107 ss. Tfue, con il rischio di attrarre nell’ambito delle regole sugli aiuti di Stato l’intera politica economica e industriale degli Stati membri nel settore portuale, alterando le sfere di rispettiva competenza al riguardo dell’Unione europea e degli Stati membri.

In coerenza con quanto innanzi chiarito, il trasferimento di risorse dallo Stato alle AdSP ha in realtà caratteri tali per cui, quanto meno sino a quando non viene utilizzato per realizzare opere o impianti a favore di una specifica impresa portuale (circostanza esclusa quando l’investimento è effettuato su un bene demaniale affidato mediante la procedura di cui agli artt. 36 e ss. cod. nav.), dovrebbe essere considerato fattispecie del tutto estranea all’ambito di applicazione della disciplina in materia di aiuti di Stato. Tali norme dovrebbero per contro ritenersi applicabili soltanto agli investimenti effettuati dalle AdSP allorché ne siano direttamente o indirettamente beneficiarie solamente alcune imprese in essi operanti (come può accadere soprattutto con riguardo agli investimenti sovrastrutturali), e non già la generalità dell’utenza portuale.

Ferma restando tale eccezione, la realizzazione di infrastrutture portuali finanziate ad opera dello Stato dovrebbe pertanto essere ritenuta ammissibile anche a prescindere dalla rigorosa applicazione del criterio del c.d. investitore privato, essendo soprattutto rilevante la realizzazione di obiettivi anche extraeconomici riservati alle competenze statali e il rispetto dei principi di pari opportunità, di partecipazione e trasparenza.

La prevalenza dei citati interessi pubblicistici esclude che la valorizzazione e le scelte degli investimenti infrastrutturali nei porti debbano essere adottate tenendo conto soltanto della massimizzazione della loro redditività patrimoniale.

Come sopra osservato, quello che leAdSP devono assicurare è non tanto un rendimento finanziario dell’investimento a tassi di mercato (diversamente, una politica finanziaria delle infrastrutture portuali in capo agli Stati membri sarebbe di fatto perfettamente sostituibile dalla finanza privata), quanto piuttosto che gli investimenti finanziati dalle AdSP siano impiegati per realizzare gli obiettivi pubblicistici da esse perseguiti e non realizzino situazioni discriminatorie o distorsive della competizione tra imprese portuali.