L’anno che si sta per concludere presenta nuove incognite e pericoli per le compagnie di navigazione, le cui energie sono ormai quasi interamente dedicate alla individuazione degli escamotage necessari per assorbire gli effetti negativi del durissimo scontro globale tra le due super potenze, Cina e USA, oggi esteso anche all’industria nautica.
Come noto, da ieri sono in vigore le misure statunitensi di contrasto al predominio cinese nella cantieristica globale. Il meccanismo, che l’11 ottobre scorso ha subito alcune modifiche, prevede l’applicazione di tasse portuali alle navi di proprietà e/o costruzione cinese a seguito del primo scalo effettuato in un porto statunitense.
Le misure colpiscono innanzitutto le portacontainer. Il nuovo regime tariffario prevede l’applicazione di una fee di 50 dollari per tonnellata netta, con aumenti successivi sino al 2028, a carico delle navi gestite da società cinesi. Mentre le navi costruite in Cina saranno soggette a tariffe specifiche che partiranno da 18 dollari fino a raggiungere i 33 dollari a tonnellata netta nel 2028.
Il sistema tariffario messo a punto dall’USTR colpisce anche le car carrier (cui si applicherà una fee di 46 dollari per tonnellata netta) e dal prossimo 9 novembre anche alcuni tipi di gru ship-to-shore e di attrezzature per movimentazione merci di origine o controllo cinese, che saranno soggette a dazi aggiuntivi del 100/150% rispetto all’aliquota attuale del 25%.
La mossa statunitense arriva a pochi giorni dal contrattacco di Pechino, che ha annunciato l’entrata in vigore di nuove tasse portuali a danno di navi di proprietà o gestite da aziende e privati statunitensi. La tariffa applicata sarà di 56,13 dollari per tonnellata netta, con aumenti successivi.
La guerra navale tra i due Paesi sta di fatto spingendo le grandi compagnie verso una riorganizzazione delle loro strategie.
Ieri Maersk ha ad esempio comunicato di aver impedito a due sue portacontainer battenti bandiera statunitense di attraccare in Cina. In un customer advisory, il liner danese ha infatti annunciato alcune modifiche al suo servizio transpacifico Tp7, comunicando che la Potomac Express non scalerà più il porto di Ningbo. Lo scalo portuale cinese sarà sostituito da quello sudcoreano di Busan, dove i carichi in transito saranno poi caricati su altre navi. Tutte le esportazioni da Ningbo agli Stati Uniti saranno caricate sulla Maersk Luz, che si collegherà alla Potomac Express a Kwangyang, il 24 ottobre.
Anche la Maersk Kinloss interromperà gli scali a Ningbo, mentre i carichi in importazione saranno scaricati in un porto sudcoreano e inoltrati a Ningbo e verso altre destinazioni dalle altre navi della rete del vettore.
Secondo quanto riferito da Clarkson’s Research, oggi sono più o meno 500 le portacontainer potenzialmente soggette al pagamento delle nuove tasse portuali cinesi. Il numero si basa sulle navi costruite, battenti bandiera, possedute o gestite da entità che hanno sede negli Stati Uniti o quotate alla borsa statunitense. Non sono però incluse nel conteggio le navi in cui i proprietari sono semplicemente di proprietà statunitense per più del 25% del totale.
La ricerca prodotta dalla consultancy firm mostra inoltre che le contromisure di Pechino interessano il 5% degli scali portuali cinesi effettuati da queste portacontainer. “Si tratta di una percentuale relativamente bassa e va ovviamente notato che delle 500 navi potenzialmente soggette alle tasse portuali, non tutte fanno necessariamente scalo in Cina” spiega Lars Jensen, secondo il quale i vettori proveranno certamente a modificare la rotazione dei propri servizi di collegamento con la Cina per distribuire al meglio le proprie portacontainer di origine e/o controllo statunitense e ridurre quindi i contraccolpi negativi delle nuove tasse. Si tratta di un approccio non dissimile da quello adottato dai big carrier per far fronte alle ricadute negative delle nuove tasse portuali statunitensi sulle navi cinesi.
Linerlytica riferisce che i vettori specializzati nel trasporto container saranno tenuti a pagare fino a 2,3 miliardi di dollari nel primo anno di scalo nei porti cinesi. Maersk potrebbe vedersi costretta a sostenere oneri aggiuntivi per quasi 400 milioni di dollari mentre ZIM, che è quotata negli Stati Uniti, potrebbe arrivare a pagare oltre 600 mln di dollari di extra tasse.