Che il Net Zero Framework (NZF) fosse una misura divisiva lo si era capito da tempo. In questi mesi l’amministrazione Trump ce l’ha messa tutta per affossare il nuovo quadro regolatorio, il primo a prevedere un sistema di carbon pricing con penalità e crediti nell’ambito del trasporto marittimo internazionale.
Una opposizione tenace, quella statunitense, che ha trovato importanti sponde non solo a Singapore, in Arabia Saudita e nei principali paesi esportatori di petrolio, ma anche in Grecia e a Malta. Che venerdì scorso, durante una sessione straordinaria dell’Organizzazione Marittima Internazionale, hanno deciso di rompere i ranghi comunitari, astenendosi dal voto, e favorendo così la decisione, assunta a maggioranza con 57 paesi favorevoli e 49 contrari, di rinviare il tutto al 2026, anno in cui il Marine Environment Protection Committee (Mpec 84) dell’IMO dovrà riprendere in mano il dossier.
L’astensione dei due paesi del Mediterraneo è stata vista dai vertici dell’UE come un atto di ammutinamento, soprattutto perché la Commissione aveva assunto già a settembre una posizione congiunta sulla questione, manifestando la volontà di andare avanti con l’adozione del nuovo pacchetto normativo.
C’è chi sostiene che l’Unione Europea stia valutando la possibilità di avviare un’azione legale contro questi due Paesi, colpevoli di essere venuti meno agli impegni precedentemente presi a Bruxelles, ma quello che più preme far rivelare è come sulla misura vi siano ancora oggi opinioni discordanti che certificano lo stallo di fatto delle politiche di decarbonizzazione.
Come noto, il NZF, proposto dall’IMO ad Aprile, introduce un sistema di scambio dei crediti di carbonio per le navi di stazza lorda superiore alle 5000 tonnellate. Il quadro regolatorio prevede che queste unità, responsabili di fatto dell’85% delle emissioni di anidride carbonica prodotte nel settore marittimo internazionale, siano tenute a raggiungere degli obiettivi annuali di mitigazione e/o riduzione delle emissioni prodotte, compensando eventualmente le emissioni in eccesso attraverso l’acquisto di crediti di C02 da altre navi o pagando delle penalità che andranno a costituire l’ammontare del nuovo Net-Zero Fund, il fondo economico centrale del sistema di carbon pricing, su cui pure non ci sono ancora regole chiare di governance.
Sono proprio le tasse sulle emissioni nel settore navale a rappresentare un punto controverso che rischia di influire negativamente su armatori, paesi emergenti e catene logistiche globali. Un tema, questo, che gli Stati Uniti hanno preso di mira sin dall’inizio, non partecipando alle votazioni di aprile scorso, che di fatto hanno formalizzato la prima adozione del NZF, e arrivando a minacciare nelle ultime settimane azioni ritorsive contro le nazioni che avrebbero sostenuto tali misure. Tra le più impattanti, quella di bloccare l’accesso ai porti statunitensi da parte delle navi battenti la bandiera delle nazioni favorevoli al NZF o quella di imporre sanzioni commerciali di vario tipo.
Secondo quanto riportato dalle notizie della sessione straordinaria del MEPC, diversi paesi che avevano precedentemente sostenuto le misure e approvato il Quadro Net-Zero dell’IMO nell’aprile 2025 si sono successivamente astenuti o hanno modificato il loro voto nella riunione di ottobre. La Cina, il più grande costruttore navale al mondo, è passata dal sostenere la misura ad aprile al voto per il rinvio. Tra gli oppositori figurano anche importanti paesi produttori di combustibili fossili, come Arabia Saudita e Russia, molti dei quali hanno sostenuto che il Quadro Net-Zero dell’IMO semina divisioni globali e trascura i potenziali impatti economici su cittadini ed economie. Anche importanti nazioni del trasporto marittimo come Singapore e Liberia hanno espresso obiezioni.
Secondo Vinson&Elkins, le critiche al quadro si concentrano principalmente sulla mancanza di un’offerta sufficiente di combustibili puliti che consentano di raggiungere gli obiettivi di intensità di gas serra previsti.
“Sebbene il Quadro Net-Zero dell’IMO integri un sistema di acquisto a credito come percorso di conformità, studi recenti mettono in discussione la disponibilità di questi crediti a soddisfare la domanda, data la limitata capacità di accumulare crediti per gli anni futuri e la mancanza di combustibili in grado di soddisfare gli obiettivi di intensità di gas serra dell’IMO” evidenzia la società di analisi, sottolineando inoltre come le risorse che andranno a formare il tesoretto del Net Zero Fund non siano sufficienti a scalare la prossima generazione di carburanti a basse emissioni di carbonio per il settore della navigazione.
Il rinvio rappresenta chiaramente una vittoria per l’amministrazione Trump e mette in difficoltà ancora di più l’Unione Europea, che pare oggi incapace di assumere una posizione comune da presentare alla 30ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si terrà dal 10 al 21 novembre 2025 a Belém, in Brasile.
Secondo quanto riporta il Lloyd’s List, i ministri dell’ambiente dell’UE sarebbero infatti riusciti a concordare un testo condiviso soltanto dopo aver accolto la richiesta della Grecia di eliminare da quest’ultimo qualsiasi riferimento positivo alle misure dell’IMO.
Una posizione dura, quella di Atene, che di fatto certifica la rottura dell’unità europea sul tema della sostenibilità ambientale e che ha trovato pieno riscontro in un editoriale del primo ministro greco, Kyriakos Mitsotakis, pubblicato recentemente sul Financial Times, dal quale si evince come la Repubblica ellenica consideri “miope” tutta questa enfasi sulla decarbonizzazione nel trasporto marittimo, soprattutto in un contesto nel quale sulla terra ferma si continua a usare carbone e petrolio senza alcun tipo di problema.
Lo scetticismo di Mitsotakis nei confronti della direzione intrapresa dall’UE in materia di lotta all’inquinamento ambientale solleva interrogativi sulle modalità con cui è stato strutturato il percorso di avvicinamento al Net Zero, lasciando intendere che forse il tema è stato trattato troppo frettolosamente e che il quadro normativo proposto dall’IMO presenta al momento gravi debolezze e sanzioni ingiustificatamente elevate per il trasporto marittimo; misure che se accettare potrebbero avere delle ricadute pesanti sul commercio globale.
“È probabile che il rinvio di un anno amplifichi l’attuale incertezza per il settore marittimo, poiché vi sarà una maggiore pressione da parte delle nazioni contrarie al NZF affinché si abbandonino o si riducano le misure precedentemente approvate” affermano ancora gli analisi di Vinson&Elkins.
La situazione rimane dunque in stallo e gli equilibri politici interni all’UE sono sempre più delicati. Difficile pensare a possibili risvolti positivi per una norma che ora non piace quasi a nessuno: né ai sostenitori della decarbonizzazione più radicale, agli occhi dei quali lo NZF è poco ambizioso, né agli oppositori, che vorrebbero da parte dell’IMO e dell’Unione un approccio più soft. Probabile, anzi, che d’ora in poi a Bruxelles si proceda con il passo del gambero, per cui ad un passo in avanti corrispondono diversi passi all’indietro.