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Container sotto osservazione

Detenuti speciali

di Redazione Port News

Dal 2021 ad oggi, sono diminuiti in media del 26% i costi applicati dai liner per la sosta dei contenitori nei terminal portuali e al di fuori di essi oltre il periodo di franchigia, il cosiddetto free time entro il quale i carrier non fanno pagare al cliente il costo della riconsegna del container.

Lo certifica Container XChange nel suo ultimo report sull’andamento delle tariffe di detentions & demurrage applicate in sessanta porti diversi dalle principali otto compagnie di navigazione attive nel trasporto marittimo dei box.

In media, consegnare ad una shipping company un contenitore standard da 20 o 40 piedi dopo 14 giorni di sosta costa oggi ad uno spedizioniere o al cliente diretto 664 dollari. Nel 2021 il prezzo medio era invece di 868 dollari.

«Il declino delle tariffe D&D si può spiegare con il progressivo ritorno alla normalità delle catene logistiche globali dopo il periodo pandemico» sottolineano gli analisti nello studio confezionato con la preziosa collaborazione della consultancy firm Drewry.

Nate come importante strumento adottato dai liner per scoraggiare gli utilizzatori dal trattenere l’equipment per un periodo eccessivamente lungo, le tariffe di demurrages & detentions sono via via diventate, soprattutto nel periodo di crisi pandemica, una leva importante per assicurare agli stessi il rapido turnaround dei contenitori di proprietà e di quelli presi in leasing.

Agli inizi della Pandemia – spiega XChange – le compagnie di navigazione si sono trovate costrette a ridurre i propri servizi di navigazione offerti lungo le principali rotte, saltando a piè pari determinati porti o riducendo la frequenza delle port call, provando così a bilanciare sul lato dell’offerta il brusco calo della domanda di trasporto marittimo dei beni.

La riduzione della capacità di stiva impiegata nei trade ha però acuito i problemi di congestionamento dei terminal portuali, che sono stati letteralmente sommersi da pile di contenitori. A migliaia hanno invaso i piazzali operativi e le aree di stoccaggio, lasciati a prendere la polvere per settimane prima di essere riposizionati verso i mercati di riferimento.

Non è un caso che i porti dove sono stati registrati i costi maggiori di D&D siano anche quelli dove il free time predefinito dai carrier sia risultato essere tra i più bassi. La progressiva riduzione del periodo di franchigia è spesso stata usata dai vettori per costringere i caricatori e gli spedizionieri a caricare e consegnare in porto quanto più velocemente possibile i container pieni all’export, oppure ritirarli, svuotarli e riconsegnarli vuoti all’import.

I costi delle D&D sono quindi andati aumentando in misura direttamente proporzionale all’aumento delle rate di nolo e alla diminuzione della capacità di stiva offerta, raggiungendo nel 2021 quota +39% sul 2020.

Oggi, le tariffe sono andate progressivamente calando grazie soprattutto ad un generale alleviamento dei problemi di congestione.  Va però detto che i valori sono del 12% più alti rispetto a quelli del 2019. Non solo: alcuni porti stanno comunque registrando dati in controtendenza rispetto all’andamento medio, con un aumento dei valori sul 2021. Il riferimento è in particolare ad otto porti: Jebel Ali; Long Beach e Los Angeles; Ningbo; Qingdao; Shanghai, Singapore e Tianjin.

Come si può notare, ben quattro di questi porti sono cinesi. I trend del d&d in Cina hanno seguito un andamento particolare per via della recrudescenza dei casi di Covid che, ad inizio giugno, hanno costretto le autorità governative locali, specie a Shanghai, a varare nuove misure restrittive.

Se dal 2020 al 2021, gli extra costi per la detenzione dei container oltre il periodo di franchigia sono aumentati del 79%, da una media di 390 dollari a un picco di 700 dollari, nel 2022 la riduzione delle tariffe è stata meno marcata di quanto fatto registrare altrove: di appena il 12,2%, a 614 dollari.

XChange sottolinea come allo stato attuale i porti più costosi siano quelli statunitensi di New York; Long Beach e Los Angeles, con tariffe superiori ai 2600 dollari per container in sosta nei terminal, o fuori di essi, da almeno 14 giorni.

I porti più economici sono invece quelli di Busan, Yichang; Rugao e Zhenjiang, dove si applicano extra tariffe inferiori ai 120 dollari.

Tra il porto più conveniente, Busan, e quello più caro, New York, c’è un gap di 3068 dollari. Per un container fermo da più di 14 giorni in un terminal portuale del porto statunintense occorre infatti sborsare 3182 dollari, contro i 114 dollari applicati nello scalo portuale della Corea del Sud. Differenti anche i free days: nel porto di Los Angeles la merce non può essere riconsegnata gratuitamente al liner se viene superato il 4° giorno di permanenza, mentre a Busan i giorni di franchigia sono 11.

A differenza di quelli nord americani, che hanno risentito non poco dei contraccolpi negativi della crisi economica originata dalla pandemia, anche per via della loro stretta interdipendenza con i mercati cinesi, quelli di Rugao, Yichang e Zhenjiang, ultimi nella speciale classifica dei porti con le tariffe d&d più alte, hanno mantenuto un alto livello di efficienza operativa anche durante il periodo del Covid, inoltre in questi porti i liner hanno effettuato nel periodo di riferimento un numero nettamente inferiore di scali diretti rispetto a quelli registrati nei principali porti della Cina. Un dato significativo, quest’ultimo, che indica come questi scali portuali non si siano mai trovati nella condizione di gestire enormi movimentazioni in import.

Quanto a Busan, va detto che, al pari del porto del Pireo, in 54esima posizione in questa speciale classifica, lo scalo portuale sud-coreano è un hub di transhipment: da qui la merce transita quel tanto che basta per consentire il carico sulle navi feeder.

Andando in Europa, il porto di Bremerhaven risulta essere quello più costoso: le tariffe d&d per una permanenza superiore ai 14 giorni sono pari a 841 dollari. A seguire Amburgo (833 dollari), Rotterdam (617 dollari) e Anversa (546 dollari). Ultimo in classifica, il Pireo: è il porto più conveniente con 150 dollari.

Quanto alle shipping line, tra le otto analizzate, la compagnia cinese Cosco è quella che mediamente applica le tariffe d&d più basse: 322 dollari alla fine dei 14 giorni di permanenza. Penultima e terzultima posizione per Hapag Lloyd e ZIM, rispettivamente con 465 dollari e 503 dollari. La compagnia più cara risulta essere HMM, con una tariffa d&d media di 1019 dollari.

«Credo che il dato sulla riduzione dei costi di D&D sia da leggere tenendo conto della maggiore disponibilità di nuovi container ordinati massivamente nell’ultimo anno ed ormai progressivamente aggiunti agli stock esistenti da quasi tutte le compagnie» spiega a Port News il vice presidente di Conftrasporto e manager di Esa Group, Gian Enzo Duci.

«Attenzione però ai segnali che si stanno manifestando nelle ultime settimane. Il Clarkson’s containership port congestion index ha evidenziato per gli ultimi giorni di giugno che la flotta in porto era pari al 36,2% della flotta globale a fronte del 31,5% medio del periodo 2016 – 2019 con un peggioramento significativo rispetto alla media del secondo trimestre, soprattutto in Nord Europa e sulla West Coast degli USA e del Canada. Alle soglie dell’avvio della peak season pertanto il rischio che salga nuovamente la pressione sui caricatori per una rapida riconsegna dei vuoti non è da escludersi».

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