Antonio Piemontesi detto il Baseggio
Memorie

Livorno d'altri tempi

Molo Cosimo, regole per l’attracco nel XVIII secolo

di Paolo Castignoli

Brano tratto da “Il Molo Mediceo e il suo Forte” (2002, Debatte editore)

Il porto di Livorno, costituito negli ultimi anni del governo di Ferdinando I (1587-1609) dal bacino omonimo e dalle due darsene interne, subisce per ordine del figlio e successore Cosimo II (1609-1621) una radicale trasformazione.

Rispetto al Braccio Ferdinando, il Molo Cosimo, di cui il nuovo granduca ordina la costruzione in posizione più arretrata, appare meglio strutturato. A metà Ottocento il Vivoli così lo descrive: «È diviso in quattro parti: nella scogliera esterna, nella via che è divisa dall’altra che guarda la città, ed in una banchina che dà facile accesso e modo di discesa dal lato del porto».

Le due ‘vie’ sono divise lungo tutto l’asse del Molo da un alto muro, che offre una buona protezione ai legni ordinatamente ancorati e saldamente collegati ad una lunga teoria di bitte inserite nelle proprie nicchie lungo tutta la banchina.

Difeso da opere militari viva via adeguate (fin dall’inizio lo vigilava il Forte della Vittoria alla radice del Molo e alla fine del Seicento entra in funzione il Forte della punta del Molo), il nuovo Molo definisce un bacino di minore dimensione ma più facilmente controllabile, sul quale si concentra il dragaggio teso a fornire adeguati fondali alle navi ammesse a pratica.

Operativo già dal 1617, il Molo è in seguito oggetto di interventi tesi a consolidarne le fondamenta. Negli anni ’20 l’ingegnere Gabriello Ughi viene più volte inviato a Livorno per ispezionare il Molo e per relazione al granduca sui lavori di manutenzione, indispensabili al mantenimento di questa attrezzatura, frequentemente danneggiata dalle violente mareggiate.

Nuovi interventi si rendono necessari dal 1632 al 1642: si completa il muro di spina del Molo Cosimo e si rafforza la scogliera di protezione a mare con blocchi di pietra provenienti dalle cave di San Jacopo in Acquaviva.

Disciplina degli ormeggi

L’attracco delle navi e il pagamento della tassa di ancoraggio, le operazioni di scarico e carico e le relative tariffe, il trattamento delle zavorre e il controllo delle più varie attività che si svolgevano sul Molo sono regolati da bandi, istruzioni e regolamenti che vengono formando un corpus di norme sempre meglio definito e aggiornato.

Sono fondamentali in merito gli Ordini del porto di Livorno emanati da Cosimo III nel 1693. Di essi il granduca dispone che si faccia un sunto in inglese da distribuire alle navi alla bocca del porto.

L’ormeggio delle navi lungo il Molo era regolato in modo assai rigoroso: i vascelli dovevano disporsi in una prima fila o andana, distendendo le àncore segnalate dai rispettivi gavitelli in linea con i pali che scandivano le singole postazioni.

Esaurita la prima andana, i vascelli dovevano disporsi in una seconda fila distendendo le ancore in modo da lasciare tra la poppa e il luogo di giacitura delle àncore spazio sufficiente per consentire il transito di altri legni.

Questo spazio di manovra era attentamente salvaguardato: era vietato utilizzarlo per “ancorarsi in ruota”, cioè per disporvisi con una sola àncora in modo da lasciare libero il bastimento di muoversi in tondo.

Sulla osservanza delle disposizioni concernenti gli ormeggi vigilava il custode del Molo, il quale ogni mattina con la sua barchetta controllava la “positura” di tutte le àncore e dei rispettivi gavitelli, avvertendo capitani, padroni di nave e marinai di eventuali irregolarità.

La disposizione dei bastimenti ordinata per andane lungo il Molo è ben rappresentata da Antonio Piemontesi detto il Baseggio nella sua “Pianta di Livorno porto” redatta attorno al 1790 (nell’immagine un suo dettaglio). Rispetto al regolamento seicentesco del governatore Dal Borro, si registra una più puntuale assegnazione degli ormeggi: in prima file le galere, nella seconda le navi mercantili e, all’ingresso del porto, le navi da guerra. Appare evidente la dilatazione degli spazi di ormeggio, dovuta all’intensificarsi dei lavori di dragaggio nella seconda metà del Settecento ad opera della Deputazione degli escavi. Ai legni di minore portata sono riservate le altre banchine disposte intorno al bacino Mediceo.

Le merci in arrivo erano scaricate “da orlo a orlo” e trasferite dalle navi ai navicelli inviati dai raccomandatari. La tariffa prevedeva compensi differenziati per grani e rinfuse, balle, colli, botti e via dicendo.

Una controversia sorta nel 1620 fra i navicellai e i mercanti raccomandatari sulle tariffe di scarico e carico del grano evidenzia il netto miglioramento delle condizioni operative a seguito dell’entrata in funzione del Molo Nuovo.

Mentre in precedenza le operazioni avevano luogo nella rada (allora si diceva “alla spiaggia”) – «dove quand’è maretta gagliarda non possono mai andare e se è meno gagliarda bisogna che carichino minor quantità di grani, e quando sono venti di terra bisogna che prueggino, pericoli che non possono correre nel Molo nuovo di dove vanno e vengono più francamente da tutti i tempi con più carico e più viaggi» – ora la situazione appariva nettamente migliorata, al punto da indurre il governatore e il provveditore della Dogana a proporre al granduca una sensibile diminuzione della tariffa: da sei a quattro lire per ogni cento sacchi di grano.

Ogni navicello prima di transitare attraverso la bocca, all’ingresso delle darsene, doveva passare a “rassegnarsi”, a denunciare cioè il carico all’Ufficio di sanità per consentire il controllo e l’esazione dei diritti di stallaggio per conto della Dogana.

Lo scarico e il carico della zavorra dei bastimenti era oggetto di severe disposizioni, tese a evitare il deflusso sui fondali del porto di sabbia e altro materiale minuto. Tali operazioni potevano aver corso solo su licenza del capitano della bocca o dei suoi ministri, che assegnavano spazi appositi nella “piazza delle zavorre”, curando in ogni modo che «lo spasseggio sul Molo sia netto dalle zavorre».

L’accesso alla darsena era riservato ai bastimenti granducali, alle barche di servizio portuale e ai vascelli che dovevano “dar carena”. In deroga al più rigoroso divieto di accesso di galere o navi forestiere “armate in guerra” si giunse in un’occasione a consentire a una nave corsara di riparare nella darsena, dopo aver fatto «depositare tutte le armi al corpo di guardia di S. Barbara»: un espediente per «impedire le conseguenze di una rissa e tumulto suscitato al Molo».

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