© Luigi Angelica
Interventi

Il dibattito sull'integrazione delle paghe feriale nei salari dei portuali

“Serve un adeguamento del CCNL porti”

di Amedeo D’Alessio

Segretario Nazionale Porti e Trasporto marittimo della FILT-CGIL

Si accende il dibattito sulla sentenza della sezione del Tribunale di Venezia, che, accogliendo il ricorso dei lavoratori del Terminal TIV, ha stabilito una sorta di equiparazione tra la retribuzione ordinaria e quella dei giorni di ferie, costringendo di fatto il terminalista a pagare gli arretrati dal 2007. Dopo l’intervista al direttore generale di Assiterminal, Alessandro Ferrari (che trovate qui), accogliamo e pubblichiamo il contributo analitico del segretario nazionale porti della FILT-CGIL, Amedeo D’Alessio.

Il diritto alle ferie annuali retribuite rappresenta un pilastro irrinunciabile del diritto sociale dell’Unione Europea, sancito in via primaria dall’articolo 7 della Direttiva 2003/88/CE e, con valore di diritto fondamentale, dall’articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Tale diritto è finalizzato a garantire al lavoratore un effettivo periodo di riposo e svago, essenziale per la tutela della sua salute e sicurezza. Tuttavia, la semplice garanzia di un periodo di assenza dal lavoro non è sufficiente a realizzare pienamente tale obiettivo se non è accompagnata da un trattamento economico adeguato.

La nozione stessa di ferie “retribuite” è stata al centro di una profonda e decisiva evoluzione interpretativa ad opera della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

Una delle pronunce più significative per la definizione della nozione di retribuzione feriale è la sentenza Williams, emessa il 15 settembre 2011 nell’ambito della controversia che vedeva contrapposti alcuni piloti della compagnia aerea British Airways al loro datore di lavoro.

Nel risolvere la questione, la Corte di Giustizia ha enunciato un principio fondamentale: la retribuzione corrisposta durante le ferie annuali deve essere “paragonabile” a quella che il lavoratore percepisce durante i periodi di lavoro.

Questo parallelismo è necessario per evitare che il lavoratore subisca uno svantaggio finanziario a causa del godimento delle ferie.

Successivamente, la sentenza Lock del 22 maggio 2014, che riguardava un consulente alle vendite la cui retribuzione era composta da uno stipendio di base e da provvigioni calcolate sulle vendite concluse, ha ulteriormente consolidato e ampliato i principi stabiliti nella causa Williams.

La sentenza Lock, infatti, ha stabilito in modo inequivocabile che anche le componenti retributive interamente variabili, come le provvigioni, devono essere prese in considerazione nel calcolo della retribuzione feriale.

In questa sede, la Corte ha rafforzato il principio “anti-dissuasivo”, vero fulcro della giurisprudenza in materia, affermando che qualsiasi prassi o omissione del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali è incompatibile con il diritto dell’Unione. La Corte, in particolare, ha osservato che una diminuzione della retribuzione, anche se percepita in un momento successivo al periodo di ferie, può indurre il lavoratore a rinunciare al proprio riposo per non subire un danno economico.

L’impatto delle sentenze della Corte di Giustizia sull’ordinamento italiano è mediato dal principio della primazia del diritto dell’Unione e dal conseguente obbligo di interpretazione conforme. I giudici nazionali, inclusa la Corte di Cassazione, sono tenuti a interpretare la normativa interna – nel caso di specie, l’art. 36 della Costituzione, l’art. 2109 del Codice Civile e l’art. 10 del D.Lgs. 66/2003 – in modo che sia compatibile con le finalità e il testo della Direttiva 2003/88/CE, così come interpretata in via autentica dalla CGUE.

Le sentenze della CGUE hanno efficacia erga omnes e sono vincolanti per tutti gli organi giurisdizionali degli Stati membri. Esse non creano nuove norme, ma ne chiariscono il significato e i limiti di applicazione, agendo come un’ulteriore fonte del diritto dell’Unione.

Di conseguenza, qualora una norma interna risulti in contrasto con un principio del diritto dell’Unione dotato di effetto diretto (come è stato riconosciuto per il diritto alle ferie retribuite), il giudice nazionale ha l’obbligo di disapplicare la disposizione nazionale confliggente.

La Corte di Cassazione italiana, conseguentemente, ha pienamente recepito e fatto propri i principi elaborati dalla Corte di Giustizia con un orientamento ormai consolidato, espresso in numerose pronunce (tra cui Cass. n. 13425/2019, n. 22401/2020 e n. 20216/2022).

La Cassazione, infatti, ha affermato che la retribuzione dovuta durante le ferie deve garantire al lavoratore un trattamento economico sostanzialmente equivalente a quello ordinario, e deve includere “qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo status personale e professionale del lavoratore”.

Questo approccio funzionale supera, quindi, la mera elencazione delle voci retributive contenuta nei contratti collettivi e impone una valutazione sostanziale di ciascuna componente.

È importante sottolineare che la Cassazione ha specificato che questo orientamento non introduce un principio di onnicomprensività assoluta della retribuzione feriale.

Non ogni voce variabile o indennità deve essere automaticamente inclusa. La valutazione va condotta caso per caso, analizzando la natura e la funzione di ciascun emolumento per verificare se la sua esclusione possa, in concreto, disincentivare il lavoratore dal fruire delle ferie.

La giurisprudenza della Cassazione ha, dunque, “europeizzato” la nozione di retribuzione feriale comportando un cambiamento fondamentale nel ruolo della contrattazione collettiva.

Storicamente, la determinazione della base di calcolo per gli istituti retributivi indiretti, come le ferie, era quasi interamente demandata all’autonomia delle parti sociali. Le sentenze della CGUE, recepite dalla Cassazione, hanno infranto questo schema. Inevitabilmente, la certezza del diritto che un tempo era garantita dal testo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro è adesso subordinata a un’analisi funzionale per assicurarne la sua conformità.

Con specifico riferimento al CCNL dei Porti, sulla base dell’analisi condotta, a nostro giudizio emerge che l’applicazione degli articoli 11 e 11.1 adottano una formulazione cosiddetta a “lista chiusa” non consona ai principi imperativi del diritto dell’Unione Europea, così come interpretati dalla CGUE e recepiti dalla Corte di Cassazione. Pertanto, al fine di garantire una retribuzione feriale che sia “paragonabile” a quella ordinaria e priva di effetti dissuasivi, risulta per noi indispensabile integrare la base di calcolo prevista dall’attuale contratto collettivo includendo, previa valutazione sostanziale di ogni emolumento, una media delle componenti variabili e continuative della retribuzione ad oggi ancora escluse.

Abbiamo già portato la problematica all’attenzione delle associazioni datoriali di settore al fine di promuovere un adeguamento formale del testo del CCNL che recepisca i principi qui esposti, ristabilendo così la certezza del diritto per tutti le lavoratrici e i lavoratori del settore.

In questo modo, oltre a sanare l’irregolarità e a conformare le aziende ai principi giurisprudenziali consolidati, si restituirebbe centralità al ruolo negoziale delle parti che trova la sua massima espressione nell’esercizio della contrattazione.

Auspichiamo che anche le Associazioni Datoriali prediligano questa strada e rifuggano l’idea di lasciare l’intera questione all’alea del giudizio delle corti dei tribunali

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