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Interventi

Verso un nuovo mondo

Il vaso di coccio europeo tra USA e Cina

di Paolo Costa

Economista, docente universitario e membro del consiglio direttivo di S.I.Po.Tra.

Il mondo di oggi non è più quello nel quale si muoveva l’Italia fino a pochi anni fa. L’epoca che ha garantito all’economia nazionale la crescita in doppia cifra delle sue esportazioni durante gli anni del miracolo economico è ormai un ricordo del passato.

L’affermarsi sulla scena mondiale di nuovi protagonisti, come i BRICS e in particolare la Cina, e il rallentamento della crescita nell’area euro (causato tra le altre cose dall’incapacità delle istituzioni comunitarie di gestire la “grande recessione” del 2008/2014) hanno contribuito a ridefinire i confini eurocentrici del nostro modello di mercato.

In un contesto globale di integrazione economica sempre più profonda, le esportazioni italiane verso i paesi extra-UE sono cresciute sino a eguagliare i valori dell’export intra-UE, ciò anche in ragione di una rinnovata vitalità dei nostri porti che sono diventati la scelta primaria per penetrare via mare mercati che prima venivano raggiunti solo attraversando le Alpi.

Il mondo che abbiamo davanti è insomma più grande, anche se appare rimpicciolito dall’enorme progresso tecnologico, e nei prossimi decenni sarà sempre più “asiatico”, con buone probabilità di diventare, dopo il 2050, anche più “africano” e per questo interessato da una nuova centralità mediterranea.

Ma viviamo anche in un quadro polarizzato, con due superpotenze – la Cina e gli USA – che si contendono la supremazia mondiale e che definiscono in modo autoreferenziale strategie (economiche, militari e tecnologiche) su cui l’Europa – e a maggior ragione l’Italia – hanno sempre minore influenza. Strategie dichiarate e perseguite da tempo, quelle cinesi e, al contrario, frutto di un radicale riorientamento, quelle statunitensi dell’era Trump.

Il soft power esercitato dalla Cina lungo le Vie della Seta è solo una delle politiche strategiche di Pechino: attraverso più di 120 accordi bilaterali con Regioni ritenute cruciali per la stabilità globale (come India, Russia, Repubbliche euroasiatiche, Iran, Golfo arabico, Africa, Unione Europea), il presidente Xi Jinping ha saputo tessere la tela di un nuovo ordine internazionale, contraddicendo nei fatti quel “multilateralismo” (fair, safe and equal) che formalmente continua a sostenere di fronte al WTO e in ogni altro consesso internazionale.

Al bilateralismo di fatto cinese si contrappone quello, dichiarato, statunitense. L’America first di Trump si realizza anche, se non soprattutto, indebolendo ogni aggregazione regionale (NAFTA, TPP, UE, CETA, etc) e firmando nuovi patti leonini bilaterali.

Il sostegno a una Unione Europea prospera al riparo dell’ombrello della NATO non è più una priorità americana.

L’UE si è fatta cogliere impreparata su entrambi i fronti.

Sul fronte delle relazioni transatlantiche, lo “scoordinamento” programmato delle relazioni commerciali si interseca con le partite ancora più delicate giocate in campo tecnologico (5G, Intelligenza Artificiale, etc.) e militare (missili nucleari puntati sulla Russia).

Non migliore la situazione sul versante cinese. Arroccata su posizioni difensive a causa dalle proprie beghe “locali” (la Brexit e le masochistiche insofferenze sovraniste che delegittimando l’Unione Europea alimentano il circuito vizioso della sua minor capacità di incidenza globale), Bruxelles ha avviato solo in ritardo e in modo scoordinato una EU-China Connectivity Platform che dovrebbe garantire l’incastro della strategia di sviluppo implicita nella realizzazione delle reti transeuropee dei trasporti prevista per il 2030-2050 con le iniziative infrastrutturali della Belt and Road Initiative, al momento ben incardinata nel Pireo e in tutti i Balcani sotto l’etichetta dell’iniziativa 16+1 tra la Cina e i 16 paesi dell’Europa centro-orientale.

Purtroppo, anche su questo tema l’UE mostra tutte le sue contraddizioni sovraniste, non capendo che per rispondere in modo adeguato alla BRI occorrerebbe favorire la reale integrazione dei terminali marittimi mediterranei individuati lungo i core corridor della rete TEN-T. I terminali meglio posizionati allo scopo sono indiscutibilmente quelli che potrebbero risultare, da un lato, da un raccordo della portualità Alto Tirrenica (da Livorno a Savona), dall’altro, da una intesa Alto Adriatica, che va da Ravenna a Rijeka.

Ma il perseguimento di un simile obiettivo imporrebbe all’Italia una maggiore presa di consapevolezza del proprio ruolo strategico. Solo se sapremo favorire la progressiva integrazione dei nodi logistici europei potremo rispondere in maniera adeguata alla crescente dinamicità e competitività dei mercati. Ma per riuscirci servono istituzioni all’altezza del confronto con quelle cinesi e statunitensi.

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