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Focus

Innovazione e Ambiente

Un Green New Deal per i sistemi portuali

di Marco Casale

La questione ambientale? Sarà il fulcro della svolta politica inaugurata dal Governo giallo-rosso. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che proprio ieri ha ottenuto la fiducia al Senato per la nascita del nuovo esecutivo PD-M5S, lo ha dichiarato apertamente: «Obiettivo primario del Governo sarà la realizzazione di un Green New Deal che promuova la rigenerazione urbana, la riconversione energetica verso un progressivo e sempre più diffuso ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione delle biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici».

Ancora non si sa come si articolerà concretamente l’azione politica del Governo, ma una cosa è chiara: il canale della Green economy è oggi quello più in grado di raccogliere e indirizzare iniziative valide per lo sviluppo. Decarbonizzazione, digitalizzazione, sensorizzazione e monitoraggio costituiscono i temi più significativi per l’obiettivo della sostenibilità globale anche nell’ambito specifico dei porti, della navigazione, dei trasporti e della logistica.

«Se le emissioni annue di gas serra dell’UE ammontano a 4,5 miliardi di tonnellate, quelle del trasporto marittimo internazionale sono pari a 0,8 miliardi di tonnellate» aveva sottolineato non molto tempo fa su Port News, il numero uno della Sea Ports Organisation Eamonn O’Really. «Ridurle a zero avrebbe un impatto equivalente a quello che risulterebbe dalla decarbonizzazione dello Stato membro più grande dell’UE».

L’Unione Europea crede fermamente in un futuro a emissioni a zero. E l’Italia dei porti ha la capacità di muoversi in direzione di un Green New Deal? Qualche passo in avanti in questo senso è stato fatto. Nel 2017 è stato infatti istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il “Tavolo tecnico sulla decarbonizzazione dell’economia”, che ha delineato gli scenari di sviluppo del sistema energetico nazionale e redatto il catalogo delle tecnologie energetiche disponibili.

Per il comparto dei porti e dei sistemi logistici a essi funzionali, le novità normative in termini di decarbonizzazione sono state recepite sia con l’aggiornamento della legge 84/94, all’art. 4 bis, che ha introdotto l’obbligo di redazione di piani energetici da parte delle AdSP, sia con le nuove Linee guida per la redazione dei documenti di pianificazione energetico ambientale dei sistemi portuali (DEASP), delineate con decreto del Ministero dell’Ambiente (il n. 408 del 17.12.2018).

La rotta è stata insomma tracciata, ora resta da percorrerla. Sotto questa prospettiva, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale è stata una delle prime Port Authority in Italia a mappare in modo esaustivo le principali emissioni di carbonio prodotte dai porti di sua competenza (soprattutto Livorno, Piombino e Portoferraio), presentando stamani a Livorno i risultati di un anno di indagini.

Il I Rapporto sul Carbon Footprint del Sistema Portuale dell’Alto Tirreno è innovativo per un duplice motivo. Innanzitutto, è stato elaborato grazie alla ridefinizione di una nuova architettura digitale: oggi gli scali portuali del Mar Tirreno Settentrionale possono contare su una piattaforma strategica, chiamata MONICA (Monitoring & Control Architecture), sulla quale convergono informazioni e dati provenienti sia da set di servizi digitali diversi (Port Community System, Rete Nazionale AIS del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, workflow specifici, ecc.) sia da apposite reti di sensori disseminate nei punti più rilevanti degli scali portuali. L’altro elemento di novità è costituito dal fatto che i dati sono stati elaborati secondo le linee guida rilasciate dall’IMO attraverso il set di strumenti denominato “Port Emissions Toolkit”, finalizzato ad armonizzare e standardizzare le metodologie di raccolta delle informazioni, di analisi e di determinazione del Carbon Footprint.

I dati del rapporto presentati dall’AdSP guidata dal presidente Stefano Corsini danno già una idea di quanto l’inquinamento ambientale stia diventando un problema al quale si deve porre rimedio al più presto. In un anno – dal 1° maggio del 2018 al 2 maggio del 2019 –  sono state prodotte nel porto di Livorno 150.000 tonnellate di emissioni. L’anidride carbonica rappresenta oltre il 97% di tutti gli inquinanti atmosferici prodotti. Circa il 56% di tutta la CO2 (83.000 tonnellate) è stata emessa direttamente dalle navi durante i movimenti portuali, il 37% deriva dalle attività industriali svolte nelle aree portuali, mentre il restante 7% è composto da emissioni indirette derivanti dal consumo di energia elettrica prodotta da aree esterne a quelle portuali.

In 12 mesi sono state prese in esame le principali tipologie di navi, quelle caratterizzate da un elevato numero di arrivi, da prolungati tempi di sosta e da una elevata potenza installata. Complessivamente sono arrivate 5.663 unità tra containership, navi da crociera, traghetti, car-carrier e Ro/Ro.

Che cosa è emerso? Prese tutte assieme, queste unità si sono fermate in porto per un totale di 59.000 ore e hanno emesso tanta CO2 quanta quella prodotta in un anno da 63.000 auto (circa il 70% di tutte le automobili registrate nel comune della Città dei Quattro Mori). Per quanto riguarda le emissioni di SOx (Ossido di Zolfo), in un anno le navi analizzate hanno inquinato quanto 108 milioni di auto (1,245 volte la SOx emessa in un anno da tutte le automobili della città di Livorno).

Gli studi evidenziano che queste emissioni possono essere notevolmente ridotte tramite l’utilizzo di combustibili alternativi quali il Gas Naturale Liquefatto. Nel rapporto è infatti stato sottolineato che se tutte le navi del porto di Livorno utilizzassero il GNL come combustibile si avrebbe una riduzione del 20% delle emissioni di CO2, mentre quelle di SOx tenderebbero ad annullarsi.

Per quanto riguarda il porto di Piombino, nel periodo temporale di riferimento sono arrivate oltre 12.700 navi, l’85% delle quali appartengono alla categoria Ro/Ro e Ro/Ro-Pax. Complessivamente i tempi di attività di tutte le navi oggetto di studio sono stati pari a 41.000 ore (di cui 38.000 di sosta). Nello scalo piombinese, le emissioni prodotte dalle attività connesse ai trasporti marittimi sono state pari a 14.000 tonnellate.

L’anidride carbonica rappresenta oltre il 96% di tutti gli inquinanti nel porto. Circa il 74% di tutta la CO2 è stata prodotta direttamente dalle navi durante i movimenti portuali (10.440 tonnellate), il 24% deriva dalle attività industriali svolte nelle aree portuali mentre il restante 2% è composto da emissioni indirette derivanti dal consumo di energia elettrica prodotta da aree esterne a quelle portuali.

La fotografia scattata dall’AdSP (in particolare dalla Direzione Sviluppo, Programmi Europei e Innovazione) vuole essere un contributo utile ai fini della redazione del Piano Ambientale ed Energetico di Sistema su cui l’Autorità Portuale sta lavorando: «La nostra Port Authority – ha dichiarato il presidente Corsini – ha da tempo inserito nella pianificazione strategica dell’ente obiettivi e azioni specifiche per supportare la transizione verso processi globalmente sostenibili e carbon free». Il numero uno dei porti di Livorno e Piombino ha sottolineato come l’elaborazione del I Rapporto sul Carbon Footprint rappresenti un risultato certamente rilevante per la comunità portuale, locale e non: «Riteniamo che l’elemento di novità di questa esperienza, la digitalizzazione al servizio della sostenibilità, possa costituire un valido contributo, una best practice di potenziale interesse per tutti gli stakeholder, gli enti e gli esperti coinvolti nella definizione e nell’attuazione di azioni per la sostenibilità».

Tutto bene quindi? Dipende. Aver individuato gli obiettivi non significa poi essere in grado di realizzarli. Le opzioni disponibili per la decarbonizzazione, che siano orientate alla riduzione della domanda di energia (efficientamento energetico), oppure all’uso di vettori energetici alternativi che presentino un minor rapporto carbonio/idrogeno, restano a oggi tutte sul tavolo. Quel che è certo è che hanno un impatto profondo sul sistema economico e produttivo, dato che ridisegnare i processi in questi termini richiede investimenti di lungo periodo per la sostituzione o l’adeguamento dei macchinari o dei mezzi impiegati e comporta soprattutto la necessità di conoscere i processi in ogni dettaglio per poterli riorganizzare.

Sotto questo punto di vista, la digitalizzazione si dimostra come il migliore strumento disponibile per ottenere una conoscenza approfondita del Carbon Footprint di un porto. Le strategie per la sostenibilità dei sistemi portuali non possono infatti oggi prescindere dalla leva dell’innovazione che, integrando le competenze operative dei settori produttivi con le conoscenze delle Università e dei Centri di Ricerca, costituisce il motore di ogni settore economico moderno, il vero discriminante per coniugare l’efficacia e l’efficienza dei processi con la loro sostenibilità.

Scarica qui il I Rapporto sul Carbon Footprint del Sistema Portuale dell’Alto Tirreno

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