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Interventi

Soffiano venti di ripresa sul mercato delle materie prime

Capesize, il termometro dell’economia

di Ennio Palmesino

Shipbroker iscritto alla sezione speciale

Nel mercato dry bulk, dopo un andamento dei noli nel 2021 assai redditizio, abbiamo assistito ad un forte rallentamento nel 2022, in particolare per le Capesize, le navi più grandi (160-180.000 tpl), che sono state, per tutto l’anno, ed anche per i primi mesi di questo 2023, costantemente al di sotto dei rendimenti delle navi più piccole (Panamax e Supramax).

E’ interessante seguire l’andamento delle tariffe Capes, perché si tratta di un indicatore perfetto per quantificare la domanda globale di materie prime e comprendere quindi l’andamento generale dell’economia mondiale.

In altre parole, se è previsto, ad esempio, un aumento della domanda di automobili, lavatrici e frigoriferi, i gruppi industriali corrono a cautelarsi, aumentando l’import di materie prime relative alla filiera dell’acciaio (minerale di ferro, carbone), che sono proprio le merci trasportate dalle Capes.

Se invece non prevedono che la domanda di prodotti finiti sarà consistente, i noli delle Capes ristagnano. In altre parole, se i noli delle Capes restano bassi a lungo, come è stato nel 2022, è il segnale che c’è una stagnazione in corso, se non addirittura una recessione generale dei mercati di consumo.

Di recente i noli delle Capesize sono saliti decisamente, dai 3.000 dollari/giorno dei primi di quest’anno (fra gennaio e febbraio abbiamo visto alcuni indici regionali addirittura sotto zero) fino a 19.000 doll/giorno, e questo fa pensare che l’andamento dei mercati di consumo sui prossimi 6-12 mesi venga visto in rialzo. Bisognerà vedere naturalmente se questo andamento dei noli sarà confermato nelle prossime settimane, o quanto meno se si sarà stabilizzato.

L’aumentato interesse degli operatori per una categoria di navi si manifesta di solito anche con un aumento degli ordini di nuove costruzioni. Per quanto riguarda la Capes, siamo attualmente ad un carnet di ordini che rappresenta il 5,7% della flotta esistente, un valore modesto, che tranquillizza gli attuali possessori di queste navi, i quali si possono sentire cautelati rispetto ad una possibile invasione di navi nuove, ma che fa capire come gli operatori abbiano altri tipi di timori sul futuro di queste navi.

Il dato modesto dei nuovi ordini in questi ultimi tempi è comune anche al settore tankers, ed è in buona parte dovuto alla paura che queste navi finiscano presto fuori mercato, a causa della sempre più stringente politica ambientalista dei paesi occidentali. Si teme cioè che in pochi anni il traffico del petrolio, come quello del carbone, possa subire un forte ridimensionamento.

Inoltre, c’è l’incognita del combustibile che deve alimentare le newbuilding, progettate e costruite per durare almeno vent’anni, ma le normative sono sempre più accelerate. Al momento, la maggior parte degli ordini prevede l’alimentazione a gas naturale, in taluni casi anche con motore dual-fuel, tale da permettere di passare al metanolo green, se il gas dovesse essere messo fuori legge.

Ma l’incertezza su questo fronte è altissima. Infatti, mentre da un lato tutti i carburanti alternativi oggi presi in considerazione garantiscono l’abbattimento delle polveri sottili e dei composti di zolfo, dall’altro non tutti garantiscono la riduzione a zero della CO2 emessa (come appunto il gas) e quindi gli armatori temono che le navi abbiano vita breve, e così molti si astengono dall’ordinare nuove unità per paura di sbagliare, ed aspettano un chiarimento definitivo.

Potremmo però farci guidare dal coraggio dimostrato dagli armatori di grandi navi gasiere (LNG carriers) che stanno sospingendo un aumento spettacolare del carnet di ordini. La domanda di gas liquefatto è vista in forte espansione nel prossimo futuro. Le navi metaniere, di qualunque portata, attualmente ordinate ai cantieri, rappresentano già il 51% della flotta esistente, un dato mai visto prima.

Nel più ristretto scaglione delle super metaniere da 150-180.000 metri cubi (tipo quelle destinate a Piombino, per intenderci) il carnet ha addirittura raggiunto il 75% della flotta esistente. Se consideriamo inoltre che si tratta di navi che costano 240 milioni di dollari l’una, si capisce quanto coraggio gli armatori debbano avere per buttarsi in una operazione del genere, con il dilemma di potersi trovare fra pochi anni con la domanda di gas in discesa e con navi ultra sofisticate che diventano improvvisamente obsolete.

Dunque, questo numero altissimo di ordini per super metaniere ha anch’esso un valore predittivo, infatti ci fa pensare che molti operatori economici del settore prevedano che le norme ambientaliste più stringenti si riveleranno a breve del tutto irrealistiche e saranno allentate o rimosse.

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