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Interventi

Lettera aperta al neo Ministro De Micheli

Aggancio al mondo nuovo

di Francesco Munari

Ordinario di diritto dell’Unione Europea all’Università di Genova e componente del Consiglio direttivo di Sipotra

Abbiamo un nuovo Governo e un nuovo Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli. Per la prima volta, come enfatizzato da molti giornali, sarà una donna a dirigere questo fondamentale dicastero. Si tratta di per sé di una buona notizia. Sono fiducioso che il nuovo ministro abbia tutte le necessarie competenze professionali e politico-gestionali per svolgere con la massima efficacia l’importante compito che l’attende.

Con riferimento alla materia porti, Paola De Micheli non parte da zero: il lavoro svolto nella precedente legislatura, in particolare dal ministro Delrio, costituisce ben più che un punto di partenza.

La riforma della legge 84/94 e il correttivo porti del 2017 forniscono infatti un quadro legislativo chiaro, individuando precise competenze e impostando un percorso capace di dare ai nostri porti, e alle reti infrastrutturali di cui sono parte essenziale, un’evoluzione dinamica all’interno di una compiuta strategia di controllo a livello centrale.

Questo lavoro è stato sostanzialmente sospeso dal Governo uscente all’inizio dell’attuale legislatura. In questa inerzia, dovuta a diverse e autonome ragioni non tutte politiche, si è lasciato spazio a ipotetiche quanto velleitarie proposte di riforma della riforma, purtroppo basate su idee che con ogni rispetto ritengo comunque confuse, se non strumentali.

Sintetizzando al massimo, si è immaginato di poter ricorrere allo strumento della privatizzazione (“porti s.p.a.”) per superare i problemi burocratici che troppo spesso paralizzano il modus operandi delle Autorità di Sistema Portuale. Non sono stato il solo, fortunatamente, a criticare questo tipo di impostazione. Per diversi motivi.

Innanzitutto, non è vero che sono le norme o l’attuale natura pubblicistica delle AdSP a paralizzare l’attività dei nostri porti, essendo ben diversi, a parità di quadro normativo, i livelli di performance e dinamismo che caratterizzano ogni ente portuale.

Occorrerebbe invece lavorare a legislazione portuale invariata affinché le Port Authority meno performanti organizzino la propria attività in coerenza con le best practice di quelle più efficienti. Sarebbe inoltre opportuno intervenire sulla P.A., e sulle norme che ne regolano l’azione amministrativa: l’efficace snellimento del suo funzionamento potrebbe essere un punto qualificante dell’azione di questo Governo.

In secondo luogo, è fondamentale che i principali luoghi di ingresso e uscita delle nostre merci restino saldamente in mano allo Stato, tanto più oggi, in un momento nel quale a dominare la scena mondiale sono interlocutori privati dotati di enorme forza economica o potenze straniere di prima grandezza in grado di ridefinire gli equilibri geo-politici planetari grazie a iniziative dal forte impatto economico (come la Belt and Road Initiative).

Insomma, sarebbe un dramma riaprire discussioni pericolose sulla natura delle Autorità di Sistema Portuale, che non devono e non possono essere qualificate come imprese. Lo dico chiaramente, ad onta purtroppo di quanto recentemente affermato dal Tribunale di Genova in una sentenza disattenta, e che confido resterà isolata.

Se imboccassimo, infatti, questa strada, finiremmo in pasto alle multinazionali del trasporto marittimo e della logistica, o a Stati esteri e a loro emanazioni vestite da impresa, consegnando loro il cuore della filiera logistica del Paese, che invece è di tutti e deve continuare a servire l’interesse generale del nostro sistema economico, imprenditoriale e sociale.

In questa prospettiva, mi permetto anzi un paio di ulteriori suggerimenti: il primo è quello di dare finalmente attuazione all’art. 11-ter della l. n. 84/1994, norma cardine della riforma Delrio. Bisogna attuare il coordinamento delle diverse AdSP nazionali e strutturare quella cabina di regia a livello centrale che possa efficacemente far muovere in modo sinergico ed efficiente la nostra politica portuale, retroportuale e logistica.

Il secondo suggerimento che vorrei dare alla Ministra è quello di non farsi ingannare dalle promesse di coloro che predicano la necessità o l’opportunità dell’integrazione verticale nel settore.

Il crescente verificarsi di fenomeni di integrazione tra società di navigazione e terminal portuali (e oltre, lungo tutta la filiera della logistica) viene salutato da molti – e soprattutto da chi detiene quote consistenti di potere di mercato nel trasporto marittimo – come un fatto positivo, in grado di assicurare ai porti interessati un rapido sviluppo.

È vero invece il contrario: l’integrazione verticale produce effetti escludenti per tutti gli altri, e favorisce l’appropriazione surrettizia di infrastrutture e reti che invece debbono restare accessibili nella massima misura possibile. Tanto più essendo risorse scarse: la policy che quindi sommessamente suggerisco alla nuova Ministra è quella di Ministra è quella di fare attenzione ai lupi vestiti da agnelli, di evitare cioè l’ulteriore intensificazione dell’integrazione verticale già in atto nel comparto, e di compiere scelte sempre più chiare nel senso della neutralità dei gestori di infrastrutture e degli erogatori di servizi portuali rispetto ai vettori.

A questi scopi, sarebbe infine auspicabile anche un potenziamento della struttura ministeriale, da troppo tempo soggetta a cure dimagranti che ne diminuiscono l’efficacia, e questo nonostante l’abnegazione e lo spirito di servizio della grandissima parte dei (pochi) funzionari che vi lavorano. Diversamente, sarà inevitabile che altri soggetti, pubblici e privati, riempiano questi spazi, in pregiudizio degli obiettivi fondamentali per il nostro Paese.

Non abbiamo le risorse per un ministero del mare, ma proprio nell’ottica del recupero della centralità del MIT quale cabina di regia dell’intero comparto portuale e logistico, mi parrebbe necessaria per lo meno una cura ricostituente, anche di tipo motivazionale, utile pure per dare compiuta attuazione al regolamento UE 352/2017 sui porti.

E a proposito di Europa, last but not least va affrontato con urgenza il tema del gigantismo navale, che da sola l’Italia certamente non può gestire: profili sociali, economici e ambientali (inclusi i crescenti eventi meteo estremi indotti dal cambiamento climatico, che vediamo sempre più spesso anche nei nostri mari e porti) impongono la necessità di porre un limite alla crescita delle navi, che scaricano sulla collettività costi esterni non più accettabili.

E con l’Europa si dovrà anche andare fino in fondo sui temi della tassazione delle AdSP, proprio perché va chiaramente spiegato alla Commissione – e se non basta ai Giudici della UE – che le nostre amministrazioni portuali non sono imprese.

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