© Michela Canalis
Interviste

Colloquio con Fabrizio Vettosi

Porti e logistica, la necessità di una svolta

di Marco Casale

«Il problema del nostro sistema logistico/portuale è uno solo: ci concentriamo eccessivamente sull’hardware (l’infrastruttura), sottovalutando invece l’importanza del software, dei processi logistici, con evidente spreco di risorse finanziare».

Fabrizio Vettosi lo va ormai ripetendo come un mantra da anni e lo sottolinea un po’ in tutti i convegni cui partecipa: «Le grandi opere fanno passare alla storia i politici ma senza un’effettiva funzionalizzazione della logistica al servizio delle filiere industriali rischiamo di rimanere meri venditori di trasporto. Ed è questo il rischio maggiore che corre oggi il nostro Paese».

Il managing director Vsl Club e consigliere di Confitarma ha letto con interesse quanto dichiarato a Port News dal direttore generale di Assiterminal, Alessandro Ferrari: «Ha ragione da vendere quando dice che in Italia abbiamo la mania di dare un po’ i numeri a caso» afferma.

«Da quindici anni a questa parte movimentiamo più o meno lo stesso numero di container. I dati parlano chiaro: dalle banchine dei porti italiani passano poco più 9 milioni di TEU ogni anno, di cui tre di trasbordo».

Se questa è la premessa, «non riesco a comprendere perché in Italia si continui a puntare sulla realizzazione di nuovi terminal dedicati alla movimentazione dei contenitori. A fronte di una domanda che rimane sostanzialmente stabile, se non in leggera contrazione, i singoli porti si avviano a cantierare opere infrastrutturali che una volta realizzate condurranno il sistema portuale nostrano ad aumentare la propria capacità di 8 milioni di TEU».

Secondo Vettosi si tratta di «un errore strategico» che mette in evidenza «la mancanza di una visione globale in materia di logistica»: «Se è vero come è vero che i rotabili costituiscono per il sistema portuale nazionale un trade ben più importante dei container, allora dovremmo investire di più sulla multimodalità, promuovendo al massimo, e nei limiti previsti dalle soglie comunitarie, gli incentivi a sostegno del trasporto combinato (1. Ferrobonus, 2. Marebonus, 3. Contributo di Sostegno al Canone per l’Infrastruttura Ferroviaria)» dichiara.

«Purtroppo – aggiunge – il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti pare aver assunto a tal proposito un atteggiamento diverso, che non capisco». Il riferimento è al recente studio prodotto da RAM e pubblicato dal predecessore di Matteo Salvini nell’ultimo giorno del suo mandato: «In questo report si rappresenta lo scarso effetto generato, anche in termini di impatto sulle emissioni, da Ferrobonus, Marebonus e Norma Merci» fa notare Vettosi.

«Il Ministero delle Infrastrutture pare mettere in dubbio la loro reale efficacia, io sostengo invece che questi strumenti vadano rafforzati. Da un mio studio appare evidente che, se utilizzati alla soglia massima consentita per gli aiuti, i suddetti strumenti di contribuzione possono rendere il trasporto combinato efficiente anche per soglie sotto i 400 Km, e ciò semplicemente utilizzando le infrastrutture che abbiamo, in particolare sull’asse adriatico».

Nella sua analisi, il consigliere di Confitarma si sofferma poi sulle prime misure prese in materia di portualità dal Governo Meloni, contestando in particolar modo l’utilità del nuovo Comitato Interministeriale di coordinamento delle politiche del mare, istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri per effetto del decreto legge Ministeri: «Gli stumenti di governance li abbiamo già», ammette, citando la Conferenza di Coordinamento  dei Presidenti delle Autorità di Sistema Portuali di cui all’art. 11 della legge 84/94: «Questo organismo rappresenta il cuore della logistica italiana ed è nato con lo scopo di armonizzare e coordinare le scelte strategiche che attengono i grandi investimenti infrastrutturali e le scelte di panificazione. Più che creare nuovi organi istituzionali, dovremmo pensare di far funzionare meglio quelli che ci sono, dando ruoli esecutivi a tecnici e profili con esperienza nel mondo logistico anziché prediligere l’occupazione “politica” di certe funzioni. Forse, in tal senso andrebbero rivisti anche i criteri di nomina dei Presidenti delle Autorità di Sistema Portuali».

A proposito di AdSP, Vettosi suggerisce per questi enti una svolta radicale: «La scelta recentemente fatta dal Governo Draghi evidenzia la natura ibrida di tali istituzioni: al pari dei privati devono pagare le tasse sui canoni, che concorrono a formare reddito in quanto svolgono una funzione in gran parte di natura commerciale, ma a differenza di questi ultimi non hanno la stessa agilità. Anzi, sono zavorrati da vincoli di natura pubblicistica sempre più pressanti».

La ricetta del managing director di VSA è chiara: «Prendiamo le Port Authority più rilevanti, quelle che sono oggi in grado di formare un vero e proprio sistema logistico, come Trieste, Livorno, Napoli e Genova, e quotiamole, prefissandoci come obiettivo di portare in borsa un flottante rappresentato da una minoranza qualificata, ad esempio del 30%».

Il risultato sarebbe sotto gli occhi di tutti: «Al controllo pubblico (che potrebbe, ad esempio, essere esercitato tramite Cassa Depositi e Prestiti, cui andrebbe la maggioranza) farebbe riscontro la presenza del mercato attraverso soggetti anche istituzionali, come assicurazioni, fondi di previdenza, endowment».

Secondo l’esperto manager, un modello di governance di questo tipo «permetterebbe anche di attrarre ulteriori capitali privati, che alimenterebbero solo progetti sensati e redditizi, agevolando al contempo la selezione di talenti manageriali motivati e assicurarando una maggiore flessibilità gestionale».

Vettosi ammette di aver più volte parlato dell’argomento con il Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Edoardo Rixi:  «Ho spesso scambiato con lui idee su questo argomento, chissà che non ci stia già pensando».

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