Interviste

Colloquio con Alessandro Laghezza

Quel cambiamento che i porti attendono

di Marco Casale

Riportare le competenze reali al centro del nostro Sistema Portuale. Per Alessandro Laghezza è questa la priorità.

All’indomani dell’annuncio da parte del Viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, della convocazione a Dicembre di un tavolo congiunto con le Autorità di Sistema Portuale per parlare nel dettaglio di una possibile riforma della governance dei porti,  il noto spedizioniere doganale e operatore logistico non esita a dire la propria, senza remore né timori.

«Nelle Port Authority – ammette – ci sono presidenti e segretari generali estremamente preparati e di chiara competenza amministrativa, sarebbe però utile che nei board fossero presenti anche manager di esperienza internazionale, con forte connotazione di imprenditorialità».

Laghezza usa non a caso il termine “board“, quasi a volersi richiamare ai modelli di gestione manageriale propri dei porti nordici. Un assist, sicuramente, a favore del modello delle società per azioni a controllo pubblico, di cui, pure, il vice ministro Rixi dice di non essere innamorato, e per il quale lo stesso Laghezza non prende una posizione netta: «Lo considero uno strumento come un altro per consentire alle Port Authority di acquisire quel tasso di managerialità che forse oggi manca» dice.

Spa o non spa, per il presidente del gruppo Laghezza quello che conta è «dare ai nostri porti quella spinta propulsiva di cui hanno bisogno per essere competitivi su scala non soltanto nazionale».

Il manager spezzino allarga lo sguardo agli scali portuali del Northern Range, quelli con i quali amiamo fare spesso paragoni inappropriati. «Il margine di vantaggio competitivo dato dalla nostra più favorevole posizione geografica esiste ed è reale – sottolinea -, va soltanto saputo sfruttare meglio».

Recentemente, era stato Alessandro Pitto a sfatare il mito dei cinque giorni di navigazione a favore dei porti nazionali. «Dall’Europa a Shangai – aveva affermato il presidente di Fedespedi, intervenendo a Genova durante un panel del convegno Shipping Forwarding & Logistics meet Industry – il migliore transit time offerto da uno scalo del Northern Range è di 27 giorni, mentre da Genova e da Spezia le durata del viaggio è nella migliore delle ipotesi di 32 e 34 giorni».

Per Laghezza, il vantaggio che la geografia attribuisce ai nostri porti può essere ampiamente recuperato. «Dobbiamo puntare sull’intermodalità e rendere più efficienti i servizi che i sistemi portuali possono offrire sul lato terra» afferma.

Va insomma creato un circolo virtuoso. «Gli scali portuali italiani hanno la reale possibilità di diventare un hub di riferimento per i mercati del sud Europa. Presto, infatti, arriveranno a concretizzarsi i numerosi investimenti milionari che il Paese ha deciso di effettuare in porti chiave come quello di Genova o Livorno. Tali azioni non avrebbero alcun senso se non ci consentissero di acquisire nuove posizioni di mercato rispetto a quelle dei nostri competitor».

Il momento, però, è delicato. Il caro energia, le spinte inflazionistiche e la nuova stretta monetaria promossa dalla Banca Centrale Europea, stanno impattando in modo pesante sul mercato del trasporto marittimo, riducendo il potere di acquisto dei consumatori, contribuendo al rallentamento dell’economia e allo svuotamento delle navi portacontainer, che oggi viaggiano a carico ridotto.

«Dopo un periodo, quello pandemico, vissuto all’insegna del boom dei profitti, le compagnie di navigazione e gli spedizionieri si preparano oggi ad affrontare una nuova situazione estremamente incerta» rimarca Laghezza.

«I noli marittimi sono ormai in calo da diversi mesi, ci stiamo gradualmente avvicinando ai valori della fase pre-Covid. Forse non raggiungeremo mai i livelli del 2018/2019 ma ci andremo vicini». Il manager spezzino prevede che il rallentamento durerà ancora per qualche tempo, perlomeno sino alla prima metà del 2023, salvo poi lasciare spazio alla ripresa a cominciare dal secondo semestre.

Se queste sono le previsioni, i porti italiani devono sapersi far trovare pronti per il prossimo rimbalzo dell’economia. E la questione della governance portuale non è di secondaria importanza. «In questi anni – dice Laghezza – il Sistema non ha dato prova di una reale capacità di coordinamento, con un Ministero che non è pienamente riuscito ad esercitare le leve decisorie che la legge 84/94 gli ha attribuito nell’ambito della famosa Conferenza nazionale dei presidenti delle AdSP. E’ mancata da parte dei Governi che si sono succeduti una reale attenzione per i temi portuali».

Ora Laghezza aspetta di valutare se e quali iniziative intenda prendere il Governo Meloni per il settore. «Ci sono gli spazi per una reale riforma portuale – afferma – vedremo a quali risultati approderà il lavoro del viceministro Rixi, quello che mi auguro è che non si creino porti di serie A, con una gestione manageriale, e porti di serie B, ancorati al vecchio modello di governance».

L’operatore spezzino dice di temere una genovesizzazione della portualità: «Non esiste solo il modello Genova – ribadisce -, in Italia ci sono altre realtà portuali che meritano pari attenzione, come ad esempio La Spezia, Livorno e Trieste.  Le specificità vanno salvaguardate e inserite in una visione di insieme di alto respiro».

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