Memorie

Un baratto proposto a Napoleone e all'Inghilterra

Portoferraio in cambio di Livorno

di Raffaele Ciampini

Articolo apparso sulla “Rivista Italiana di Studi Napoleonici”, nn. 22-23 del febbraio-giugno 1969

Nella corrispondenza diplomatica di don Neri Corsini Senior (nel ritratto) da Parigi durante l’anno 1796, isoliamo tre documenti riguardanti le vicende di Portoferraio nei giorni della occupazione francese della città di Livorno.

È un episodio importante della storia d’Italia nel 1796-1797; su quei due anni abbiamo raccolto un materiale d’archivio ricchissimo, attraverso il quale abbiamo potuto farci un’idea precisa e completa della importanza che l’isola d’Elba e la rada, forte e sicura, di Portoferraio, ebbero in quel periodo. Non si esagera affermando che quella fu allora una delle posizioni chiave di quel mare, contesa accanitamente tra inglesi e francesi.

Per capire la situazione dell’isola e della sua principale città nel ’96 e ’97 dobbiamo riportarci alla situazione quale si presentava in quel mare. Dobbiamo soprattutto avere chiara in mente la situazione del porto e della città di Livorno nei giorni della occupazione francese.

La perdita di quella posizione chiave e di quel porto, di tanta importanza per la stessa sopravvivenza della Toscana, costituì fino dai primi giorni una vera e propria tragedia.

Livorno e il suo porto erano i polmoni che permettevano alla Toscana di vivere. Livorno occupata e bloccata significò la cessazione immediata di quasi tutto il commercio toscano, che in grandissima parte si esercitava sul mare.

Le comunicazioni per terra erano difficili e lunghe, e per esempio raggiungere per terra la Francia dalla Toscana richiedeva parecchi giorni di un viaggio non semplice in tempo di guerra e assai faticoso.

Il mare era indispensabile alla Toscana anche più delle strade di terraferma. Inoltre a Livorno aveva sede una ricca comunità di commercianti inglesi che in seguito alla occupazione francese dovettero darsi alla fuga.

Avvertiti qualche giorno prima del prossimo arrivo del generale Bonaparte, ebbero il tempo di porre in salvo o di nascondere gran parte delle loro mercanzie; ma non poche caddero ugualmente nelle mani dei francesi; i quali, per parte loro, incominciarono subito a esercitare vessazioni e violenze proprio perché, dicevano, i mercanti inglesi erano stati avvertiti dell’imminente arrivo francese.

La comunità ebraica fu sottoposta a estorsioni durissime, perché si diceva che proprio gli ebrei era i più favorevoli agli inglesi. Ma soprattutto cessarono gli arrivi di merci straniere e le partenze di merci toscane.

Tutto il commercio di Livorno restò da un giorno all’altro interrotto e la città fu subito paralizzata: incominciarono la carestia, la disoccupazione e la miseria.

Ma queste non colpirono soltanto la città di Livorno: tutta la Toscana ne soffrì e anche per la Toscana incominciarono difficoltà di ogni genere.

I documenti del tempo (esiste su tale problema nell’Archivio di Stato di Firenze una documentazione imponente) offrono un quadro drammatico delle conseguenze di quella situazione; i gridi che alzano le autorità toscane a causa di essa sono disperati e drammatici. Il quadro di desolazione, di disordine, di miseria e di fame che ne risulta è impressionante.

Il governo toscano non si stancava di supplicare il suo rappresentante a Parigi, don Neri Corsini, affinché intervenisse presso il Direttorio perché la tragedia di Livorno e della Toscana avesse fine. Le affermazioni erano sempre le stesse: Livorno è alla fame, la Toscana langue; non è possibile andare avanti così. Il governo toscano intravedeva disordini gravi, sommosse, rivolte; e allora che sarebbe successo?

I generali francesi rispondevano al governo di non preoccuparsi; che sapevano ben essi come si possono tenere a freno le popolazioni affamate. Parole che spaventano il governo toscano: che cosa sarebbe accaduto se una massa di popolo in rivolta fosse scesa in piazza? È una domanda che siamo autorizzati a formulare anche noi: non si sarebbero avute le Pasque livornesi assai prima di quelle veronesi? A Livorno, a Firenze, in tutta la Toscana serpeggiavano disperazione e terrore.

Il battaglione corso, formato da circa 150 o 200 corsi fuoriusciti in Francia, era sceso anch’esso a Livorno insieme alle truppe francesi, pronto alla prima occasione a tentare la riconquista della Corsica, dove frattanto erano scesi gli inglesi; e questi volontari corsi erano turbolenti, indisciplinati, rissosi e seminavano ovunque il terrore.

Don Neri riceveva a Parigi le invocazioni, le suppliche, le proteste del suo governo, e quel terrore diventava anche suo. Era necessario per la salvezza della Toscana che i francesi se ne andassero, che il porto e la città di Livorno tornassero liberi e neutrali.

Ma ecco che pochi giorni dopo l’occupazione francese di Livorno, gli inglesi occupano Portoferraio. Così la situazione si complica, diventa quasi disperata; e soprattutto si perpetua.

È ormai evidente che oltre tutto la questione si è trasformata: da militare e strategica è diventata una questione di prestigio, o meglio la questione di prestigio si sovrappone a quella strategica; con gli inglesi a Portoferraio non è possibile prevedere la fine.

Gli inglesi dichiarano che resteranno a Portoferraio per la sicurezza delle loro flotte, finché in francesi resteranno a Livorno. Questi per parte loro dichiarano che resteranno a Livorno finché gli inglesi occuperanno Portoferraio.

Come risolvere questa situazione che non lascia intravedere una via di uscita? Per la Toscana la questione è ormai diventata di vita o di morte. Bisogna trovare una soluzione e trovarla presto, trovarla subito.

A Parigi don Neri Corsini è la stazione (diciamo così tanto per intenderci) ricevente dei lamenti, dei gridi che vengono dalla sua città. Gli sembra che la soluzione, almeno in parte, possa dipendere da lui e che a lui corra l’obbligo di trovarla; ed ecco che, intelligenza aperta come è, mente fertile e ricca di idee e di propositi, elabora un suo piano che gli sembra fattibile e chiaro: che il governo toscano dia il permesso alla Francia di occupare Portoferraio e l’isola d’Elba, prendendovi il posto degli inglesi.

La Francia potrà così abbandonare il porto di Livorno, poiché avrà avuto il compenso di Portoferraio. Da questa posizione potrà ugualmente sorvegliare il mare Tirreno, fare fronte all’Inghilterra, e il porto di Livorno tornerà a essere neutrale, l’economia toscana sarà salva.

Questo il progetto di don Neri Corsini che a lui sembrava di esecuzione rapida e facile, tale da soddisfare le pretese della Francia. Per parte loro gli inglesi. al posto di Livorno e dell’isola d’Elba, continueranno per ora a tenere la Corsica che già hanno occupata e una specie di equilibrio si stabilirà nel mare Tirreno, con soddisfazione, sia pure relativa, di tutte le parti.

L’episodio è rimasto ignorato fino a oggi, ed è questa la prima volta che viene alla luce unitamente ai documenti ad esso relativi. Che il piano del Corsini fosse davvero facilmente attuabile e sicuro, questa è un’altra questione e io per parte mia non direi.

Per prima cosa bisognava che la Francia fosse in grado di affrontare la flotta inglese nel mar Tirreno e nel Mediterraneo e questo non era possibile. Bisognava poi che anche l’Inghilterra  accettasse il piano, e questo sembrava per lo meno improbabile.

Bisognava che Francia e Inghilterra fossero disposte a rispettare di nuovo la neutralità del porto di Livorno, e in quel momento la cosa sembrava ancora più impossibile.

Don Neri Corsini, per quanto intelligente di cose politiche e scaltrito, si faceva strane illusioni. Comunque l’episodio ha una sua importanza notevole: dimostra quale peso in quel momento avesse sia per Francia che per l’Inghilterra il possesso dell’isola d’Elba; e i documenti del Corsini contengono considerazioni sull’isola d’Elba e sul possesso dell’isola che ci sembrano storicamente importanti.

Dall’esame della sua Memoria sull’isola – dal tipo della carta usata, dalla scrittura, dalle correzioni – risulta con tutta evidenza che essa è stata scritta personalmente dallo stesso Corsini. Il documento fu poi da lui sottomesso, prima ancora di interpellare il governo toscano, all’attenzione e allo studio di qualche membro di Direttorio, e quindi fu da lui trasmesso al governo toscano.

Questa ci sembra sia stata la trafila seguita dal Corsini in questo suo tentativo. È poi più che probabile che il Direttorio abbia mandato la Memoria al generale Bonaparte, arbitro assoluto allora in Italia.

Sappiamo che in casi analoghi il generale Bonaparte veniva tenuto al corrente, veniva chiesto il suo parere, si volevano conoscere i suoi suggerimenti e consigli; in sostanza veniva lasciata a lui la decisione ultima. Ce ne mancano le prove ma è probabile che anche in questo caso le cose siano andate così.

Ma la proposta Corsini non fu accettata né dal governo toscano né dal governo direttoriale. È probabile che non sia stata accettata neanche dal generale Bonaparte, troppo cosciente delle difficoltà che l’attuazione di un tale progetto si sarebbe tirate dietro, e desideroso di trovare una soluzione diversa nel quadro della soluzione totale del problema italiano.

L’esito della guerra, in altre parole, avrebbe risolto questo come gli altri problemi anche più importanti di questo.

Il documento rimane, ripetiamo, come conferma della drammatica situazione di Livorno e della assoluta necessità che aveva il governo toscano di veder tornare libero e neutrale quel porto, della assoluta necessità per quel governo di superare quel difficile punto morto.

Episodio, diciamo ancora una volta, che oggi soltanto viene alla luce: non vi accenna il diligentissimo Zobi, non vi accenna il Reumont: tante sono le cose ancora ignote o mal note nella storia dell’isola d’Elba in quegli anni!

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