Focus

Suez e dintorni

Effetto domino

di Redazione Port News

L’incidente di Suez? Per gli esperti il mercato non si riprenderà prima dei prossimi due o tre mesi.

Per ben sei giorni centinaia di navi sono rimaste imbottigliate nel traffico in entrambe le direzioni di marcia di una delle più importanti vie navigabili al mondo. Il disincaglio della Ever Given e la conseguente riapertura del Canale ha fatto schizzare via la merce con la stessa intensità con cui la maionese schizza via dal tubetto quando viene spremuto con f0rza eccessiva. Il risultato? I mari del globo terracqueo sono stati letteralmente inondati da una grande quantità di prodotti.

I porti, soprattutto quelli europei e americani, già messi a dura prova a settembre/ottobre dell’anno scorso a causa dell’impennata delle esportazioni dall’Asia conseguente al boom dell’E-Commerce e alla grande richiesta di prodotti medici, si sono così trovati a dover affrontare nuovi problemi di congestione.

Merci consegnate in ritardo, nuovi blank sailing e banchine nuovamente intasate di contenitori. Ecco a che cosa ha portato il blocco di Suez. Con una nuova aggravante: gli scali portuali asiatici si sono nuovamente trovati a secco di container vuoti.

Non dissimilmente da quanto accaduto a seguito della fine del periodo di lockdown e della ripresa delle attività economiche, gli importatori in Europa e negli USA si sono nuovamente trovati nella condizione di non riuscire a rispedire le scatole di ferro verso l’Asia. Con un effetto domino che ha coinvolto non soltanto la rotta Asia-Europa ma anche tutti gli altri trade di esportazione della merce fuori dall’Asia.

La situazione è critica. Tanto che diversi ocean carrier stanno valutando l’ipotesi di riprogrammare i propri servizi e scalare soltanto i principali hub port. L’obiettivo? Accorciare i tempi del viaggio di ritorno verso gli scali portuali asiatici. Secondo gli esperti, una simile iniziativa consentirebbe ai liner di muoversi più velocemente e di riposizionare così i container vuoti rimasti a prendere la polvere nei piazzali di molti porti europei.

Cionnonostante, è facile prevedere che il quadro rimarrà stabilmente critico per tutto il mese di aprile, e anche oltre. In Asia Singapore si sta preparando ad accogliere il più alto numero di portacontainer che mai siano approdate alle sue banchine.  E dire che già adesso le navi che si trovano in rada nei pressi dello scalo asiatico sono costrette ad attendere in media 51 ore prima di poter essere “lavorate”.

E le cose potrebbero anche peggiorare a Singapore. Al punto che i carrier potrebbero dover dirottare le proprie unità navali verso scali alternativi come Port Klang o Tanjung Pelepas.

In aggiunta agli aumentati rischi di ritardo dei tempi di consegna della merce in Europa e Asia, la chiusura del Canale di Suez sta avendo un impatto anche sulla disponibilità di container nei porti di export cinesi e coreani. Gli analisti prevedono nuovi aumenti delle rate di nolo nei trade transpacifici e in quelli tra l’Asia e il Nord Europa.

Per Lars Jensen, ceo di Vespucci Maritime, l’incidente della Ever Given è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «Non chiamateli cigni neri. L’incidente della Ever Given, così come gli effetti generati dalla Pandemia, non sono qualificabili come eventi imprevedibili. Quello che abbiamo davanti è un mercato continuamente sottoposto a stress test di varia natura».

Rischi di natura geo-politica (vedi alla voce trade-war), ambientale e cibernetica, sono oggi all’ordine del giorno. La domanda che allora dobbiamo porci non è perché simili eventi siano accaduti ma quale debba essere il prezzo che la supply chain globale dovrà pagare per incrementare la propria capacità di resilienza.

Senza Suez, i noti problemi post-lockdown di congestione che hanno coinvolto molti scali europei si sarebbero risolti in due, tre mesi al massimo, tra febbraio/marzo. Con la disruption creata da Suez ci vorranno mesi prima che tutti gli arretrati possano essere smaltiti. E non è detto che incidenti simili non possano capitare in futuro.

Per Jensen, i problemi di cui sta soffrendo oggi la portualità mondiale sono riconducibili ad un unico comun denominatore: la sovraccapacità. «Ci troviamo a dover fare i conti con una situazione sempre più caotica. La supply chain ha già dimostrato di essere resiliente. Chiaramente, tutto ha un prezzo. Quanto ancora siamo disposti a pagare per continuare ad ossigenare un un mercato continuamente a rischio asfissia a causa della overcapacity?».

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